Morto un papa…
In questo mio post, a caldo, voglio riflettere sul suo pontificato (prima parte). Dire brevemente qualcosa su ciò che mi attendo (seconda parte). In ultimo riprodurre alcuni pensieri che ho già espresso su X-Twitter (terza parte), alle contestazioni dei quali (quarta parte) offrire una risposta (quinta parte).
temprando lo scettro a’ regnatori, gli allor ne sfronda
“…ed alle genti svela di che lagrime grondi e di che sangue“. Il Foscolo nel suo poema dedicato alle urne dei forti cantava così del Machiavelli.
In un certo senso il verso si adatta pure a Francesco. Nel quale distinguerei il lato più propriamente ministeriale (il pontificato) da quello umano. Sono inseparabili, certo, ma non indistinguibili. Il lato umano lo liquido subito: non esiste una persona che non presenti limiti caratteriali, relazionali, di pensiero. I limiti di Bergoglio, umorale e ruspante, sono né più né meno quelli di qualsiasi altro essere umano. Ma per quanto grandi non riescono ad appannare il bene che egli ha fatto nella sua vita.
Ministerialmente un papa machiavellico? Non in senso cattivo. Di sicuro furbo. Nel descriversi lo dice Bergoglio stesso: “Sì posso dire che sono un po’ furbo, so muovermi, ma è vero che sono anche un po’ ingenuo” (Lucio Brunelli, Papa Francesco. Come l’ho conosciuto io, Cinisello Balsamo 2020, Edizioni San Paolo, p. 123). Furbo è stato nel gestire le faccende interne della Chiesa, non attaccando mai direttamente i suoi avversari (Cardinal Burke), lasciando che maturassero l’età della pensione per destinarli al dimenticatoio (Cardinal Sarah). O dando loro la possibilità di dimettersi (Cardinal Becciu). O destinandoli a nuovi e più prestigiosi incarichi (Cardinal De Donatis).
E solo un gesuita poteva fare la furbata di imporsi il nome “Francesco“, caro nel mondo cattolico perché riferito al Santo Poverello di Assisi (qui). Ma anche perché in qualche modo ricompone il dissidio nato tra i figli del Mesnadero di Loyola e i figli del Poverello di Assisi ai tempi dell’evangelizzazione della Cina e mai effettivamente affrontato. Così, mentre il furbo Francesco tende la mano all’ordine francescano l’ingenuo Francesco stabilisce nuove relazioni con il regime di
Papa Francesco – furbo o ingenuo che fosse, ma anche machiavellico – col suo pontificato ha svelato che la vita di un Pontefice non è tutta onori e allori, ma per lo più lacrime e sangue. Ricercando l’approccio più diretto possibile con le periferie fisiche ed esistenziali mettendole al centro della sua missione episcopale, ha deliberatamente condannato alla periferia coloro che fino a quel momento occupavano il centro dell’attenzione pubblica ed ecclesiale. Con ciò stesso, forse senza avvedersene, ha portato l’intero sistema clericale costruito in secoli di storia, a sentirsi emarginato.
Clericale è stato il termine più frequentemente usato da lui per definire quello che la Chiesa non può e non deve essere. Dopo l’ubriacatura clericale dei tempi di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, le posizioni di Francesco hanno destabilizzato le chiese che vivacchiavano su fronzoli e riti mostrando quanto possa essere facile perdere di vista l’obiettivo della missione del popolo di Dio, racchiusa nelle parole misericordia e povertà.
La cifra del pontificato di Francesco si può sintetizzare in queste due parole. Soprattutto la seconda. Dove sono stati i gesti di Francesco a parlare più delle parole, che pure sono state incisive e frequenti. L’ultima uscita dal Vaticano prima della morte è stata la visita ai carcerati. Perché i poveri, secondo Francesco, non sono solo coloro che mancano del necessario, ma tutti coloro che non hanno più nulla da aspettarsi dalla vita. Francesco ha voluto che in alcune occasioni i poveri sedessero a tavola con lui in Vaticano. O fossero gli invitati speciali in Aula Paolo VI. O trovassero nel Cardinal
la certezza di un aiuto concreto. Come quando il suo Elemosiniere ha riallacciato la corrente per una palazzina di 400 persone.Francesco ha sorpreso tutti per questo suo diverso approccio comunicativo. L’irraggiungibile Sommo Pontefice ad un tratto è diventato uno di noi. A partire dalle telefonate dirette alle persone: “Pronto! Sono Bergoglio!“. Per terminare al racconto di episodi anche di carattere riservato. Come quando, parlando della guerra russo-ucraina, disse che l’idea della NATO che “abbaia” ai confini della Russia gliel’ha suggerita “un capo di Stato, un uomo saggio, che parla poco, davvero molto saggio” incontrato un paio di mesi prima dell’inizio dell’operazione speciale (qui).
