30 apr 19 – Chi ha inventato l’ospedale moderno? La fede della Chiesa si misura con la profezia

Testo: Lumen Gentium 12

(scarica pdf)

Giona risputato dal grande pesce, particolare della Bibbia di Papa Giovanni XXII (XIV secolo)

Da qualche settimana stiamo facendo qualcosa che né i padri conciliari né i teologi che hanno partecipato al Concilio, forse nemmeno il Papa, avevano pensato si sarebbe potuto verificare. E cioè abbiamo aperto il Concilio, l’abbiamo messo davanti al Santissimo Sacramento, ci stiamo pregando sopra, ci stiamo meditando, lo stiamo spezzettando e stiamo sperando e pregando perché questa nostra azione per certi aspetti così umile – perché non facciamo cose grandi – contribuisca al rinnovamento della Chiesa. Non dimentichiamo che il fine di tutto il Concilio è rinnovare la Chiesa.

La Chiesa è uscita dal secondo millennio cristiano ed è entrata nel terzo millennio cristiano. Noi abbiamo la fortuna, la grazia, di poter dare uno sguardo all’indietro di 20 secoli. E ci rendiamo conto dell’abissale differenza, anche solo a spanne, tra i primi dieci secoli, quelli della Grande Chiesa cresciuta fino a diventare la forma religiosa più grande dell’occidente e dell’oriente, e la Chiesa del secondo millennio cristiano. La Chiesa degli ultimi dieci secoli è quella che ha costruito edifici sfarzosi come questo in cui ci troviamo, è la Chiesa dell’Inquisizione e quella del Papa Re, è pure la Chiesa dei tanti santi che hanno davvero innovato la vita dell’uomo.

San Giovanni di Dio salva dall’incendio i malati dell’Ospedale Reale di Granada, Manuel Gòmez-Moreno Gonzàlez (1880), Museo de Bellas Artes, Granada

Pensiamo, uno tra tutti, a San Giovanni di Dio. A volte su alcune cose non ci poniamo più domande perché fanno integralmente parte del nostro vivere quotidiano. Chi ha inventato gli ospedali, per esempio? Si potrebbe rispondere che una forma di ricovero per malati è sempre esistita, più o meno. Ma l’ospedale in senso moderno? Noi oggi entriamo in un ospedale, c’è un letto singolo, il paziente viene nutrito di cibo a carico del Servizio Sanitario Nazionale, c’è una cartella clinica personale, vengono somministrati farmaci. Chi ha inventato tutto questo?

L’ospedale moderno lo ha inventato San Giovanni di Dio1, il fondatore dei Fatebenefratelli, per intenderci. E non lo dico io, lo sostiene uno psichiatra famoso, peraltro non credente, Marco Ezechia Lombroso, detto Cesare. Il Lombroso definisce San Giovanni di Dio creatore dell’ospedale moderno:

Un fatto degno d’attenzione è, che in quanto al trattamento per i malati, Giovanni fu un riformatore, poiché non mise che un solo malato per ciascun letto; egli fu il primo che pensò a dividere i malati in categorie, fu insomma il creatore dell’ospedale moderno, fu il primo a fondare il workhouses aprendo nel suo ospizio una casa dove i poveri senza tetto ed i viaggiatori senza denari potevano dormire

(Lombroso Cesare, L’uomo di genio in rapporto alla psichiatria, alla storia ed all’estetica, Fratelli Bocca, Torino 1894, p. 505; website)

Prima di San Giovanni di Dio i malati venivano ricoverati tutti insieme, lui capisce che ogni paziente deve avere una sua cartella clinica, un foglio dove annotare le sue patologie e la sua storia clinica, e che i pazienti dovevano essere raggruppati per categorie di malanni. Se in precedenza i malati venivano fatti dormire in quattro nello stesso letto, spesso buttati per terra e soprattutto i più poveri lasciati senza cibo che doveva essere provveduto dai parenti, San Giovanni di Dio andava in giro per la città a questuare, furbescamente all’ora di cena. Perché qualcosa avanzava sempre nei piatti, soprattutto di quelli ricchi, e riusciva a portare la cena anche ai pazienti più poveri2.

Perché ho fatto questa lunga premessa? Perché prendiamo anzitutto coscienza che la Chiesa del terzo millennio dovrà essere, sarà una Chiesa completamente diversa da quella che ricordiamo. Ci saranno altri santi, ci saranno altre novità, e noi siamo qui a pregare il Signore di partecipare almeno un po’ al rinnovamento della Chiesa. Rinnovando il nostro modo di essere cristiani, spesso troppo appesantito da convenzioni, da idee e modi di fare tradizionali; niente di male essere attaccati alla tradizione, a condizione che non si perda di vista la contemporaneità.

