Emoticons politici. Lettera aperta ad Alessandro Di Battista

Carissimo Alessandro,

lo so che sei onorevole, ma preferisci farti chiamare “cittadino alla Camera dei Deputati”;so pure che hai Facebook (ma io non frequento quell’ambiente), un tuo seguito blog (www.alessandrodibattista.it), un account Twitter (@ale_dibattista) e dibatti di fatti politici solo con gli attivisti pentastellati. E probabilmente avrai uno staff che si occupi di tale massiccio impegno comunicativo! Però io voglio parlare proprio a te.

Scusa il tono familiare del “tu”, potrei essere non dico il tuo “padre precoce”, ma almeno il tuo “zio giovane”. Non ti offendere di questa familiarità, mi permette di essere ancora più sincero. E ti prego di considerarmi cordialmente tale, anche se non sono un elettore del tuo movimento-partito.

Ho letto su Il Post un articolo che ti riguardava annunciato da questo tweet

e mi ha molto impressionato.

Estraggo qualche frase, letta in quello che viene presentato come il tuo post su Facebook:

  • Noi non siamo come i politicanti di professione che, dopo ogni elezione, riescono a mettere maschere
  • Io ieri sono stato malissimo. Non ho mangiato nulla per ore e avrò fumato 30 sigarette, proprio io che non fumo quasi mai
  • Confidavamo nel fatto che l’impegno che ci abbiamo messo (credetemi abbiamo dato l’anima), che aver studiato giorno e notte per smascherare le indecenze nascoste nei decreti legge, sarebbero bastati per vincere
  • Ci siamo sbagliati. Mi sono sbagliato. La strada è lunga. Lo capisci quando pensi a quanti voti ha preso Raffaele Fitto, FI, un giovane condannato (in I grado) a 4 anni di reclusione e a cinque di interdizione dai pubblici uffici per i reati di corruzione, illecito finanziamento ai partiti e abuso d’ufficio. Secondo eletto in Italia per numero di preferenze!
  • Il muro è ancora in piedi (e i sorrisi di oggi qui in commissione lo dimostrano) e io ho la testa fasciata. Tuttavia, e vi prego di credermi, non sono affatto parole di circostanza, io delle crepe in quel muro le vedo. Le vedo con chiarezza
  • Io oggi sto molto meglio. Nei prossimi giorni andrò a dare una mano dove siamo arrivati al ballottaggio e mi terrò nel cuore un popolo che a piazza San Giovanni grida onestà, onestà, onestà
  • Siamo arrivati in finale e abbiamo straperso ma le finali non si possono perdere sempre. Ne arriveranno delle altre. A riveder le stelle

Per capire qualcosa di più ho anche acquistato il libro curato da Marco Laudonio (@marcolaudonio) e Massimiliano Panarari (@MPanarari) Alfabeto Grillo. Dizionario critico ragionato del Movimento 5 Stelle (Mimesis Edizioni, Milano 2014). Mi aveva incuriosito una frase letta su Twitter che faceva parte dell’articolo Boom di Marco Pacini (@marpaxi). Te la cito (p. 47).

Il boom del grillismo vive in un paradosso che mette almeno in parte fuori uso gli strumenti tradizionali dell’analisi politica… Il “grazie a” di questo paradosso si può riferire al fatto che quello della politica è diventato, insieme ad altri aspetti della vita sociale, sempre più un dominio psicologico-emotivo”

Sul perché della mia curiosità te ne parlo dopo. Andando avanti nella lettura del libro mi sono imbattuto anche in qualcosa che riguardava te. Per me che non ti conosco (strano “zio”) una specie di rivelazione. A scrivere è Daniel Pommier Vincelli (@danielpommier) nel suo articolo (Neo)Fascismo (pp. 87-88) dove afferma che nel Movimento 5 Stelle

Vi è un’ala intransigente, movimentista, radicale e violenta incarnata dal deputato Di Battista. Il giovane ex catechista e cronista delle favelas sudamericane se scrostato dalla patina terzomondista è un Farinacci, intransigente e radicale fino alla morte (lo ha detto lui stesso), che è capace di vedere il partito e il leader sullo stesso piano come strumento della rivoluzione, esattamente come il ras di Cremona vedeva il rapporto tra il fascismo e il suo fondatore.

Non scrostiamo solo te, Alessandro. Scrostiamo anche il pezzo dal tono polemico pre-elettorale, almeno fintanto ci permetta di capire come tu e il tuo operato veniate recepiti dalla gente. Ammettiamolo: Roberto Farinacci non fece una gran bella fine e non penso proprio che il dotto Vincelli volesse pensare a questo rassomigliandolo a te. Lo scusa la sua (di Vincelli) giovane età (pure lui!), non certo quel pizzico di alterigia caratteristica dei politici della nostra contemporaneità. Se io aspirassi a fare il politico, mi sottoporrei ad un bagno di umiltà e come il Re Salomone in preghiera chiederei al Signore non denaro né successo, ma un cuore docile che sappia rendere giustizia al popolo e sappia distinguere il bene dal male (cfr 1Re 3,9), non certo ridicolizzare l’avversario politico, mancare di rispetto alle opinioni diverse dalla mia o prevaricare il più debole. Ma io sono io, e non sono un politico. E nemmeno un comico!

Ti chiederai perché ti scrivo. Cerco di esporre rapidamente e in sintesi le mie due ragioni.

