Comportamento passivo aggressivo sul web. Un caso di studio

Il comportamento passivo aggressivo da tempo non è considerato più una patologia psichiatrica, nemmeno un disturbo della personalità (si legga in proposito il post di Francesca Fiore, psicologa e psicoterapeuta). Perciò questo mio post non intende in alcun modo travalicare le mie competenze né avanzare ipotesi diagnostiche. Il fine che mi propongo è una ricerca che a partire dall’esperienza sul web (Twitter nello specifico) aiuti a riconoscere il comportamento passivo aggressivo degli utenti per adottare opportune soluzioni comportamentali.

Cos’è il comportamento passivo aggressivo

La letteratura sul comportamento passivo aggressivo, scientifica e divulgativa, cartacea e digitale, è divenuta enorme. Non si fa difficoltà a reperire studi molto appropriati. Il sito www.psychologytoday.com ha dedicato all’argomento numerosi articoli, facilmente reperibili in rete. Qui in particolare, per semplificare la presentazione, ne propongo uno del 2016: 5 Signs That You’re Dealing With a Passive-Aggressive Person… and the most effective way to deal with their perpetrators (traduzione italiana qui). L’autrice Berit Brogaard sostiene esistano cinque indizi in grado di aiutarci a capire se ci troviamo in presenza di un comportamento passivo aggressivo che in qualche modo lo descrivono:

  • il silenzio: quei silenzi cocciuti che implicano il rifiuto di interagire con qualcuno, fatti di gesti facilmente interpretabili come cafonaggine o sbadataggine (non essere riconosciuti nel corridoio, trovarsi ignorati come persona e come contributo, non essere coinvolti nello scherzo o nella comitiva come gli altri…);
  • gli insulti camuffati: mentre l’insulto esplicito è comprensibile da tutti, quello subdolo lascia senza possibilità di difesa, è fatto per ferire più che per entrare in dialogo (“la formazione accademica in una università minore, provenienza da città di periferia, commenti non lusinghieri sulla vostra area di specializzazione“);
  • il comportamento scontroso: un atteggiamento cupo, acido, sempre apparentemente imbronciato, lamentoso e critico facilmente mette a disagio chi ne è vittima;
  • la testardaggine: la difesa della propria posizione senza concedere nulla ad altre prospettive o punti di vista per infastidire chi è costretto a subirla;
  • l’insuccesso nel completare i compiti assegnati: l’abitudine a non completare il proprio lavoro attribuendone la responsabilità a fattori esterni, evitando sempre di assumerne nuovi.

Berit Brogaard suggerisce anche come affrontare persone col comportamento passivo aggressivo le quali, a suo avviso, sono ben consapevoli di quel fanno: parlare con loro potrebbe indurre a peggiorare il comportamento aggressivo.

L’approccio più efficace è, invece, ignorare il cattivo comportamento e far finta di non averlo notato.
Quando ciò non è possibile, il meglio che potete fare è allontanarvi da questa persona.
E, se siete costretti ad interagirvi, limitatevi a brevi scambi di carattere strettamente professionale.

Solo in questo modo potrete trasmettere all’aggressore che il suo comportamento non vi tocca e, di fronte alla persistente mancanza di reazioni da parte vostra, egli lo interromperà gradualmente.

Luca Mazzucchelli, psicologo, individua le 10 frasi ricorrenti della persona che presenta il comportamento passivo aggressivo (qui):

  1. “Non sono arrabbiato” (nega sentimenti di rabbia)
  2. “Bene. Ok.” (taglia corto la comunicazione)
  3. “Tra poco.…” (verbalmente è pronta, di fatto non agisce)
  4. “Non avevo capito che intendevi ora…” (procrastina, rimanda)
  5. “Vuoi sempre che tutto sia perfetto!” (agisce in modo intenzionalmente inefficace)
  6. “Pensavo lo sapessi…” (trae piacere dalla sofferenza e dal disagio altrui)
  7. “Certamente! Sarò felicissimo di esserti di aiuto!” (è ostile dietro affettata gentilezza)
  8. “Hai risposto molto bene… per il tuo livello socio-culturale!” (fa complimenti ambigui con l’intenzione di insultare)
  9. “Stavo solo scherzando…” (usa il sarcasmo per aggredire in modo indiretto)
  10. “Perché sei sempre così nervoso?” (mantiene calma mentre riesce a far perdere il controllo agli altri)

Si deve in sintesi tenere presente che la persona che presenta il comportamento passivo aggressivo tende a “esprimere rabbia e ostilità indirettamente, cioè ferendo gli altri senza apparentemente fare nulla. Per essere classificate come manifestazioni passivo-aggressive, tali comportamenti devono essere accomunati a un’intenzione ostile celata dietro un atteggiamento apparentemente disponibile e cordiale“.

