Metti una sera a cena…

Angela mi ha contattato alla fine di novembre 2018 tramite Lorenzo, uno dei baristi della Samadi. Mi spiega la sua idea per telefono. L’azienda per cui lavora, Arte&Passione, è la stessa che gestisce il bar interno della Samadi. Vorrebbe fare una donazione: un centinaio di pasti caldi per una distribuzione gratuita a persone bisognose e senza fissa dimora. Il suo ideale sarebbe durante il periodo natalizio.

Prendo nota di tutto e comincio il giro delle mie conoscenze. Qualcuno risponde, altri molto impegnati, tutti sono entusiasti e riconoscenti. Ma c’è un ma… durante il periodo natalizio con volontariato e Piano Freddo la distribuzione pare già sufficiente. Non riesco a parlare con il Direttore della Caritas diocesana, ma parlo con Giannino. Conosco Giannino dai tempi del seminario, prestavo servizio nel gruppo giovani della Parrocchia S. Francesca Romana all’Ardeatino dove lui si trovava. Correvano gli anni 1988-1990.

Giannino oggi anima il volontariato di un gruppo chiamato Il Pozzo di Giacobbe che abbraccia le Parrocchie del Buon Pastore, di Santa Francesca Romana, di San Bernardo di Chiaravalle, di San Sebastiano e raccoglie volontari da Albano Laziale alla Via Cassia. Il gruppo collabora anche con il rev. Tim Macquiban, pastore della chiesa metodista di Ponte Sant’Angelo.

Il Pozzo di Giacobbe insieme all’Associazione Per la strada si occupa della confezione e della distribuzione dei pasti a persone bisognose e senza fissa dimora presso la Stazione Termini. In strada.

Partecipano anche le Suore Paoline di Via del Castro Pretorio. Loro forniscono la base logistica per l’incontro dei volontari. E la cappella della loro comunità si trasforma in casa di preghiera, anche ecumenica, al termine del servizio in strada.

Metto in comunicazione Giannino e Angela, che si accordano per la distribuzione del 20 gennaio 2019. In struttura presento l’idea anche agli ospiti delle due comunità e subito alcuni si offrono volontari per la distribuzione: Antonella, Andrea, Alessio. Gli operatori approvano la loro partecipazione. Mauro, il caposala, ci regala quattro giacche gialle da indossare durante la distribuzione.

Sono le 19, si parte in macchina. Piove. Ma arriviamo presto, abbiamo anche il tempo di prenderci un caffè. Passiamo in mezzo a crocchi di persone in attesa. Sotto la pensilina della Stazione Termini, lungo via Marsala, sono stesi sacchi a pelo, coperte, cartoni. Si intravvedono i corpi di persone dormienti. Tra immondizie, traffico, pedoni. Mi vergogno un po’ di passare come un turista accanto a loro. Non li voglio fotografare da vicino, penso non sia rispettoso. Ma anche da lontano, una foto sgranata sotto la pioggia, dice bene quel che succede in una capitale europea nel 2019.

Arrivano i volontari. Ciascuno con il suo fagottino di viveri da donare. Ci si muove per organizzare la distribuzione. Stasera il menù prevede la zuppa calda di Angela, un piatto di pasta, un panino ripieno, una fetta di panettone o di pandoro, un frutto, bibite varie.

Arriva la macchina di Andrea con le zuppe calde. E si cominciano a scaricare i contenitori per predisporli sul tavolo da dove saranno distribuite.

La fila è già pronta da un po’, il servizio d’ordine è rispettato e stavolta sembra non ci siano inconvenienti. Può capitare che qualcuno, con un cartone di vino di troppo in corpo, si agiti. Oppure che qualcuno, affamato più degli altri, non rispetti la fila. Ma non capita sempre, oggi laggiù in fondo, sulla destra, quel gruppo di donne e di uomini affamati e assetati… è tutto tranquillo.

La distribuzione inizia alle 20:30. Sotto le luci gentilmente messe a disposizione dal locale ufficio delle Poste Italiane. Praticamente le vettovaglie finiscono tutte. Alessio ci dirà che sono state servite 151 persone. Alle 21:00, in pochi minuti, la strada torna come prima.

Ci spostiamo nella cappella delle Suore Paoline. Approfitto di 5 minuti per presentare Antonella, Andrea e Alessio, ringraziare tutti e invitare i volontari a venire a trovarci in Samadi. Dopo la preghiera di compieta noi quattro lasciamo il gruppo in cappella e ci rimettiamo in strada verso casa. In macchina chiacchieriamo un po’ dell’esperienza e prendiamo l’impegno di ritrovarci l’indomani per scambiare qualche impressione, da scrivere come ricordo della serata. Alle 22 siamo in Samadi.

Antonella ci ha ripensato

Il giorno dopo ci ritroviamo come concordato. Antonella saluta subito, dicendo di non essere interessata, e lascia noi tre a chiacchierare.

Ugo – Antonella ci ha ripensato. È giusto?

Andrea – L’aveva detto, sì, ieri sera anche. S’è spaventata.