La prima. Leggendo le tue parole su Facebook ho provato tanta tenerezza per te e sono stato rafforzato nella mia convinzione che, come vi fu il secolo dei lumi (1700) che diede origine all’illuminismo; come vi fu il secolo dei romantici (1800) che diede origine al romanticismo; come vi fu il secolo breve (1900) che ancora non si sa a cosa ha dato origine; così si è inaugurato il secolo delle emozioni (2000), che sta dando vita all’emozionismo. Forse è un tutt’uno con il 1900, ma solo la storia successiva ce lo potrà confermare.

Forse mi sbaglio, ma mi pare che nel tuo post tu dimostri di essere un figlio di questo secolo: totalmente immerso nelle tue emozioni, completamente preso dalla necessità impellente di condividerle persino con sconosciuti, disperatamente aggrappato ad esse come al motore che genera la tua energia interiore. Non metti maschere; ieri sei stato malissimo, oggi stai meglio; metti l’anima in quello che fai pensando che questo basti a convincere l’elettorato e poi alla fine ti sbagli; ma sei tu il visionario che sa che il muro è crepato; ripensi al popolo della piazza mentre grida onestà e questo ti carica della speranza di rivedere le stelle.

Questo è tutto ciò che io chiamo emozionismo. L’emozionismo non ha bisogno di filosofia, né di dati, né di verità, né di fede religiosa, né di scienza, né di politica, né di razionalità, né di autocritica costruttiva, né di strutture, né di progetti, né di programmi. All’emozionismo basta vivere qualcosa, qui ed ora, soddisfare un bisogno, vincere una depressione o provare uno stato d’animo, sentire che tutto va bene, essere sempre innamorato: di un’idea, di una persona, di un lavoro, di un animale. Pur di sentirsi vivo.

Volevo dirti che questa, ovviamente, non è la mia idea né di res-publica, di cosa pubblica e di chi l’amministra, né di umanesimo integrale. Ma il punto non è questo. Il punto è: cosa può produrre di reale e di non temporaneo chi si affida alll’emozionismo? A parte gli spot pubblicitari, intendo. A parte la politica spettacolo, intendo. A parte le piazze piene (per un politico o per un papa), intendo. Mi piacerebbe rifletterci con qualcuno. Ed ecco spiegata la mia curiosità per il citato articolo di Pacini.

La seconda ragione. Il libro curato da Laudonio e Panarari offre una visione forzatamente di parte (parziale) e in qualche tratto anche ingiusta del Movimento 5 Stelle. Come per esempio nell’articolo di Giovanni Boccia Artieri (@gba_mm) il suo sferzante commento alle affermazioni di Grillo rispetto all’idea di Rete come luogo aperto di confronto (p. 68), oltre alle parole già ricordate scritte su di te. Ma dimostra un interesse che se pur viziato dalla distanza politica e dalla voglia di “confronto sulla ed alla esibizione della comprensione del problema” dà atto al Movimento 5 Stelle di aver saputo vincere qualche scommessa nel tempo con la “t” minuscola (Mario Lavia [@mariolavia], p.184). Da parte mia sono certo che la rabbia di tante persone, intercettata dal M5S, sia ampiamente giustificata. E sono anche certo che le società occidentali si trovino – tutte – in un grave periodo di crisi sistemica, di cui l’economia è solo un aspetto tanto più appariscente quanto meno determinante. Un occidente al tramonto, direi, se non fosse sterile tautologia.

Trovo illusorio, caro Alessandro, attribuire all’apocatastasi cosmica un valore catartico e soterico, quasi che la politica della rivoluzione a tutti i costi abbia mai portato qualche miglioramento all’umana società da qualche parte, geografica o storica. Sai cosa penso? Penso che la vera vittoria della politica in Italia non sarà quella di una forza politica, qualsiasi essa sia, che riuscisse a conquistare maggioranze bulgare per legiferare e governare. Alla fin fine tutte le dittature, fasciste o comuniste, sono sempre cominciate come una schismogenesi che prometteva nuovi paradisi terrestri a patto di respingere il passato e chi lo rappresentava. Ma la divisione, tra uomini, tra partiti, tra società, racchiude in sé qualcosa di diabolico (dal greco dià-ballein = dividere).

La vera vittoria della politica, nell’amore e nel servizio alla polis, sarà quella di chi riuscirà ad unire gli uomini, i partiti, le società, a creare cioè un valore simbolico (dal greco sin-ballein = mettere insieme, unire), se necessario nuovo o rinnovato. Una cosa analoga a quella che è accaduta con il linguaggio nei messaggi elettronici attraverso gli emoticons [dall’inglese combinazione di emot(ion) ‘emozione’ e icon ‘icona’], un metodo rapido ed efficace per comunicare i propri stati d’animo in modo grafico.

C’è da riscrivere una grafica della politica che parli al cuore della gente, ma senza dividerla; che sia in grado di suscitare stati d’animo, ma senza indulgere nell’emozionismo; che sappia realizzare il bene comune, ma senza partigianerie e tentazioni di aberranti annientamenti. Forse è anche questa l’onestà (intellettuale e morale al tempo stesso) che si può riconoscere nel grido delle piazze. Volevo chiederti: perché non provi tu, ex catechista e cronista delle favelas sudamericane,  a proporre costruttivi rinnovati “emoticons politici”?

Fatti vivo. “Zio” Ugo :)