Problemi di pontificato

Il pontificato di Giovanni Paolo II ha lasciato parecchi nodi irrisolti. Alcuni li ha creati lui stesso. Altri sono stati determinati dalle novità introdotte con il Concilio Vaticano II che, a dispetto di quanti lo considerano un concilio “non dogmatico” ha sollevato questioni nuove e aperto spazi di azione nuovi per una chiesa che deve confrontarsi con un mondo in rapido movimento. Naturalmente intendendo sempre tenere fermo il valore immutabile del vangelo, e attribuire all’aggettivo nuovo un significato che cerca di salvaguardare sia la realtà fenomenica, volubile per definizione, che quella “metafisica” (così l’avrebbero chiamata i filosofi di una volta) non soggetta a cambiamenti.

Altri nodi ancora hanno preso vita parallelamente allo sviluppo di alcune discipline scientifiche e delle tecnologie collaterali alle grandi scoperte dell’ultimo secolo. Tecnologie che hanno profondamente inciso sulla vita e sulla mentalità dell’uomo, a partire dalla più semplice, quella relativa alla mobilità umana, per cui il globo terracqueo, improvvisamente, è diventato più “stretto” di come si era immaginato. Ma soprattutto si pensi alle discipline che chiamano in causa direttamente l’esistenza dell’uomo: quelle mediche e quelle economiche. Ci si è resi conto per esempio che alcune categorie teologiche e filosofiche si erano – come dire? – ristrette e non potevano più attagliarsi all’uomo del XX e del XXI secolo.

In ambito ecclesiale i problemi sono apparsi evidenti con la crescita di fede e di pastoralità delle singole chiese locali. A tale crescita ha senz’alto contribuito il rinnovato esercizio del primato di Pietro successivo al 1870, anno in cui lo Stato del Vaticano, dopo oltre 15 secoli, perde le sue prerogative “temporali” e riprende a qualificarsi per il suo contenuto spirituale e il suo valore ideale. Perciò il Papa, non più monarca assoluto oberato dei fardelli politici ma pastore, guida, garante della fede cattolica, si riappropria del suo ruolo di difensore e promotore della comunione delle chiese locali (delle diocesi), dei vescovi tra di loro, in modo che si renderà possibile a tutte le chiese della comunione cattolica di sviluppare in libertà e con creatività la pastoralità della loro fede.

Senza pretesa di essere esaustivo, ritengo sia davvero importante sottolineare qualche problema che diventa non più rimandabile e chiede quindi di essere affrontato e risolto.

  • Revisione dell’esercizio del primato di Pietro, per adattarlo alle esigenze di una comunione piena tra le varie confessioni cristiane ().
  • Revisione del modello di collegialità dell’episcopato cattolico, affinchè gli interventi del Vescovo di Roma siano sempre meno interventi “disciplinari” e sempre più interventi al servizio della chiesa universale e della comunione cattolica ().
  • Revisione delle norme che regolano la ritualità e la liturgia nella chiesa cattolica, aprendo a significative autonomie nel rispetto delle tradizioni locali in vista di una migliore espressione della fede cattolica ().
  • Revisione delle modalità di produzione della ricerca teologica, con ampie possibilità di sperimentazione e di libertà di dibattito ().
  • Revisione dei modelli tradizionali di esercizio della pastoralità: parrocchie e ordini religiosi tra i primi ().

Ciascuna di queste cinque priorità mette in luce un complesso di problemi non strettamente riconducibile ad un elemento singolare. E perciò ogni semplificazione, soprattutto se caricata degli inevitabili fattori emotivi che circondano argomenti tanto delicati e appassionanti come quelli della fede, rischia non solo di non condurre ad alcuna soluzione, ma persino di vanificare lo sforzo di comprensione del problema stesso. Cercherò di sviluppare il mio pensiero a tappe successive, riportando gli argomenti trattati nella sezione di teologia, visitabile anche cliccando sopra i testi desiderati.

(17 aprile 2005)