Ugo – Sai cos’è? Che ognuno di noi ha il diritto di “ripensarci” sulle cose. Ripensarci significa dire: ci ho pensato, ci sono tornato sopra, c’ho ri-pensato. E magari ho fatto delle valutazioni diverse.

Come succede nella vita comune

Ugo – Come è andata per voi ieri sera?

Andrea – Io sono rimasto molto contento. Ero molto agitato, avevo un po’ d’ansia. Mi dico: “Oddio, che faccio, che non faccio? Sarò in grado, non sarò in grado?“. Un po’ paura. Poi ci siamo messi lì in mezzo alla strada… inizialmente non  sapevamo bene come organizzarci. Io che tenevo i bicchieri, così, un po’ impacciato, dico: “Che ci faccio?“. C’era Filomena che aveva i bicchieri da un’altra parte. Mauro che aveva le bottiglie. Insomma, arrivava la gente e… come ci dobbiamo organizzare per fare ‘sta cosa? Poi piano piano invece abbiamo trovato una modalità per cui c’era Filomena che dava il bicchiere, Mauro che versava la Coca Cola, io magari versavo l’acqua a chi voleva un’altra cosa oppure l’aranciata e poi facevo da spola quando finivano le cose, le andavo a prendere. Avevamo trovato un equilibrio. Mi sono un po’ spaventato quando si è avvicinato un ragazzo e mi ha dato un bacio sulle guance. Però lo voleva fare per affetto, per dimostrare un po’ il ringraziamento, l’affetto. E lì sono rimasto un po’ irrigidito. Una parte di me diceva: “Ma quand’è che finisce?“, perché era una situazione un po’ ansiogena, però sono stato molto contento e lo voglio rifare. È un’esperienza che assolutamente voglio rifare.

Ugo – Sì, perché essendo la prima volta magari non si sapeva esattamente come fare…

Andrea – … invece la seconda volta sarà più facile.

Ugo – Invece tu, Alessio, hai fatto il buttafuori… il buttadentro

Alessio – Diciamo il servizio d’ordine. Che però era non belligerante, era un servizio d’ordine per accompagnare le persone ordinatamente in modo che tutti riuscissero a mangiare in maniera congrua. Inizialmente osservavo le persone che stavano con le bottiglie, o la persona che mi è venuta a chiedere se gli davo il giacchetto per cui poi poteva andare così a Fontana di Trevi… me l’ha spiegato in polacco, nemmeno ho capito bene…

Ugo – Il giacchetto, quello giallo?

Alessio – Il giacchetto, quello giallo…

Ugo – Perché così pensava di andare alla Fontana di Trevi, farsi passare per uno degli operatori e raccogliere le monetine!

Alessio – Sì… io gli ho spiegato, no c’ho questo…. Poi è intervenuta anche un’altra persona e gliel’ha spiegato. Poi la cosa che mi ha colpito, per esempio, è che una persona s’è avvicinata in maniera un po’ irruenta, mi ha dato due pacche sulle spalle e io pensavo che mi volesse fregare il telefonino. Invece era un ringraziamento per il fatto che mangiasse. Quindi c’era da una parte diffidenza, dall’altra c’era il capire che stavamo “facendo“… proprio il “fare“… il “fare” per… non era un commercio, non è che io stavo vendendo qualcosa per un lucro, stavo facendo qualcosa gratuitamente. Ed era un piacere. Era anche un arricchimento sentire le persone che raccontavano le storie.

Ugo – Ora ce le racconti. Quanti erano? Quanti ne hai contati?

Alessio – Ne ho contati… Il mio compito era anche contarli: 151 persone.

Ugo – Avete dato da mangiare e da bere a 151 persone. E qualcuno ti ha raccontato qualche storia…

Alessio – Sì… non ho chiesto io direttamente… le raccontava ad un collega di lavoro, a un compagno di viaggio… e diceva questa ragazza che lei lavorava ad un call center, c’aveva una casa a San Basilio, abitava lì, e s’è trovata senza lavoro e quindi veniva a mangiare lì. Da San Basilio, nonostante mantenesse ancora questa casa, veniva a mangiare lì perché non sapeva come sbarcare il lunario. Tante situazione di disperazione, di arrangiarsi. A volte vedevo che anche la difficoltà di chiedere le cose era anche una difficoltà a dire grazie, perché c’era questa cosa di “cotto e mangiato“, cioè vado lì, faccio questa cosa e me ne vado… Dall’altra parte invece c’era qualcuno che gli faceva piacere di rimanere lì a parlare. Come succede nella vita comune.

La bellezza e la durezza della strada è l’autenticità

Ugo – C’è stato qualche episodio che ti ha colpito, Andrea?

Andrea – C’era un signore che prima che cominciassimo a distribuire i pasti insisteva perché voleva l’acqua e io mi sono trovato un po’ in difficoltà perché dico: “O gliela do, però poi succede un casino perché tutti vogliono l’acqua; oppure mantengo la fermezza“… e questo però s’è arrabbiato. Si arrabbiava, sempre di più, voleva l’acqua, come se non volessimo dargli da bere. È stata una situazione un po’ difficile.