Gli ambienti cristiani possono dare origine ad uno stile passivo aggressivo

Nel 2007 Joe Mathias e James Panthalanickal (dell’Istituto Superiore per Formatori) pubblicarono uno studio per la rivista Tredimensioni mettendo in luce quelli che definiscono fraintendimenti cristiani. In particolare gli autori si sono soffermati sui messaggi degli ambienti cristiani che possono dare origine ad uno “stile passivo aggressivo anche in chi non è predisposto ad esso dalla previa educazione“. I due autori tracciano il profilo di un comportamento passivo aggressivo alla cui base e nella cui espressione rinvengono errori interpretativi del modello di comportamento cristiano:

  • la maschera della bontà: si mostra un forte bisogno di essere percepito come persona brava, mai provocante, ribelle o arrabbiata. Il retropensiero è: “Se sei un bravo religioso, certe cose non si fanno e neanche si pensano“, “Se dici certe cose e fai certe domande vuol dire che sei in crisi di vocazione“;
  • stima di sé e umiltà: una scarsa autostima, spesso frustrata da una malintesa umiltà o da umiliazioni cocenti, è all’origine di una manifestazione di rabbia in modo passivo aggressivo. Il retropensiero è: “Accetta con umiltà le correzioni“, “Non essere presuntuoso“;
  • la cultura dell’istituzione: nelle comunità cristiane dove si enfatizza il controllo, la repressione dei sentimenti e la negazione dei conflitti, per “fiaccare le persone” basta instaurare una prassi di “procrastinamento”: accumulare più informazioni di quanto siano necessarie o si sia in grado di gestire, prolungare indebitamente il periodo di sperimentazione. Il retropensiero è: “Si deve obbedire anche se non si capisce“, “Non tutti hanno gli stessi tempi“;
  • la non libertà di dire “No”: dire no significa ammettere anche i propri limiti, senza giudicarli; significa anche saper criticare costruttivamente; la rabbia per la frustrazione del conflitto si può esprimere in modalità passiva aggressiva. Il retropensiero è: “Un buon cristiano non dice mai di no“, “Un buon cristiano non critica“, “Un buon cristiano rimprovera e sa accettare il rimprovero“.

Le soluzioni proposte dai due autori allo stile passivo aggressivo maturato in ambienti cristiani sono essenzialmente due:

  1. Riconoscere e accettare la propria aggressività passiva senza sentirsi in colpa o, all’altro estremo, senza subirne l’influenza.
  2. Passare ad una comunicazione assertiva.

Sempre nella ricerca delle soluzioni secondo Mathias e Panthalanickal esistono alcuni pensieri irrazionali da rieducare:

  • “Se parlo francamente, chissà che cosa penseranno di me”
  • “Non sopporto di fare brutta figura e poi… ce l’avranno con me”
  • “Se dico di no, loro si offendono”
  • “Li faccio soffrire per colpa mia”
  • “Non sta bene chiedere qualcosa per se stessi; si passa per egoisti”
  • “Meglio stare zitto e non fare domande che passare per ignorante o stupido”
  • “I tipi assertivi sono insensibili ed arroganti. Intorno a loro si farà il vuoto”

Un caso di studio

Se da più parti si sostiene non a torto che negli ultimi tempi il ruolo dei social si è molto modificato, assistendo ad una costante escalation di aggressività e di hate speech ad opera di troll (personaggi disturbatori) e di bot (utenti creati e gestiti da software specifici) per lo più anonimi e senza molto seguito, ma numericamente rilevanti, nondimeno si è visto affermare di pari passo il fenomeno dei comportamenti passivi aggressivi tra utenti spinti da motivi in gran parte ideologici e/o religiosi. Non mi soffermo qui ad esaminare il rapporto che non passa inosservato tra alcune ideologie e certi estremismi anche cattolici (ne ho accennato qui).

