Oggi? Siamo stati chiamati a reggere lo squilibrio. Parola di Papa Francesco alla Chiesa di Roma

Trascrizione ufficiale dell’intervento di Papa Francesco al Convegno Diocesano di Roma del 9 maggio 2019 (fonte: website · mirror pdf).

Quello di Papa Francesco alla Chiesa di Roma è stato un discorso complesso, da analizzare senza pregiudizi.

Come premessa vale il rinvio che lo stesso Francesco fa nel suo intervento al suo discorso ai partecipanti del Convegno ecclesiale di Firenze (2015), alla Evangelii gaudium (2013) e alla Evangelii nuntiandi (1975).

L’insistenza contiene un rimprovero nemmeno troppo velato:
«Oggi, se io domandassi: “Ditemi qualcosa del discorso di Firenze” – “Eh, sì, non ricordo…”. Sparito».

Qualcosa di simile potrebbe dirsi a proposito delle due esortazioni apostoliche citate: «A Firenze chiesi poi a tutti di riprendere in mano la Evangelii gaudium

Questo è il secondo punto di partenza dell’evangelizzazione post-conciliare. Il primo punto di partenza è il documento più grande uscito dal dopo-Concilio: la Evangelii nuntiandi. L’Evangelii gaudium è un aggiornamento, un’imitazione dell’Evangelii nuntiandi per l’oggi».

Si può sostenere che i ritardi nel recepimento della Evangelii nuntiandi siano alla base del magistero di Francesco? Non del tutto, perché dal 1975 ad oggi sono molti i rinnovamenti ai quali la Chiesa si è prestata. Francesco, invece, appare preoccupato per l'”oggi“.

Lo stile del discorso è consueto: diretto, provocatorio, con contenuti non inquadrabili in precise categorie (a braccio? omiletico? parenetico? meditativo? disciplinare?).

Si ha l’impressione che Francesco entri in dialogo con gli intervenuti e la sua Chiesa.

Francesco esprime il timore che la sua Chiesa possa “addomesticare” il messaggio evangelico, riducendolo ai confini di un pragmatismo “funzionalista“.

Egli invece vorrebbe proiettare la sua Chiesa verso l'”ascolto del cuore“.

Le due parole chiave (“ascolto” e “cuore“) caratterizzano non solo il discorso del 9 maggio ma l’intero ministero papale. Del resto esse sono connaturate al pensiero ignaziano, fatto proprio dai gesuiti.

Sono l’indizio di una spiritualità che privilegia la “passività“.

La Chiesa di Francesco, col suo approccio umile, disinteressato, ispirato alle Beatitudini, sceglie di essere “ricettiva” più che “propositiva“, “interiorizzata” più che “esteriorizzata“, collaborativa più che direttiva. Una Chiesa “dal basso“.

Papa Francesco gradirebbe questa analisi o la bollerebbe come “distillazione intellettuale“?

Al suo stile “esperienziale-carismatico” si attaglia maggiormente una teologia narrativa piuttosto di una teologia speculativa. Perciò la seconda.

Dal punto di vista pastorale l’appello al sentimento e all’emozione, tipico della teologia franceschiana, unito all’assenza di uno schema “pratico” entro cui collocare la necessaria azione potrebbe rivelarsi un boomerang: alimentare entusiasmi senza sbocchi operativi.

Quantunque Francesco, per formazione personale e religiosa, manifesti un debole verso aneddotica e casuistica, la validità delle conclusioni che se ne ricavano in campo pastorale è tutta da dimostrare. Il rischio è evidente: condanna all’insignificanza di chi non vi rientra.

Tuttavia è fuori dubbio che lo Spirito Santo agisca sulla Chiesa al di là dei suoi meriti e persino delle sue azioni. La parabola di sempre è la moltiplicazione dei 5 pani e dei pochi pesciolini che nelle mani del Signore sfamano migliaia di persone.

La forza indiscutibile delle parole del Papa risiede nel loro carattere di urgenza: la Chiesa di Roma deve rinnovarsi al passo dell’umanità contemporanea per portare il vangelo di Gesù a tutte le persone, soprattutto più deboli e più povere, agli esclusi e ai respinti.

Il carattere missionario – direi propriamente apostolico – della Chiesa si riconosce in un cambiamento sostanziale di mentalità (conversione). Smettere di preoccuparsi di sé, rinunciare all’egoismo, decidersi definitivamente per l’altro, senza ripensamenti.