E ho fatto questa lunga premessa soprattutto perché al numero 12 della Lumen Gentium i padri conciliari sembra stiano guardando al rinnovamento della Chiesa sotto due aspetti: l’aspetto del senso della fede e della morale e l’aspetto del senso dei carismi, dei doni che la Chiesa e i singoli ricevono. Due temi abbastanza differenti tra loro. Considerata la lunghezza e la complessità del paragrafo 12, ritengo di esaurire il commento nella prossima occasione, affrontando il tema dei carismi.

Questa sera cerchiamo di capire cosa pensano i padri conciliari del modo in cui noi cristiani effettivamente esprimiamo il nostro atto di fede. Insomma, al mattino si alza il primo don Ugo qualsiasi e dice: La fede è questo. Funziona in questo modo la vita della Chiesa, con il primo che si alza al mattino?

Sibilla Persica. Profeti e Sibille. Da Michelangelo Buonarroti giovane, Giorgio Ghisi (1540 ca.). Bulino. mm 570×445. Foglio: mm 598×470. Bartsch, 19. Heller-Andresen, 7. Massari, 186. Boorsch/Lewis, 47. Bellini (ghisi), 17. Monogrammata “G. MF” e datata “1540” con a seguire l’indirizzo di van Aelst, sul sedile della figura in basso a sinistra. Nel cartiglio al centro “PERSICHA”.

È chiaro, sostengono i padri conciliari, che abbiamo bisogno di profeti. La profezia infatti è una delle caratteristiche dell’essere cristiano. Non siamo solo un popolo sacerdotale, siamo anche un popolo profetico. Ma se noi pensassimo alla figura del profeta come ad una persona che preveda il futuro, commetteremmo un errore in partenza. I profeti non sono mai stati persone che prevedessero il futuro, una specie di chiaroveggente con la palla di cristallo, come le Sibille.

Il profeta dell’antichità, della Bibbia, era invece una persona che osservando con attenzione quelli che noi oggi chiameremmo segni dei tempi, riusciva a riconoscere la volontà di Dio, come se nella storia fosse Dio in persona a parlare. A volte effettivamente si trattava di sciagure che sarebbero avvenute, a volte si trattava di consolazioni. Ma il profeta non aveva il compito di anticipare il futuro, aveva il ruolo di leggere la realtà con gli occhi di Dio e illuminato da lui di interpretare per il popolo la Parola di Dio. Il popolo profetico che è la Chiesa, noi, abbiamo ricevuto un’unzione dal Santo – dicono i padri conciliari – per esprimere una fede profetica. Cioè capace di leggere la realtà con gli occhi di Dio.

Proviamo a fare un esempio valido per tutti noi, anche se un po’ crudo. I preti scarseggiano, le vocazioni sono diminuite. Non ci dobbiamo girare troppo intorno. Parliamo dell’Europa e dell’Italia. L’Europa è l’unico dei cinque continenti in cui diminuiscono sia la popolazione globale sia i cristiani. Altrettanto accade per i preti. Non abbiamo un numero sufficiente di vocazioni che rimpiazzeranno quelli che attualmente iniziano ad andare in pensione o vengono chiamati dal Signore. Cosa ci vorrà dire il Signore con tutto questo?

È importante essere capaci di leggere la realtà. In fondo la preghiera per le vocazioni non manca, il Signore ci ha raccomandato di pregare il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe e noi lo facciamo. Non mancano Giornate Vocazionali, incontri giovanili, ma anche meno giovanili, perché esistono anche le vocazioni adulte. Allora, perché il Signore non ci ascolta? Perché non manda i preti che chiediamo e di cui abbiamo bisogno? Occorre cercare una risposta che sia parola di Dio, e forse la risposta è che il Signore sta iniziando a chiedere ai laici un impegno maggiore. Laddove la Chiesa è un popolo – stiamo parlando di questo – a camminare non cammina uno solo, si cammina tutti insieme. Il laicato che i preti in passato hanno un po’ depresso (non per cattiva volontà, c’erano tanti preti, era quasi normale che facessero tutto loro), le donne, gli uomini che fanno parte della Chiesa in virtù del loro battesimo sono chiamati a dare un contributo maggiore. La mancanza di preti, la diminuzione dei cristiani in Europa sta suonando un campanello che dice: laici, su, coraggio! È arrivato il vostro tempo, la vostra ora.