Ugo – E come l’avete risolta?

Andrea – Che a un certo punto gli abbiamo dato da bere. E lui s’è calmato! Quello che mi ha colpito è proprio la vita della strada. Io ho percepito proprio questa realtà senza filtri. Normalmente siamo abituati a vivere in una società con delle regole di buon comportamento, di educazione, di rispetto. Lì invece la vita è… lì hai a che fare con la vita nuda e cruda, la vita della strada dove le regole sono la sopravvivenza e il più forte vince. E quindi bisogna avere anche gli attributi per poter stare con queste persone. Non sono persone che puoi prendere in giro, perché se ne accorgono se non sei autentico, se li stai prendendo in giro, se per caso hai un atteggiamento di supponenza nei loro confronti. Sono cose che percepiscono. Quindi la cosa che mi ha colpito che bisognava mettersi sulla loro lunghezza d’onda… la lunghezza d’onda loro è la realtà, senza fronzoli, senza mascheramenti, senza ipocrisie, perché sono abituati che ti sgamano [romanesco, voce del verbo sgamare: indovinare, scoprire. NdA] subito…

Ugo – Se la regola della strada è sopravvivenza e vince il più forte, anche per stare in strada devi essere…

Andrea – … anche per stare in strada devi essere uno che comunque è abituato a confrontarsi in maniera anche molto dura con la realtà. Non c’è il salvagente dell’educazione, del bon ton… è una realtà che secondo me il mutuo aiuto c’è… quello che mi colpisce è che i sentimenti che si vivono, si percepiscono, sono autentici. Cioè se a quello in quel momento gli girano le palle, gli girano le palle. Se ti danno un abbraccio, è un abbraccio, non è una cosa che magari vuol dire qualcos’altro. Questo ti colpisce perché è autentico… la bellezza e la durezza della strada è questa autenticità.

Ugo – E a te Alessio cosa ha colpito di più?

Alessio – A me ha colpito che io ero diffidente su una cosa che è successa, sul fatto che c’era una persona che chiedeva da mangiare più volte e io dicevo: “Vedi? Questa persona forse vuole mangiare di più“. Ho pensato dopo: forse perché non mangia oggi, forse vuole mangiare di più. Invece non era per quello, perché – lui diceva – c’è una persona che non cammina… che stava sulla grata, perché evidentemente non stava bene, e questa persona realmente si prodigava per lui, per portargli… faceva la spola da lì a cinque metri… a portargli le cose per aiutarlo.

Andrea – Io penso che anche l’amicizia… cioè, se si vivono delle esperienze di amicizia, sono molto più forti, molto più forti… perché tra l’altro penso, non c’è nulla “in palio”, tra virgolette… cioè non è che se io faccio il paraculo ottengo… no il paraculo… cioè, se mi comporto in un certo modo ottengo un vantaggio. No, lì le cose sono pane al pane, vino al vino. E quindi penso che la solidarietà che viene vissuta lì è una solidarietà autentica. Se c’è solidarietà. Come se invece c’è lotta, conflitto, il conflitto te lo prendi con tutte le conseguenze perché non ci sono filtri. Non è che ci sono filtri, limitazioni, cose…

Con tutte le difficoltà, io dico che è andata

Ugo – Cosa non è andato? O cosa non vi è piaciuto?

Andrea – Per me non è andato il fatto che all’inizio io non sapevo proprio dove collocarmi, cosa fare, però non è che non è andato… è che era la prima volta che facevo una cosa e quindi all’inizio ero un po’ spaventato. Però io l’ho trovata un’esperienza veramente bella, bella, che rifarei e che voglio rifare.

Alessio – Con tutte le difficoltà, io dico che è andata. È andata e lo rifarei.

Ugo – Ne avete parlato al gruppo?

Andrea – Ne abbiamo parlato, ne ha parlato Alessio per primo. Il dottore l’ho visto colpito positivamente. La cosa che m’ha colpito molto è che in quelle due ore e mezza… perché dalle sette e mezza alle dieci, quindi due ore e mezza… è come se in quel momento io non dovessi più pensare a tutti i miei casini, a tutti i miei problemi. Ero completamente rivolto verso l’esterno. Quindi per due ore e mezza…

Alessio – … c’era da fare…

Andrea – … c’era da fare… Quindi anche le mie ansie, le mie paure, me le sono dovute gestire in quella situazione.

Ugo – E le hai gestite.

Andrea – E le ho gestite.

Ugo – È quasi terapeutico.

Andrea – No quasi. Io lo trovo estremamente terapeutico, assolutamente terapeutico. Sì, sì, assolutamente. La terapia della strada.

Alessio – Una cosa che ho detto in gruppo, che quando ho fatto volontariato a Santa Lucia erano le persone che venivano a Santa Lucia. Infatti io mi muovevo poco, andavo con le stampelle, quindi stavo seduto, ero più io servito quando mangiavo più che fare per gli altri. Perché io nella mia idea, nelle mie elucubrazioni è che stavo ai tavoli a servire. Però nella mia immobilità. Adesso che riesco a stare un po’ più dritto sono io che sono andato verso…