Più di qualcuno ha fatto notare quanto spesso Papa Francesco sia stato tagliente nei confronti dei sacerdoti. Con un linguaggio diretto, ruvido, che usava sapendo avrebbe colto nel segno, avrebbe fatto male, sarebbe diventato un cavallo di troia utile a sfondare le redazioni giornalistiche. Un esempio tra tutti: la frociaggine dei seminari. È pur vero che Francesco ha dovuto confrontarsi con il periodo più tragico e oscuro della Chiesa degli ultimi decenni. Benedetto XVI gli aveva lasciato una pesantissima eredità: la questione della pedofilia tra preti e vescovi. Si deve dare atto al Papa argentino di aver agito con determinazione, nonostante persino dentro le curie non fossero poche le resistenze. Le scelte coraggiose che ha fatto – l’obbligo di denuncia, l’istituzione di commissioni per la tutela delle vittime, nuove procedure canoniche – si sono rivelate di estrema importanza.
La mancanza di inibizione di Francesco deve aver però colpito l’ordine religioso di appartenenza, i gesuiti. Non si è mai compreso a sufficienza se padre Spadaro fosse stato messo al fianco comunicativo di Francesco per tutelare il Papa o per tutelare l’Ordine… Comunque, crescendo in autonomia Francesco comprese il momento in cui poteva fare a meno del servizievole direttore della Civiltà Cattolica. Ha tenuto personalmente il rapporto con giornalisti, temuti, amati, usati (con reciproco vantaggio) da Francesco. Con un dialogo pesato, a volte accettando di intrattenerlo con i meno vicini alla Chiesa. La sua biografia è diventata occasione di evangelizzazione. Narrandosi, raccontando esperienze, esprimendo opinioni senza troppi freni.
Del resto Francesco ha dato le migliori prove del suo pensiero prendendo le distanze dai testi scritti. Fin dagli inizi si era compreso che sarebbe stato difficile capire Francesco se non attraverso le espressioni a braccio. Come quando, nella prima omelia pronunciata da Papa durante le ordinazioni sacerdotali a San Pietro esortò i candidati: “Ricordate le vostre mamme, le vostre nonne, i vostri catechisti, che vi hanno dato la Parola di Dio, la fede…. il dono della fede! Vi hanno trasmesso questo dono della fede… E oggi vi chiedo in nome di Cristo e della Chiesa: per favore, non vi stancate di essere misericordiosi… Siete Pastori, non funzionari. Siete mediatori, non intermediari“ (qui, esattamente 12 anni fa).
Non intendo fare memoria di ogni singolo dettaglio del pontificato appena concluso. Ho menzionato solo quello che a mio avviso deve intendersi come una netta cesura nella Chiesa. Ci sarà per sempre un prima e un dopo papa Bergoglio.
Una Chiesa meno clericale e più sinodale; una missione che fa della misericordia e della povertà i suoi temi di riferimento; una comunicazione meno paludata, più diretta, meno artificiale, con un linguaggio comprensibile a tutti; un senso di disciplina ecclesiale dove la responsabilità personale non è delegabile ad altri. Questa è la nuova asticella alzata da Bergoglio per il suo successore.
E il successore sarà costretto a confrontarsi non tanto con le encicliche, con le esortazioni apostoliche e con i motu proprio di Francesco, quanto con il suo stile, in uno di quei casi non infrequenti in cui sarà facilissimo che le persone comuni ricordino i pranzi coi poveri, la telefonata alla massaia, la parolaccia sui seminari e le battute del Papa piuttosto che i documenti che ha firmato.
