Struttura antropologica della fede

L’uomo è strutturato per compiere razionalmente atti di fede.

Ciascuno di noi è solito affermare “Domani farò questo o quest’altro”. Uno studente prevede di raggiungere un diploma di scuola superiore pressappoco entro i 20 anni. Qualcuno si spinge a preparare la propria carriera lavorativa frequentando l’università e conseguendo una laurea. In tal modo l’uomo dimostra di possedere una ragionevole e incrollabile fede nel proprio futuro e nelle azioni che vi compirà. Grazie a tale fede relativa a quello che accadrà domani come conseguenza di azioni odierne egli è sostenuto nel compiere le azioni necessarie nel tempo. Pur tuttavia nessuno è in grado di assicurare in modo completo che la stella sole non sarà vittima di una catastrofe cosmica imprevedibile proprio domani o che chiunque possa vivere abbastanza a lungo per realizzare tutti i propri progetti. Questo primo aspetto della fede si qualifica con l’espressione “credere che“: crediamo – per esempio – che esista un futuro e noi ragionevolmente vi saremo operativi.

Accanto a tale aspetto se ne ritrova un secondo, basato sull’esistenza della realtà. Nessuno mette in dubbio che esistano gli oggetti e gli eventi. Anzi con il proprio ingegno l’uomo agisce sulla realtà nella fondata certezza di poterla modificare a proprio vantaggio. Trattare tonnellate di fumi di arrostimento dei minerali a base di solfuro di rame per ricavare pochi milligrammi di renio, ultimo tra gli elementi naturali ad essere scoperto, da fondere in lega con il molibdeno per realizzare superconduttori impiegati in varie applicazioni tecniche e scientifiche implica e dimostra una grande fiducia nelle capacità umane in grado di operare importanti cambiamenti all’interno dell’universo abitato. Nonostante l’uomo sperimenti quotidianamente l’ambivalente valore delle proprie azioni e scoperte, che faticosamente ricercate per il bene spesso mostrano evidenti effetti negativi. In questo secondo caso prevale il senso del “credere a“: crediamo – per esempio – a ciò che vediamo e possiamo manipolare come entità depositarie di una verità oggettiva.

Un terzo tipo di fede riguarda i rapporti umani. Quando una persona cara ci dice: “Ti voglio bene” o sul posto di lavoro l’azione di un collega ci disturba e fa nascere in noi un moto di rabbia, rimediato solo al momento in cui egli ci dice: “Ti chiedo scusa”, noi dimostriamo una grande capacità di fidarci in modo ragionevole di quanti – con le parole e con i fatti – non ci fanno dubitare di quel che dicono e del contenuto delle loro parole. Ancor di più. Attraverso la conoscenza delle persone ci sentiamo tanto spinti a tale fiducia da arrivare al punto di mettere la nostra vita nelle mani di un chirurgo, dell’autista del bus o degli educatori dei nostri figli. Pur sapendo che nei rapporti umani esiste uno spazio imponderabile e imprevedibile di menzogna (non sempre chi dice di amarmi mi ama veramente e chi dice di scusarsi ha questa intenzione), di impreparazione e malizia che possono addirittura mettere a repentaglio la nostra incolumità e procurare danni seri a noi e a chi amiamo. Tale tipo di fede si riassume nell’espressione “credere in“: noi crediamo in qualcuno – per esempio – al quale affidiamo i nostri interessi o il nostro mondo affettivo e ci fidiamo (quasi) ciecamente di lui.

La fede religiosa è un fenomeno antropologico perché riguarda l’uomo ed è anche fenomeno teologico perché riguarda Dio. In questo orizzonte è sostenibile la tesi per cui la fede religiosa riveste un ruolo mistico, nel senso che origina da e spinge alla contemplazione del sacro, come pure nel senso che il disvelamento della divinità avviene nell’incontro di due volontà (come nel matrimonio). La fede religiosa si muove sullo sfondo delle perplessità e dei dubbi evidenziati nell’ambito dell’esperienza umana: gli scenari di incertezza del futuro, di ambiguità dell’agire umano, di imponderabile sviluppo dei rapporti interpersonali sembrano viziare in modo ineluttabile la vita intramondana dell’uomo.

La fede religiosa si assume la responsabilità, tra le altre, di dare risposta alle domande che nascono da tale esperienza: alle domande dello scettico (“Davvero è possibile pensare un oggetto di fede libero da questi vizi originali?”); del relativista (“Chi può garantire che esista un assoluto in grado di reggere la sfida della fede umana?”); dell’individualista (“Vale la pena rischiare per qualcosa di tanto alieno dall’esperienza del singolo?”); del soggettivista (“In che modo potrebbe diventare atto di fede ciò che è frutto della mente dell’uomo?”); del nichilista (“Ha senso anche solo riflettere intorno ad argomenti di cui non si sa nulla e poco o nulla potrebbero cambiare la condizione umana?”).

(dedicato all’amico-di-twitter Carlo Alberto Carnevale-Maffè, @carloalberto)