Questa lettura della realtà che siamo chiamati a fare profeticamente, guardando il futuro, non è per pre-vedere chissà cosa, una riforma o una sciagura. Non è una sciagura che diminuiscano i preti, significa più semplicemente che il popolo di Dio dovrà diversificare compiti e assumersi impegni.

Profeta imberbe, Profeta barbuto o pensieroso e Profeta Geremia, Donato di Niccolò di Betto Bardi detto Donatello (1415-1436), Museo dell’Opera del Duomo, Firenze

I padri conciliari cercano di dare un indirizzo ben preciso per interpretare la realtà secondo la fede profetica. Come si fa a capire se la lettura che stiamo tentando di fare in questo momento sulla mancanza dei preti, è una lettura corretta, di fede profetica oppure è l’invenzione di qualcuno? I padri conciliari indicano un criterio: “il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo, quando «dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici» mostra l’universale suo consenso in cose di fede e di morale”. Quando tutto il popolo mostra un consenso universale, significa che l’assistenza dello Spirito Santo non è mancata. Non è facile. I cattolici sono circa un miliardo di persone. Un miliardo di persone dovrebbero pensare la stessa cosa. Secondo me è un miracolo già se solo due persone pensano la stessa cosa, figuriamoci un miliardo!

Fotografia dell’esecuzione di Giuseppe Monti e di Gaetano Tognetti, avvenuta il 24 novembre 1868 a Via dei Cerchi (Roma). Fu l’ultima esecuzione capitale dello Stato Pontificio.

Con l’espressione ricordata il Concilio Vaticano II ha ribadito un concetto che appartiene alla genuina tradizione cattolica. La fede è un consenso universale, Dio non permette che il suo popolo sbagli soprattutto nelle cose che riguardano lui. Tuttavia nella storia della Chiesa è accaduto che si commettessero azioni o si esprimessero posizioni teologiche poi riconosciute come errori relativi alla fede o alla morale. Mi aiuto con un esempio. Per secoli nella Chiesa cattolica si è tollerata e anche praticata la pena di morte. Nello Stato del Vaticano, prosecuzione dello Stato Pontificio, l’esclusione di fatto della pena di morte risale al 1969 con Papa Paolo VI, mentre la completa riforma giuridica risale al 2001 con Papa Giovanni Paolo II. Solo di recente (2018) anche il Catechismo della Chiesa Cattolica ha dichiarato inammissibile la pena di morte per volontà di Papa Francesco. Tutto dopo il Concilio.

Per secoli la pena di morta è stata ritenuta non solo accettabile e praticabile, ma anche doverosa. Abbiamo sbagliato come Chiesa, o no? C’è stato un consenso universale nella Chiesa cattolica intorno alla “bontà” – diciamo così – della pena di morte? No, non c’è mai stato. Se pure Agostino e Tommaso si sono espressi a favore, sono più i santi vittime della pena di morte che i santi suoi sostenitori. Un vero consenso universale non c’è mai stato. E oggi, nonostante si tirino fuori sempre nuove ragioni dai sostenitori, il consenso si è decisamente spostato contro la pena di morte. Non si può ritenere perciò la pena di morte né quale verità di fede né quale verità di morale. C’è stato oggettivamente un errore, di cui la Chiesa ha chiesto perdono. Perché quando si riconoscono gli errori, poi si deve chiedere perdono.

Il criterio dell’universalità di consenso rimane valido. Senza universalità di consenso deve scattare un allarme. Facciamo un controesempio. L’Assunzione di Maria Vergine al cielo, è un dogma di fede. Però scrutando le scritture, aprendo la Bibbia, spulciando le fonti storiche più accreditate, non troveremo una sola parola sull’Assunzione di Maria al cielo, o come dicono i nostri fratelli orientali, sulla sua Dormizione. Ma da quando c’è memoria della fede è sempre stato creduto e nessuno ha mai dubitato di questa verità. A me personalmente sembra una cosa così naturale che non mi viene nemmeno in mente di dubitare che Gesù, quando la Madre ha finito la sua esistenza terrena, se l’è presa e se l’è portata con lui in Paradiso. Lo farei pure io con mia madre se avessi questo potere. Nessuno ha mai dubitato di questa verità. Ecco quindi la proclamazione del dogma, non per inventare qualcosa di nuovo da credere, ma per confermare che tutti hanno sempre accettato – i nostri fratelli protestanti con difficoltà perché loro hanno globalmente difficoltà con il culto della Vergine Maria – una verità di fede.