La Chiesa di Roma, la grande sconosciuta
Dal successore di Papa Francesco mi attenderei una rinnovata forte attenzione alla Chiesa di Roma. Quasi superfluo ricordare una realtà storica: il papato ha oscurato l’episcopato. Vale come espressione generale, ma vale ancor più all’interno del Grande Raccordo Anulare.
Un papato ipertrofico non è un bene per la Chiesa. Quella universale, ma anche quella locale, di Roma. Per due millenni si è assistito prima a una crescita del prestigio, del potere, della ierocrazia dello Stato Pontificio, quindi al loro drastico ridimensionamento nello Stato del Vaticano. La Roma cristiana imperiale ha lasciato il passo alla Roma cristiana collinare. Ma mentre tutti conoscono la prima, sembra che i più ignorino la seconda, continuando a immaginarla come quella del medioevo.
Nel solco del Papa argentino sarebbe di grande aiuto alla Chiesa universale un Papa che conosca bene la Chiesa di Roma, che sappia prenderla a cuore nelle sue povertà e nelle sue ricchezze, che badi ai concreti risultati dell’evangelizzazione più che al contenitore artistico delle basiliche dell’Urbe, bello ma spesso vuoto di contenuti ecclesiali.
Chi potrebbe essere il nuovo Vescovo di Roma?
Un thread accolto bene…
Ho ricevuto in privato e in pubblico molte richieste relative alle mie previsioni sul nuovo Papa. Alla fine mi sono deciso a scrivere un thread sul mio account X-Twitter che, a sentire qualche commento, si è rivelato utile. Per questo lo riproduco qui.
I Signori Cardinali eleggono il Vescovo di Roma – che in quanto tale è Papa della Chiesa cattolica – rappresentando il clero di Roma.
Io appartengo al clero di Roma.
Attenzione! Siamo circa 600 preti, quelli che lavorano a Roma non sono tutti del clero di Roma.
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— Ugo Quinzi (@QuinziUgo) April 21, 2025
I Signori Cardinali eleggono il Vescovo di Roma – che in quanto tale è Papa della Chiesa cattolica – rappresentando il clero di Roma. Io appartengo al clero di Roma. Attenzione! Siamo circa 600 preti, quelli che lavorano a Roma non sono tutti del clero di Roma.
Volevo precisarlo, a beneficio pure di quelli che non me lo hanno chiesto in privato. Questo sarebbe il terzo Vescovo eletto durante il mio ministero. MAI nessun Padre Cardinale ha chiesto il mio parere. Perché il cardinalato è una finzione giuridico-pastorale.
Si tratta di un titolo molto antico, quello di Cardinale, risalente circa al V secolo. Nulla a che vedere con il core (nocciolo) teologico dei ministeri ordinati. Ma necessario per l’organizzazione giuridico-pastorale della Chiesa. In passato cardinali lo furono pure laici.
Scelti liberamente e direttamente dal Pontefice regnante, negli ultimi due secoli sono diventati la rappresentanza della Chiesa universale. Perdendo gradualmente (e definitivamente) il carattere locale: è il clero di Roma che elegge il suo Vescovo.
Mi chiedete chi sarà eletto? Lo Spirito Santo farà la sua parte. Senza con ciò violare la libertà umana. Voglio dire: è lo Spirito Santo a scegliere il Vescovo di Roma? Papi come Alessandro VI? No, non direi. È lo Spirito Santo a ispirare. È dei Cardinali scegliere.
E i Cardinali sceglieranno con le loro caratteristiche umane, eminenti ma fallibili. Sceglieranno interpretando interessi spirituali, locali, politici, economici; antipatie e simpatie; ambizioni e santità. Uscirà fuori il nome migliore?
Nessuno può dirlo né sperarlo. Ma Dio, che si riserva sempre l’ultima parola, è lui che ha il potere di trasformare il cuore degli uomini, di migliorare ciò che appare irredimibile, di piegare ciò che è rigido e di sanare ciò che sanguina. Anche in un Papa mediocre.
Quindi non chiedetemi altro. Preghiamo il buon Dio di accogliere Jorge Mario in Paradiso e di illuminare i Signori Cardinali. Cosa che farà meglio di noi del clero di Roma. Preghiamo il buon Dio per il nuovo Vescovo di Roma. Dal quale ci attendiamo esempio, verità, fede.