Mi soffermo invece su un caso di evidente comportamento passivo aggressivo su Twitter. Si tratta del comportamento dell’utente che per brevità chiameremo “utente HP” e che negli screenshot delle sue conversazioni riportati in questo post appare offuscato in rosso. L’utente HP, iscritto nel 2013, è intenzionalmente anonimo, perché – come precisa in un suo tweet del 2015 – “il buonsenso non ha bisogno di nome e cognome“. È impossibile ricondurre il profilo dell’utente ad una persona precisa (se ne ignora il sesso, l’età, l’occupazione ed ogni altro dato utile per identificarla) e non è possibile determinare se sia amministrato da un gruppo di persone ovvero se si sia in presenza di un bot mancando ogni possibile riferimento ad un agente umano.

L’utente HP, alla data del 29/08/2018, risulta aver composto 70.400 tweet e aver indicato con “mi piace” 98.300 tweet, risulta seguire 3.326 utenti ed essere seguito da 1.458 utenti.

Il nick scelto dall’utente HP, il suo logo (Jubilate Deo, gridate con gioia a Dio), la citazione del Cardinal John Henry Newman nell’immagine di sfondo (Cor ad cor loquitur, parla cuore a cuore) sono di evidente ispirazione cristiana. Il suo nome utente fa riferimento ad una figura retorica “per cui l’ordine delle parole è inverso rispetto all’ordine naturale delle azioni” (Treccani). L’insieme di queste espressioni non comuni lasciano ragionevolmente intendere si tratti di un utente di cultura media, formato nell’ambito della chiesa cattolica.

Proporrò tre dialoghi dell’utente HP in cui dimostra differenti sfumature di comportamento passivo aggressivo. Dalla reazione vincente degli interlocutori passeremo quindi a determinare alcune semplici regole utili a contrastare il comportamento passivo aggressivo degli utenti dei social.

Esempio 1: Bosone di Higgs e dogma (2013)

L’utente HP, come spesso avviene su Twitter, si inserisce nella conversazione avviata da altri utenti. Il tema proposto in questo esempio è la scienza. Ad una affermazione di carattere generale non indirizzata a lui (“La scienza non inventa, ma osserva, interpreta e spiega. Soprattutto adatta se stessa al mondo non viceversa“) l’utente HP risponde con un’affermazione di carattere specifico in tono provocatorio (“Il bosone di Higgs ne è la prova ve’? “Doveva” esistere, xké il Modello Standard tenesse“) e concludendo in modo sarcastico (“Fortuna ke poi l’han trovato!“). L’interlocutore mantiene la calma e risponde restando sul tema che aveva aperto (la scienza e il suo metodo): “Il metodo sperimentale è questo: alla teoria segue la dimostrazione o una nuova teoria“. L’utente HP mostra di nuovo un atteggiamento ostile, cercando di far reagire il suo interlocutore su un finto sottinteso che emerge solo dal suo tweet: “Dai ke mi hai capito: se la teoria non è suffragata da tutti i dati sperimentali nn dovrebbe essere insegnata…“. Ancora una volta il suo interlocutore non si scomponeresta sul tema, mostrando però di conoscere il background dell’utente HP e di aver intuito il suo retropensiero: “Può benissimo essere insegnata come TEORIA, cioè idea perfettibile e confutabile. Ben diverso dal dogma, incriticabile“.

A questo punto, consapevole che il suo interlocutore non intende entrare nel suo campo, l’utente HP lo attacca frontalmente in modo provocatorio: “Sono tutte teorie. Che discorso è? Senza conferme sperimentali valgon quanto quella d Tolomeo!“. Cercando infine la complicità dell’interlocutore tenta di rassicurarlo sulle sue intenzioni: “Cmq dai c siam intesi“.

L’interlocutore ignora il messaggio. L’utente HP resta in attesa, ma di fronte alla resilienza del suo interlocutore dopo tre minuti lancia un nuovo tweet.

Con il nuovo tweet l’utente HP è costretto ad esplicitare il suo pensiero: “Cmq un testo di teologia dogmatica provalo!“. L’invito – affettato – viene quindi corredato da un insulto camuffato: “Finché non tenti umilmente di penetrare il mistero godi solo a metà, quaggiù : )“. In esso inocula espresso in modo obliquo il sospetto che l’interlocutore non faccia tentativi umili per penetrare il mistero e che “quaggiù” goda solo a metà. Lo smile finale è il tentativo maldestro e compiaciuto di apparire amichevole e conciliante.

