Rapporto statistico sul clero romano 2020

Roma, 31 dicembre 2100. Il futuro temuto

Dal diario di un prete nato a Roma nel 2062

Io entro nel decimo anno da prete mentre si sta chiudendo il primo secolo del terzo millennio cristiano.

Potrebbe essere una grande festa, ma almeno qui a Roma si festeggia poco. La crisi morde, molti non riescono a mettere insieme il pranzo con la cena.

Molti… poi bisognerebbe capire cosa vuol dire “molti”. Ormai da decenni Roma è spopolata. Alcuni quartieri non esistono praticamente più. I costi per restare in città sono troppo elevati, chi ha potuto è andato in campagna, dove è più facile riscaldarsi d’inverno e coltivare un orto. Se è necessario venire in città per lavoro, preferiscono fare i pendolari piuttosto che abitarci. Ma tanto con la storia del decentramento pure il pendolarismo si è parecchio contratto…

Del resto dopo una certa ora in città non si gira più. I “mentali”, come li chia­miamo tutti un po’ per abbreviare un po’ perché da qualche decennio il poli­tically correct ha abolito la parola “malati”, sono soliti uscire dai loro alloggi la sera, per procacciarsi il cibo. L’Assicurazione Sanitaria Nazionale (quella che ha preso il posto del vecchio Servizio Sanitario Nazionale crollato sotto il peso dei debiti) copre poco e niente, nemmeno i farmaci salvavita se un iscritto non è in regola con le quote.

I “mentali” provano spesso a bussare alle Parrocchie, si sono abituati così, dopo la crisi del 2030… crisi preannunciata, ma chi le ha dato retta? Ovviamente par­lo delle Parrocchie che sono rimaste aperte. Alcune tra­sformate in club di lusso, cosa ci facciano dentro meglio non saperlo. Nelle altre sono fortunati se gli apre un laico dell’équipe pastorale, i diaconi sono troppo an­ziani e non li fanno restare da soli per certe necessità, mentre noi preti ci dobbiamo spalmare sul territorio, sempre in giro per qualche sacramento o per qualche fami­glia. Ne siamo rimasti pochi, di preti, e abbastanza malmessi. Il fatto che non esista più da decenni un contributo statale per il nostro sostentamento ci ha resi dipendenti da elemosine e offerte, i preti che una volta venivano in Italia in cerca di stabilità pa­storale ed economica non vengo­no più a Roma, preferiscono andare in Santa Sede… oppure vanno in Toscana… qualcuno lavora, ma allora in Parrocchia si vede poco…

Non che lavorare impegni tutti allo stesso modo. I lavori manuali sono restati gli stessi, si lavora con la solita fatica fisica. I lavori impiegatizi, amministra­tivi, persino quelli formativi invece si fanno quasi tutti in smart working con grande uso di internet e di telefono. A volte si sta giorni interi tappati in casa “a lavorare”, i contatti sociali sono piuttosto limitati, giusto gli happening, le feste, le fiere, le sa­gre. Ci siamo abituati così fin dalla grande pandemia del 2020, la nostra generazio­ne è nata e cresciuta con la mascherina in faccia… e poi a seguire le altre situazio­ni di pericolo planetario… noi preti lavoratori siamo impegnati buona parte della giornata… il resto lo passiamo a riposare o ad andare a cena dalle famiglie…

Certo, chiamarle famiglie… gruppi allargati di conviventi, GAC li chiamia­mo… In periferia ci sono interi stabili abbandonati abitati da GAC nordafri­cani, poi ci si sposta un po’ più in là ed ecco i sudamericani, attraversi la strada ci sono gli asiatici. Cerchi GAC italiani… ma cosa vuol dire italiano? Qui oggi il problema è che non si sa più cosa voglia dire italiano: li chiami nordafricani ma sono nati in Italia da genitori nati in Italia. Hanno il colore della pelle nero, ma non sono forse italiani? Però vivono da nordafricani tra nordafricani, qualche volta liti­gano con gli asiatici e ci scappa il morto, qualcuno ricorda la lingua dei nonni emi­grati, altri gi­rando per le strade vengono apostrofati pesantemente… italiani…. Di nuovi immi­grati nemmeno l’ombra. In Italia non vuol più venire nessuno, non si trova lavoro, giusto un po’ di turismo, che ci vengono a fare? Ormai nazioni ricche come la Ni­geria, con oltre un miliardo di abitanti, importano manodopera da qui… per chi riesce ad andarci, per chi riesce a tollerare il clima…

Il Governo ha prodotto un decreto, l’ennesimo Decreto del Presidente del Consi­glio dei Ministri, per limitare gli episodi di razzismo. Eh sì che il Presidente del Consiglio lo conosce bene, il razzismo, lui di origini indiane e musulmano non ha dimenticato le difficoltà incontrate dai suoi antenati. Persino lui però ha qualche problema a far applicare i suoi decreti, è difficile intendere il burocratichese, è dif­ficile capirsi se non si parla la stessa lingua, tra etnie e religioni diverse… Per for­tuna ci sono i mediatori culturali, i più bravi si sono dimostrati i missionari del Vi­cariato Apostolico d’Etruria, che ha competenza anche qui a Roma. Il fatto che provengano dallo stesso paese di origine e conoscano la cultura occidentale li aiuta non poco a farsi capire… Davanti ai preti cinesi del Vicariato Apostolico tutti sol­leviamo le braccia… Uniti, grandi lavoratori, non si sottraggono a nessuna fatica e a nessun servizio. Seguono fedelmente le indicazioni della Santa Sede a Pechino e la loro testimonianza supera…

Perché sorpresi? Ah, non ve l’avevo detto? La Santa Sede non sta più in Vatica­no, il Papa non sta più a Roma, da anni ormai. Il Vaticano si è trasformato in una città-museo e il Papa ha trasferito la Sede Apostolica a Pechino

La crisi morde…