La leggenda dei santiniBond

La Libera Bananiana Repubblica (LiBRe) fece eseguire alcuni lavori alla Ditta ACME del Sig. Rossi, la quale anticipò il denaro (e in parte lo chiese in prestito alla Banca Popolare di Bugliano) per pagare materiale, fornitori e dipendenti.

Terminati i lavori ed effettuati i controlli di routine la LiBRe autorizzò la liquidazione delle competenze della Ditta ACME del Sig. Rossi. Ma in cassa non si trovò sufficiente denaro.

Infatti la LiBRe, per varie ragioni, da diversi anni non riesce a sviluppare la propria economia ed è costretta a chiedere denaro in prestito a speculatori e risparmiatori, rimanendo spesso con pochi centesimi in cassa.

La LiBRe aderisce al Consorzio Internazionale Continentale (CIC) nel quale ha corso legale una moneta unica denominata Ŧontìnental (simbolo = Ŧ; si tratta della 25ª lettera dell’alfabeto della lingua sami settentrionale e rappresenta la fricativa dentale sorda dal suono del th inglese in parole come thing, thought). Le regole di adesione al CIC non consentono alla LiBRe di stampare Ŧontìnental a piacimento e nemmeno di chiedere soldi a speculatori e risparmiatori oltre una quota prestabilita rispetto al suo Prodotto Interno Lordo (PIL).

Come poteva fare la LiBRe ad uscire dall’impasse? Non poteva stampare Ŧontìnental a piacimento e non poteva chiedere soldi oltre un certo limite, e nel frattempo doveva pagare la Ditta ACME del Sig. Rossi. I tempi di attesa si allungavano e la Ditta ACME del Sig. Rossi rischiava di fallire a causa della mancanza di liquidità.

Ma il GenEcom (Genio dell’Economia) della LiBRe ha partorito una soluzione straordinaria, per non dire miracolosa: i santiniBond.

I santiniBond sono fogli di carta di pregevole fattura sui quali vengono stampigliati con grafica elegante, ma sobria ed essenziale, alcuni numeri. La LiBRe attribuisce a quei numeri un corrispondente valore in Ŧontìnental e promette di accettare i santiniBond in pagamento delle tasse e in tutte le transazioni nelle quali si trova coinvolto lo Stato.

La LiBRe quindi saldò le competenze della Ditta ACME del Sig. Rossi con santiniBond. Invece di attendere mesi o anni per essere liquidata, la Ditta ACME del Sig. Rossi ottenne in breve tempo i 10.000 Ŧ che pretendeva in comodi santiniBond di piccolo taglio.

Il Sig. Rossi ne fu entusiasta! Finalmente poteva depositare sul suo conto corrente bancario la somma ricevuta. Ma qui nacque il primo problema. La Banca Popolare di Bugliano lo costrinse ad aprire un conto titoli. Infatti la Banca non considerava i santiniBond come moneta corrente ma come titoli e per poterli contabilizzare richiedeva che fossero dematerializzati in un conto apposito.

L’imposta di bollo per quel tipo di conto è pari allo 0,20% del valore dei santiniBond; inoltre poiché nel caso della Ditta ACME la giacenza superava i 5.000 Ŧ la Banca applicò la tassa di 34,20 Ŧ.

Il Sig. Rossi in questo modo spese subito 54,20 Ŧ. Scoprì anche che la Banca Popolare di Bugliano applicava sul conto deposito un canone, dello stesso importo di quello delle Poste LiBRe, cioè 10 Ŧ ogni semestre. Per regolare le proprie competenze, la Banca prelevava i Ŧontìnental direttamente dal conto corrente bancario della Ditta ACME del Sig. Rossi.

E vabbè, poco male” sospirò il Sig. Rossi, “intanto sono stato pagato”.

I santiniBond erano considerati infruttiferi. Mentre il loro valore sul conto titoli non cambiava, il prelievo di Ŧontìnental da parte della Banca Popolare di Bugliano sul conto corrente proseguiva inesorabile ogni semestre.