L’interlocutore non risponde e la conversazione si conclude.

L’esempio 1 mostra in modo inequivocabile che un comportamento passivo aggressivo, fondato sul tentativo di provocare e condurre fuori argomento portando su un terreno più congeniale all’aggressione, si può efficacemente controllare non scomponendosi (mantenere la calma) e restando sul tema (non accettare provocazioni).

Esempio 2: Il grimaldello della religione (2017)

L’utente HP mostra continua apprensione per la sua immagine di buon credente che difende la fede cattolica e si appoggia sulla sua visione di tradizione e di magistero per criticare aspramente e contrastare l’azione del Papa regnante e coloro che lo sostengono, secondo lui colpevoli di non essere in linea con il deposito immutabile della fede. Lo spunto dell’Esempio 2 viene da un tweet in cui un sacerdote invita a leggere un articolo che prende posizione su un fatto di cronaca (alcuni manifesti anonimi comparsi a Roma contro Papa Francesco). L’utente HP interviene spesso nelle conversazioni di sacerdoti che secondo il suo pensiero non rispettano il Vangelo o addirittura non sono o non dovrebbero essere sacerdoti. Il sacerdote del tweet in oggetto è uno dei suoi consueti bersagli.

Nell’esempio specifico l’utente HP non contatta il sacerdote rivolgendosi direttamente a lui in modo esplicito: invece lo ignora, si rivolge ad altri interlocutori; dopo aver letto l’articolo chiama in causa nuovi utenti, i cui nick sono facilmente riconducibili ad esponenti o organizzazioni di Forza Nuova. Il Tweet è diviso in due parti: “Ehi… don Mauro (…) accusa voi della Pasquinata a @Pontifex_it. Sostiene attacchiate spesso slogan in zona San Pietro. Non ne ho mai visti!“. Ancora una volta il tono è volutamente sarcastico e il contenuto del tweet pesantemente critico nella speranza di far breccia nell’attenzione dei soggetti in indirizzo. Il sacerdote non risponde e non rispondono gli utenti i cui nick sono riconducibili alle organizzazioni di Forza Nuova.

Risponde invece un esponente di quelle organizzazioni chiedendo in quale punto il sacerdote affermi quanto riferito dall’utente HP. Quest’ultimo ribatte che il sacerdote in questione “non fa espressamente vs nome mica è così sprovveduto” ed aggiunge tra virgolette l’apparente citazione di un testo: “Persone ke han spesso su labbra parole come padre,patria,autorità“.

Rendendosi probabilmente conto della debolezza della sua interpretazione non in grado di sortire gli effetti attesi (risposte critiche al sacerdote, richieste di rettifica, eccetera), nel tweet successivo l’utente HP precisa il suo retropensiero in forma di excusatio non petita. Esclude che il sacerdote abbia come bersaglio i cattolici tradizionalisti (che nessuno aveva chiamato in causa) perché nel testo contestato si trovano “tre parole che i Tradizionalisti non menzionano mai, voi sì“. Al tweet non c’è risposta.

Il comportamento dell’utente HP (ignorare un interlocutore, essere sarcastico e critico ai limiti della delazione) si conferma passivo aggressivo nella misura in cui il suo intento non è di ragionare sull’evento e di esprimere una posizione perfino contraria e al limite rabbiosa ma di godere della sofferenza (vera o presunta) inflitta ad un altro – verso cui mostra aperta ostilità – sia con il proprio comportamento sia cercando alleanze con soggetti terzi, e utilizzando la religione come un grimaldello per scatenare conflitto.

La soluzione adottata dagli interlocutori appare subito vincente: non prendendo sul serio le sue affermazioni, evitano di rispondere all’utente HP e, lasciandolo da solo con le sue malignità, ne hanno frustrato il desiderio di accreditarsi come un buon amico e buon cristiano.

Esempio 3: la politica all’occasione (2018)

In tempi recenti è accaduto abbastanza spesso che i social venissero piegati alla comunicazione politica. L’utente HP asservisce la politica ai suoi scopi, fondamentalmente divisivi e conflittuali. Un esempio piuttosto eclatante si ha nel caso di un tweet di un sacerdote che in modo amaramente ironico osserva che le idee del Ministro Salvini mal si conciliano con il vangelo.