Noi cristiani siamo chiamati ad essere popolo di profeti, cioè uomini e donne capaci di leggere la realtà storica con gli occhi di Dio e di leggere nella realtà storica l’opera di Dio. Per avvalorare la loro posizione, i padri conciliari forniscono un altro spunto molto interessante. Sostengono che “per quel senso della fede, che è suscitato e sorretto dallo Spirito di verità, e sotto la guida del sacro magistero, il quale permette, se gli si obbedisce fedelmente, di ricevere non più una parola umana, ma veramente la parola di Dio, il popolo di Dio aderisce indefettibilmente alla fede trasmessa ai santi una volta per tutte, con retto giudizio penetra in essa più a fondo e più pienamente l’applica nella vita”. L’avverbio usato dai padri è da sottolineare: indefettibilmente. Perché non hanno usato la parola infallibilmente? Infallibile significa che non sbaglia, che è sempre efficace. Indefettibile vuol dire senza difetto, è perfetta. Se avessero scritto infallibilmente qualcuno avrebbe potuto pensare che per essere un bravo credente fosse sufficiente comportarsi come tutti, seguire la parola dei vescovi e infallibilmente raggiungere gli obiettivi cristiani… ma tale modo di pensare distoglie dalla responsabilità personale. La fede viene donata a ciascuno di noi perché la coltiviamo secondo le nostre capacità, non per diventare robot o marionette nelle mani di qualcuno. Ecco perché i padri non usano l’avverbio infallibilmente, ma preferiscono indefettibilmente: perché se seguo la parola del magistero quello che credo non ha difetti, ma se non ci metto del mio, cioè retto giudizio e applicazione nella vita, non è detto che io raggiunga l’obiettivo.

Quando ci presenteremo in Paradiso nessuno di noi potrà dire: Sono a posto, ho sempre creduto a quello che dicevano i vescovi, e pensare di sentirsi rispondere: Ah bravo, accomodati! Non accadrà così. Invece si sentirà dire: Hai creduto a quello che dicevano i vescovi? Bene! E poi, cosa è successo? L’hai messo in atto, in che modo l’hai messo in atto?

Torniamo all’inizio: “Il popolo santo di Dio partecipa dell’ufficio profetico di Cristo col diffondere dovunque la viva testimonianza di lui, soprattutto per mezzo di una vita di fede e di carità”. Vita di fede e di carità. I padri conciliari non aggiungono speranza, perché ci salveremo per la fede professata e per la carità praticata, non per la speranza avuta. Se il dono di una fede senza difetti non diventa vita, vita di fede e di carità, in Paradiso è difficile entrare! I padri conciliari, con questa pagina della LG, ci indicano chiaramente non solo il compito, ma anche come svolgerlo, come coltivare il nostro senso di fede. Il dono della fede non ci fa diventare burattini; dobbiamo invece reinventare ogni giorno profeticamente la testimonianza di Cristo, leggendo la realtà con gli occhi di Dio. Citavo San Giovanni di Dio. È stato tra i malati, si è finto pazzo, è stato in manicomio, docce gelate, legato… San Giovanni di Dio ha capito in questo modo che Dio non poteva desiderare che i malati fossero trattati così e ha inventato gli ospedali moderni. Se i preti cominciano a scarseggiare e solo Dio può suscitare vocazioni e non lo fa,  forse dobbiamo pensare che il desiderio di Dio non è una chiesa tutta di preti, è giunto il momento che i laici si esprimano in modo più impegnato.

La parabola dei talenti, Andrei Nikolayevich Mironov (2013), collezione privata

Nella nostra Diocesi dalla Pasqua in poi avviene l’ascolto, il dialogo con la Città. La nostra Chiesa si domanda in che modo testimoniare Cristo a Roma, oggi, non cent’anni fa. La fede ci è data per questo: testimoniare Cristo nella storia. Se poi vogliamo concludere con un testo evangelico che sintetizzi tutto ciò che è stato detto fin qui, rileggiamo la parabola dei talenti. Ciascuno di noi riceve un talento, la fede, l’amore che il Signore ci ha dato, per farlo fruttificare. Non posso restituirlo così come l’ho ricevuto, devo trafficarlo e ottenere un risultato tangibile.

Chiediamo al Signore come popolo di Dio di mettere a frutto la nostra fede, ricevuta senza difetti grazie all’obbedienza al magistero dei nostri pastori, e al tempo stesso chiediamogli che quella fede diventi vita interpretando la realtà di oggi con il senso profetico del popolo di Dio.


1 La prima biografia del Santo si può leggere qui.

2 Una sintesi della storia degli ospedali si può leggere negli appunti di Cesare Catananti, già Direttore Sanitario e Direttore Generale del Gemelli, storico della medicina (websitemirror pdf).