… ma non da tutti
Qualche voce dissenziente però c’è stata. E meno male! Altrimenti avrei dovuto dubitare della bontà delle mie affermazioni.
L’utente @LorenzoMarra75 ha risposto al thread mettendo in discussione la mia posizione.
Onestamente trovo difficoltà vera a comprendere questo post. O si crede nell’assistenza, la guida e la vigilanza del Paraclito, promesso da nostro Signore, oppure è tutta una pagliacciata. Si si, no no.
— Lorenzo Marra (@LorenzoMarra75) April 21, 2025
Ho proposto qualche precisazione (qui).
L’effusione del Paraclito non modifica la libera coscienza umana, che resta fallibile. Si parla di “discernimento” proprio per purificare le scelte umane da inclinazioni non orientate a Dio. La scelta del proprio Vescovo da parte di una Chiesa è un atto ecclesiale.
Come tale nasce dall’incontro della volontà divina con quella umana. I credenti non sono marionette nelle mani del Signore. Sono collaboratori del suo progetto di salvezza. Se spesso lo concretizzano, non è escluso che lo rallentino.
Gesù ha promesso che la sua Chiesa nel tempo proseguirà la sua opera di salvezza, ma non che avrà successo. Quindi occorre considerare la possibilità reale che al suo interno convivano santità e peccato, ricchezza e miseria. E che gli uomini falliscano la loro missione.
L’elezione del Vescovo di Roma non sfugge a questa logica. I Signori Cardinali non sono superuomini o semidei. Nemmeno è detto che siano i più santi tra il popolo di Dio. Esercitano un ufficio assegnato loro dal diritto e dalle costituzioni ecclesiali.
Noi accompagniamo il loro lavoro pregando perché non lascino prevalere interessi personali o visioni parziali, ma restino in ascolto della voce della Chiesa docili all’azione dello Spirito. È pura dottrina cattolica.
L’utente ha risposto affermando che la scelta del Vescovo di Roma “non nasce dall’incontro di due volontà. Nasce dal volere di Dio” (qui). Ha precisato che “il singolo può fallire, ma non la Chiesa” ammonendomi che se non credo in questo non credo nelle parole di Gesù (qui). Ha quindi continuato affermando che
Gesù ha fondato la Chiesa, ne è il Capo e lo Spirito Santo la guida con la certezza che non soccomberà mai alle potenze degli inferi. Lei insiste su una visione umana che presuppone una “fortuna” nella scelta che può rivelarsi anche fallace. Con gli stessi parametri lo stesso Pietro sarebbe stato da lei definito una “cattiva scelta umana”. Iroso, rinnegatore, tentatore, dubbioso e violento. Ebbene, non fu affatto una scelta umana giudicabile con parametri umani. Fu scelto da Cristo stesso. Abbandoni queste categorie. La Chiesa è altro.
In modo un po’ provocatorio ho quindi “sfidato” l’utente a una disputatio sull’ecclesiologia cattolica in Gregoriana. Egli mi ha risposto così: “Non necessito di sapienza umana, soprattutto se declinata in una triste e squallida visione materiale che definisce l’elezione di Pietro come un fatto puramente umano e fallace sul fronte della rappresentatività clericale. Preferisco la Sapienza di Dio, quella del Vangelo” (qui).
Quella religiosità magico-superstiziosa per nulla cristiana
Ritengo la visione dell’utente in dissenso da me non immune da molteplici vizi. Primo tra tutti, la mentalità magico-superstiziosa che si rinviene alla base.
Si concorda naturalmente su espressioni circa la fede “nell’assistenza, la guida e la vigilanza del Paraclito, promesso da nostro Signore“, ma l’interpretazione conclusiva è diversa. L’utente @LorenzoMarra75 sembra attribuire a tale fede un valore se non di supplenza almeno di carattere magico. Grossolanamente, lo Spirito Consolatore prenderebbe il posto della libertà umana al fine di fare emergere il suo candidato al soglio pontificio. Ovviamente così non è.