La seconda sorpresa aspettava però il Sig. Rossi al momento del pagamento della DIAVola (Devoluzione d’Imposta per l’Aumento della Volatilità). La DIAVola è il corrispondente dell’IVA negli altri Paesi CIC. La Banca Popolare di Bugliano applica ad ogni transazione sul conto titoli una commissione dello 0,24%, oltre alle quote fisse pari a 2,50 Ŧ per spese di intermediario e 0,50 Ŧ per spese banca. Considerato che la DIAVola della Ditta ACME del Sig. Rossi ammontava a 3.465,22 Ŧ, la Ditta versò alla Banca 11,32 Ŧ, prelevati in Ŧontìnental dal conto corrente bancario dell’ACME. “Tutto sommato nemmeno troppo”, si consolò il Sig. Rossi. Del resto tutti quei prelievi sarebbero entrati in bilancio tra le spese bancarie.

Ma il Sig. Rossi si rese presto conto che non era necessario dematerializzare i santiniBond. Si era creato un particolare mercato parallelo di questi particolarissimi titoli nel loro formato cartaceo. I santiniBond venivano accettati in pagamento persino tra privati. Era possibile prendere il caffè in qualche bar, pagare in santiniBond e ricevere il resto in Ŧontìnental. A patto che si rinunciasse alle formalità fiscali.

Infatti se il pagamento fosse avvenuto in Ŧontìnental sarebbe stato necessario emettere scontrini e fatture, mentre invece con il metodo del passaggio di titoli di Stato non vi era modo di certificare la transazione. Quindi era impossibile tracciarla. Ma ben presto tutti trovarono lecito scambiare santiniBond senza emettere titoli fiscali, in considerazione del fatto che avrebbero comunque dovuto affrontare le spese bancarie per gestire le transazioni con lo Stato.

Questa impossibilità di fatto del tracciamento delle operazioni effettuate in santiniBond, moralmente persino giustificabile, diede vita in men che non si dica ad una borsa nera. Da una parte le operazioni commerciali tra privati subirono forti distorsioni: per compensare un’operazione dal valore di 100 Ŧ senza DIAVola (ormai arrivata al 25%) occorrevano 110-120 santiniBond (da cui la famosa espressione “pollo alla diavola” che nella LiBRe indica ancora oggi l’ingenuo malcapitato vessato da ogni parte in ogni sua impresa). Dall’altra veniva considerato più conveniente per il portatore riempire le proprie tasche di Ŧontìnental veri, spendibili sempre e ovunque, piuttosto che di santiniBond, accettati solo nella LiBRe e rapidamente devoluti allo Stato in pagamento di tasse, imposte, multe e oneri vari, e quindi chi voleva cambiare i propri santiniBond in Ŧontìnental – quando ci riusciva al mercato nero – era costretto ad accontentarsi di 80-90 Ŧ per 100 santiniBond.

Un effetto secondario assai sospetto constatato dal Sig. Rossi fu che la liquidità della LiBRe non aumentò ma anzi diminuì. Infatti la tendenza ad effettuare operazioni commerciali in santiniBond senza emettere titoli fiscali aveva fatto diminuire il gettito complessivo della DIAVola e delle altre entrate fiscali, mentre il saldo regolare di tasse, imposte e oneri vari avveniva in modo esclusivo con santiniBond, contribuendo a ridurre sensibilmente la liquidità di Ŧontìnental dello Stato.

Il Sig. Rossi, da bravo imprenditore, subodorò il problema e svuotò rapidamente il suo conto titoli in santiniBond (peraltro rimettendoci parecchio). Fece appena in tempo. Nella LiBRe cadde il governo e quello che lo sostituì dichiarò sospese con effetto immediato le transazioni in santiniBond, tornando ad accettare unicamente Ŧontìnental. Per cautelarsi dichiarò pure prudenzialmente che la misura avrebbe avuto carattere temporaneo, ma tanto fu sufficiente a far scoppiare il panico.

Il mercato nero dei santiniBond crollò. Nessuno li acquistava più, oppure li acquistava a prezzi ridicoli (1.000.000 di santiniBond a 1 Ŧontìnental). Varie aziende che avevano fatto incetta di santiniBond si trovarono sull’orlo del fallimento.

La tensione sociale crebbe pericolosamente. Fu così che il nuovo GenEcom propose di ritirare i santiniBond scambiandoli alla pari con i baniBot, titoli a scadenza cinquantennale valutati 0,01 Ŧ ogni baniBot. I baniBot erano uno strumento finanziario indicizzato all’esportazione del prodotto tipico nazionale della LiBRe: la BAQ, Banana di Alta Qualità.

Ma questa è un’altra storia…

Da Kiribati è tutto.