Zibaldone della settimana – 22
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E se in Conclave entrassero esponenti della cultura e della società civile?
La domanda/proposta polemica
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E se in Conclave entrassero esponenti della cultura e della società civile?
Ma non sarebbe ora, visto il meraviglioso e sincero successo di papa Francesco tra gli atei, di fare entrare nel conclave esponenti della cultura e della società civile? Assicurerebbe un dibattito vero e democratico fondato su valori universali condivisi, inclusivi e responsabili
— Antonio Sch (@sch_antonio) April 28, 2025
L’elezione del Vescovo di Roma per secoli è avvenuta con il sostegno di “clero e popolo di Roma”, sul modello del “senatus populusque romanus“.
Crescendo di importanza il papato, le famiglie nobiliari manipolavano il gradimento popolare e armeggiavano tra loro.
L’obiettivo era far eleggere un Papa della propria schiatta. Spesso non il migliore possibile, ma in buona parte “politico” come richiedevano i tempi.
La graduale affermazione dei Cardinali quali rappresentanti, almeno formali, di quel clero e di quel popolo ha rappresentato per molto tempo un modello solo in parte virtuoso.
L’attuale disciplina, che vede i cardinali praticamente tutti vescovi e la tradizionale suddivisione solo onorifica, si è cristallizzata di fatto negli ultimi due secoli.
E, considerata la storia bimillenaria dell’istituzione, direi che al giorno d’oggi si può considerare uno splendido esempio di purificazione dell’istituzione del Conclave e del governo della Chiesa.
In passato ho sollevato pure io qualche perplessità sul fatto che il Collegio cardinalizio rimanga una rappresentanza meramente formale del clero di Roma, che di fatto non partecipa all’elezione del suo Vescovo.
Ho proposto, in modo puramente dialettico che, accanto ai Cardinali, ormai rappresentanza più della Chiesa universale e meno di quella romana, all’elezione del Vescovo di Roma partecipassero pure i vicari foranei, che a Roma hanno nome di “Prefetti” (qui).
I Prefetti sono una quarantina, sono eletti direttamente dal presbiterio romano, possono rappresentare adeguatamente gli orientamenti del clero e del popolo che attendono il proprio pastore.
Non vedrei per ora opportuno che si tornasse alla disciplina più antica con la partecipazione di soggetti laici. Siamo su questo mondo. Purtroppo nessuna istituzione, nemmeno la Chiesa, è immune da appetiti di vario genere.
Le fragilità umane non si possono annullare completamente, ma si possono ingabbiare in istituzioni e procedure che riescano ad attenuarne gli effetti.
L’istituzione ottimale per eleggere il Vescovo di Roma, Papa della Chiesa universale, con le sue procedure è il Conclave di soli Cardinali, al più con la partecipazione dei Prefetti della Diocesi di Roma.
Grazie per la tua acuta osservazione!
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La domanda/proposta polemica
Leggendo il mio Zibaldone l’amico Mauro ha avanzato una domanda/proposta polemica ma non troppo: “e se la Chiesa separasse le cariche di Pontefice e di Vescovo di Roma, equiparando quest’ultimo a qualsiasi altro vescovo?” (qui). Anzitutto onorato della lettura e della domanda/proposta.
Un tentativo sintetico di risposta si muove su due terreni, uno storico (Terreno Storico, abbreviato: TS), un altro teologico (Terreno Teologico, abbreviato: TT). Le sigle ci saranno utili per comprendere come nella questione i due terreni siano fortemente connessi tra loro.