A differenza di quanto sostenuto dall’utente in questione (la scelta del Vescovo di Roma “non nasce dall’incontro di due volontà. Nasce dal volere di Dio“), fa precisamente parte della rivelazione che ogni atto genuinamente religioso nasca dall’incontro della volontà umana e di quella divina. Così infatti è avvenuto in Gesù, vero uomo e vero Dio. Così è avvenuto nella Chiesa, comunità di credenti, la quale fin dai suoi primordi ha organizzato la sua vita interna operando scelte creative rispetto al contenuto della rivelazione stessa. E per quanto possa essere sorprendente, non solo il singolo può fallire, ma anche la Chiesa, comunità di credenti, nel suo complesso può fallire. Il fallimento in ambito religioso equivale alla mancanza di santità.
Con questa precisazione: mentre la Chiesa è infallibile (non può sbagliare) nel suo atto di fede, cioè nel credere in Dio, la stessa Chiesa non è infallibile nell’esercizio delle virtù, cioè nel suo essere santa. Il Concilio Vaticano II afferma chiaramente che “la Chiesa… è agli occhi della fede indefettibilmente santa” (LG 39). In altri termini, la santità di cui si riveste la Chiesa non ha difetti, essendo la medesima santità di Gesù che gliela dona. Ma poiché non si tratta di automatismo bensì di habitus, la santità – personale ed ecclesiale – deve essere accolta e indossata volontariamente e liberamente, con gratitudine verso chi ce la dona. Ancora una volta: è il libero arbitrio a fare la differenza.
L’assicurazione di Gesù che “le porte degli inferi non prevarranno” sulla Chiesa non può essere intesa in senso trionfalistico, come se la comunità dei credenti avrà sempre successo, qualsiasi cosa dovesse fare, anche sbagliata. Vorrei ricordare il destino delle sette Chiese dell’Apocalisse. Tra loro sette solo Smirne, che non doveva temere ciò che stava per soffrire, raggiunge a malapena i 15.000 cristiani su una popolazione di quasi 4 milioni di abitanti (ma l’intera Diocesi è molto più vasta della sola città). Delle altre chiese, Efeso, che aveva abbandonato il suo amore di prima, non esiste più; Pergamo – troppo tollerante verso pagani e eretici – è scomparsa; Tiatira, dissoluta e gettata in un letto di dolore, spenta; Sardi che non aveva opere perfette davanti a Dio: distrutta; Filadelfia, con poca forza, non ha più cristiani; Laodicea, né fredda né calda, che si credeva ricca mentre non sapeva di essere infelice, miserabile, povera, cieca e nuda, annientata da un terremoto e mai più ricostruita. Sinceramente non penso che la chiesa di Roma o quella di Parigi siano più al sicuro di quella di Efeso o di quella di Smirne (qui).
L’espressione deve essere invece intesa, più correttamente, come la garanzia che il piccolo gregge dei credenti non soccomberà mai di fronte al male e al peccato. Lungi dal pensare la Chiesa come un consesso di privilegiati, Gesù ha voluto consolare i suoi apostoli preparandoli ad affrontare il buon combattimento della fede.
Non prendo nemmeno in considerazione le interpretazioni che l’utente mi attribuisce circa pretese elezioni fortunose o circa la pretesa cattiva scelta di Pietro, che sono sue semplici speculazioni dettate dalla sua erronea impostazione. E sorvolo sul fatto che rifiuti il confronto perché, a suo dire, non gli interessa la “sapienza umana, soprattutto se declinata in una triste e squallida visione materiale che definisce l’elezione di Pietro come un fatto puramente umano e fallace sul fronte della rappresentatività clericale“. Tutte cose che esistono solo nella sua mente.
Quel che conta, e che nessuna mentalità magico-superstiziosa è in grado di scalfire, è che Dio ha tanto rispetto della dignità e della libertà umana da ammettere la possibilità che l’essere umano scelga qualcosa di differente da lui, anzi persino contrario a lui. Riservandosi comunque lui la parola definitiva, come già da me ricordato. E perciò usando tutta la sua onnipotenza e tutta la sua bontà perché, senza violare la libertà umana che rende l’essere umano a immagine e somiglianza di Dio, siano assicurate ancora oggi e sempre redenzione e salvezza.