Cosa penso del matrimonio

Non sarà la prima volta che ne scrivo. Intanto comincio.

I primi anni che ero prete sposavo chiunque. I fidanzati arrivavano, mi chiedevano, celebravo. Magari nemmeno li conoscevo, poco prima. Nella stragrande maggioranza non presenti alla vita pastorale della parrocchia.

Trascorsi pochi anni, cominciarono le prime crisi (mie). Oltre il 75% dei matrimoni che avevo benedetto era terminato. Compreso quello di mia cugina, il primo matrimonio celebrato un mese dopo che ero diventato prete.

Cominciai a rinunciare. Mi sono negato alle coppie che chiedevano. Ho fatto eccezione solo per i miei fratelli.

Poi ho avuto un’intuizione: accetterò di benedire le nozze solo di quelle coppie che accetteranno di chiarire con me le loro intenzioni reali e di preparare insieme a me il loro matrimonio.

Così ho benedetto pochissime altre coppie; cinque o sei incontri per chiarirsi e prepararsi. A distanza di qualche anno alcune di loro già separate.

Dov’è il problema, escludendo a priori che lo jellatore sia io? Lascio la risposta a sociologi, psicologi ed educatori, adatti a districare la matassa.

Da parte mia mi pongo il problema solo sotto il profilo canonico-pastorale. E una specie di soluzione penso di averla individuata.

La presento in 3 punti:

      1. Sospensione del matrimonio concordatario. Di comune accordo, Stato Italiano e la Santa Sede dovrebbero sospendere, per un certo periodo di tempo, la prassi del matrimonio concordatario e ripristinare, come una volta, il doppio rito: in Municipio e in Chiesa. Questo renderebbe la Chiesa molto più libera di predisporre la sua azione pastorale in modo efficace, eviterebbe la confusione tra i due riti, obbligherebbe gli sposi a celebrare il doppio rito e già qui si opererebbe una prima scrematura.
      2. Monitoraggio del matrimonio civile. La Chiesa dovrebbe concedere le nozze cristiane solo per coloro che risultano sposati civilmente da almeno cinque anni. Per chi contestasse il fatto, non secondario, che il solo matrimonio civile potrebbe esporre i coniugi alla condizione di peccato mortale, ricordo due elementi:

        • i ministri del matrimonio sono gli sposi; la forma del sacramento, determinata dalla Chiesa, può variare o addirittura se ne può derogare (si rammenti il caso canonico della sanatio in radice). Stante una reale volontà matrimoniale dichiarata pubblicamente ancorchè non in Chiesa, i due coniugi non si possono considerare in peccato mortale.
        • qualora la volontà dei due coniugi, ancorchè espressa davanti a un ministro della Chiesa, sia dissonante dalla ratio della Chiesa, il matrimonio è nullo. In questo caso non è possibile escludere a priori, soprattutto se vi è malafede, il peccato gravissimo di sacrilegio nell’offesa del sacramento della Chiesa.

        Quali tra questi due elementi sia preferibile in un quadro eccezionale come quello odierno, lascio al lettore giudicare.

      3. Accompagnamento pastorale in vista del matrimonio religioso. Durante i cinque anni di matrimonio civile i coniugi saranno presi in cura da una comunità cristiana. Tra i criteri che saranno presi in considerazione per decidere se la coppia può accedere o meno al matrimonio religioso risulta esattamente quello della partecipazione alla vita ecclesiale e comunitaria di fede.