… se ne fa un altro
Robert Francis Prevost è stato eletto Vescovo di Roma e si è dato il nome Leone XIV.
Il nuovo Papa dovrà affrontare il più urgente dei problemi della Chiesa: la sua Diocesi. Vocazioni ai minimi storici, fedeli in rapida contrazione, pastorale disordinata: sono solo i primi problemi del versante religioso. Poi ci sono i problemi del versante secolare, di cui il Vescovo non è diretto responsabile ma dai quali, al tempo stesso, non può sfilarsi. La Roma degli ultimi decenni è profondamente cambiata nel suo profilo antropologico, politico, economico, in una parola sociale. Appare una Roma sconosciuta ai suoi stessi pastori.
Con un pizzico di retorica ci si potrebbe chiedere se un Vescovo che non riesce a governare la propria Chiesa può aspirare a governare la Chiesa universale. In realtà la Chiesa di Roma, madre e capo di tutte le Chiese, che presiede nella carità la Chiesa universale, può dirsi unica sotto molti aspetti senza però potersi esimere dalle leggi che regolano la vita umana. Un Vescovo che la conosca e la ami non solo farà bene a lei ma farà bene alla Chiesa universale.
E nel contempo riuscirà, probabilmente, ad impostare quelle questioni che attendono da tempo una risposta: la revisione dell’esercizio del primato di Pietro, la riforma dell’autorità nella Chiesa, la ridefinizione dell’identità e del ruolo del sacerdote, soprattutto diocesano, per nominarne alcune (qui).
Perché, come scrivevo al Cardinal Zuppi in una una lettera di qualche anno fa:
La vera questione è di natura ecclesiologica. Dal fondo di questa cisterna fangosa in cui affondo esistenzialmente, come Geremia penso di avere una visione molto più lucida di tanti altri – anche di confratelli beatamente ignari e illusi di poter cambiare tutto perché nulla cambi – che ho espresso nel capitolo 7 del mio Rapporto statistico sul clero diocesano di Roma 2020. La Diocesi non lo ha preso in considerazione (ti ho scritto che tu sei l’unico ad avermi risposto) e mi ha fatto sapere che lo considera un lavoro “privato“. Ebbene, privatamente ti confermo che la Chiesa (di Roma e universale) del terzo millennio dovrà imparare a sedersi dalla parte dei perdenti, un cambiamento di mentalità che esige di scegliere il ruolo di quel sale e di quel lievito che scompaiono nella massa e la trasformano dall’interno. Attenzione! Non lei, Chiesa vittoriosa, seduta benevolmente sulla panca degli sfortunati, ma essa stessa – la Chiesa – perdente, sempre più simile ad un piccolo gregge, ad un resto di Israele, capace di credere e di testimoniare nonostante non abbia né aspetto né bellezza. Immagine più del servo sofferente di Jahvè che dei fasti imperiali a cui ci aveva abituato la Chiesa romana dei millenni precedenti.
Al nuovo Papa, Vescovo di Roma, rivolgo un solo consiglio, in forma di augurio: scegliendo i suoi collaboratori preferisca quelli leali a quelli fedeli. La fedeltà è dei coniugi; a nessun Papa è chiesto di rinunciare al celibato.
La lealtà è degli amici; ciò che ha offerto il Signore ai suoi discepoli e ha chiesto loro in cambio è amicizia, non matrimonio. Perché l’Amico – quello Vero – sarà sempre al fianco di chi gli è amico e non permetterà che si smarrisca. L’Amico “non fa prediche e non ti giudica“, conosce il “gusto amaro della verità“, “ti convincerà a non arrenderti“, “ti spinge a correre e ti lascia vincere” [Dario Baldan Bembo, Amico è (inno all’amicizia), 1982].
Auguro a Leone XIV sull’esempio dell’Amico di circondarsi di persone leali come amici piuttosto che fedeli come coniugi. Ma di trovare il modo di amare la sua Chiesa, la Chiesa di Roma, fedele come uno sposo verso la sua sposa.