Alla morte degli Apostoli, quelli che il Signore Gesù aveva scelto come “pilastri” su cui fondare la sua Chiesa (TT), si presenta il problema di come continuare la loro opera (TS). Sono gli Apostoli stessi a risolverlo, forti del mandato del Signore di dare vita ad una comunità di credenti radicata nel tempo e nello spazio: scelgono loro successori con il compito di custodire il deposito della fede e di santificare e reggere il Popolo di Dio, ordinandoli allo scopo attraverso il gesto dell’imposizione delle mani (TT). Questi successori riceveranno in seguito il nome di “vescovi“, mutuato dalla gerarchia laica del tempo. Il termine “vescovo” infatti significa “ispettore”, “sovrintendente” e la sua figura era quella di un funzionario dell’Imperatore (TS). Ai Vescovi si affida una porzione del Popolo di Dio, per quanto le loro funzioni siano esercitate collegialmente, come accadeva con gli Apostoli (TT). Ad un solo Apostolo Gesù aveva riservato un ruolo particolare, e questi era Simone, da Gesù chiamato Pietro (TT). Pietro è capo del collegio apostolico nel quale, è bene ricordarlo, tutti gli Apostoli sono uguali in dignità e in funzioni (TT). Tale rapporto, mutatis mutandis, viene replicato dai Vescovi e dal loro collegio (TS). In questo senso rispondo anche ad una questione sollevata da Mauro: il Papa è un Vescovo come tutti gli altri, dunque né sul TS né sul TT è necessario proporre una qualche iniziativa di equiparazione.
In che modo si è giunti ad attribuire al Papa di Roma (bene precisarlo, perché nella Chiesa cristiana esistono diversi Papi, per esempio il patriarca di Alessandria dei Copti e il patriarca greco-ortodosso di Alessandria; Papa, infatti, è un titolo onorifico) l’importanza che sul TS ha ricevuto? Sostanzialmente per una unica ragione: il Papa di Roma si considera il successore del primo Vescovo di Roma, tradizionalmente riconosciuto nell’Apostolo Pietro, e di conseguenza ne replica le funzioni come Capo del collegio episcopale. Insomma, al fine di assicurare il primato di Pietro (TT) la Chiesa cattolica ha individuato nella successione del Vescovo di Roma la garanzia di continuità (TS). Perciò la questione di partenza (“e se la Chiesa separasse le cariche di Pontefice e di Vescovo di Roma?“) si risolve in definitiva con una risposta negativa: allo stato attuale è impossibile separare la “carica” di Papa di Roma, e quindi del Capo del collegio episcopale, da quella di Vescovo di Roma.
Tutto risolto, allora?
Sì, ma soprattutto no. L’amico Mauro con la sua domanda/proposta ha toccato uno dei temi dibattuti sul TT perché non pochi si chiedono se sul TS sia ancora valido l’attuale modo di esercitare il primato di Pietro. Precisiamo ancora una volta: la Chiesa nella sua esperienza millenaria cerca di attuare e di contestualizzare la missione ricevuta da Gesù, fedele al suo mandato. In questo mandato è compreso il primato di Pietro. Le modalità di esercizio del primato di Pietro si sono rivelate nel tempo con sfumature diverse. Si è andati da un collegio presbiterale a un episcopato monarchico, da un modello curiale all’odierno esercizio “collettivo” con il contributo del Padri Cardinali, per questo tutti Vescovi. Quindi le esperienze sul TS per assicurare la continuità del primato di Pietro (TT) sono state diverse e non è detto che quella attuale debba rimanere così per sempre, soprattutto in considerazione delle grandi ispirazioni ricevute dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Della necessità di una revisione dell’esercizio del primato di Pietro, su cui si sono peraltro espressi tutti i Pontefici da Paolo VI in poi, ho scritto pure nel mio blog considerandolo il primo tema da affrontare dalla chiesa debole del terzo millennio e vedendo la possibilità che si individuino forme più spinte di collegialità e di sinodalità (qui), senza escludere modalità ecumeniche (con le altre confessioni cristiane).
Resta ancora fermo un riferimento alla sede apostolica di Pietro, tradizionalmente considerata Roma, per la sua concentrazione storico-religiosa di orizzonte universale (= cattolico) e di testimonianza di fede (= martirio). Ciò non toglie che la Chiesa in futuro possa trovare maggiormente rispondente all’esercizio del primato di Pietro individuare una nuova sede. Lo stesso Pietro, infatti, si trasferì da Gerusalemme ad Antiochia, quindi a Roma, e con lui trasferì le sue prerogative, le quali sono da considerare personali e non locali, nella prospettiva del bene della Chiesa.
Insomma, rilancio con un mio stagionato post: e se il Papa non stesse più a Roma, ma a Pechino?