Al sacerdote si oppone un altro utente che gli contesta di aver scritto un attacco diretto ad un Ministro in carica.

Nelle successive battute si presenta un ulteriore utente, che entra in contraddittorio con l’utente contestatore. Ed è qui che si colloca l’intervento dell’utente HP, il quale – di nuovo travalicando il tema – preferisce dirottare l’attenzione sul terreno della provocazione.

Infatti l’utente HP approfitta della sue conoscenze derivate dai profili degli altri utenti per costruire il suo intervento in modo mirato, ancorché dissonante dal contesto. Così scrive, sempre in tono provocatorio: “Le idee e i modi di @matteorenzi sono invece vicino al Vangelo? Renzi nella sua infinita spocchia si è detto orgoglioso di aver legiferato #Unionicivili, #BioTestamento e #DivorzioBreve. Ha dichiarto di aver giurato sulla Costituzione e non sul Vangelo. Meglio?“. Emerge tutto l’aspetto ipercritico del comportamento passivo aggressivo, nel quale la maschera della bontà prende forma nella difesa dell’insegnamento della Chiesa.

L’utente interpellato risponde all’utente HP in modo appropriato ed assertivo sul suo stesso terreno: “Qui nessuno deve essere chiamato a difendere le dichiarazioni altrui ma solo le proprie. Per quanto concerne le leggi, un principio di fondo, per me, è che non vale la coincidenza tra peccato e reato“.

L’utente HP nella sua replica, intestardito, dimostra di non essere in grado di rispondere con altrettanta adeguatezza. Infatti da una parte cade nel non sequitur del paragone con Salvini: “Eppure don Cristiano accusa Salvini di fare politiche anticristiane“. Dall’altra insiste nel chiamare qualcuno a difendere le dichiarazioni di altri: “Cosa osta acché lo faccia anche per Renzi, che ha già ‘legoferato’ contro la morale cristiana?” (si noti il volutamente esagerato sarcasmo del linguaggio nell’opposizione tra il desueto osta acché e il neologismo di legoferato). Infine conclude ripiegando su una domanda retorica: “Riconoscere giuridicamente unioni peccaminose cos’è se non peccare?“. Il tweet conclude la sequenza.

In questo Esempio 3 la strategia che si è dimostrata vincente è stata quella di rispondere appropriatamente in modo assertivo senza nulla concedere a disquisizioni di lana caprina, battaglie di principio e difesa di ufficio.

Conclusioni

Accanto a trollbot i social network presentano figure di utenti con un comportamento passivo aggressivo. Spesso le figure sono intercambiabili o adottano comportamenti simili.

Il comportamento passivo aggressivo degli utenti dei social è riconoscibile perché con una certa continuità si distingue per gli atteggiamenti provocatori, sarcastici e ipercritici. Gli utenti dei social con comportamento passivo aggressivo esibiscono la maschera della bontà e dell’umiltà alla ricerca di complicità e consenso ma sovente preferiscono evitare lo scontro diretto; tentano di esasperare l’interlocutore provando intima soddisfazione nello scatenare il conflitto nel quale coinvolgono altri utenti e al quale prendono parte solo marginalmente; ignorano volutamente il confronto su temi precisi quando pensano di poter meglio danneggiare l’interlocutore in altro modo.

Le soluzioni da adottare nei social – oltre a imparare a riconoscere quanto prima il comportamento passivo aggressivo  – sono semplici ed efficaci:

  1. non prendere sul serio atteggiamenti provocatori, esagerati e fuori contesto, soprattutto di utenti anonimi o non verificati né verificabili

  2. non rispondere né ai messaggi in apparenza innocui né alle provocazioni esplicite; se possibile silenziare e bloccare l’utente

  3. mantenere la calma senza scomporsi e non cedere mai all’ira

  4. restare sempre sul tema

  5. essere appropriati e assertivi

Ne aggiungo un’altra, che è tutta mia: ridete dei troll, dei bot e dei passivi aggressivi, perché nulla li fa sentire più inadeguati che una buona dose di ridicolizzazione!

 

Ringrazio il dottor Leonardo Strusi dei preziosi consigli per la stesura dell’articolo e del sempre proficuo confronto.
Ringrazio il dottor Antonio Buonanno e la dottoressa Roberta Rinaldis per aver letto l’articolo e per avermi incoraggiato nella pubblicazione.