Chiamiamolo sacrimonio

I nomi non sono “flatus vocis“, come pare sostenesse Roscellino. Non sono soltanto semplici parole con finalità indicativa. I nomi hanno un realtà oggettiva che li sostiene. Il loro potere evocativo si può solo parzialmente comprendere con il loro riferimento simbolico.

Se io dico (scrivo) “sedia” inevitabilmente ad una intelligenza media non squilibrata appare evidente che si parli (scriva) di quell’oggetto con tre o più punti di appoggio al suolo, di fogge e materiali diversi, abitualmente usato dall’umanità per la posizione seduta. Non certo che si parli (scriva) di rododentri o microprocessori. Oggetti, appunto, diversi.

Ma c’è di più: quel nome (“sedia”) è manipolabile quanto si voglia (per esempio anagrammandolo: “ideas”) con vaghi riferimenti ad altri “oggetti”, senza che ciò modifichi in sostanza l’oggetto iniziale. Una “sedia” rimarrà sempre “oggetto-sedia”, anche se il nome con il quale viene indicata dovesse cambiare.

What’s in a name? That which we call a rose by any other name would smell as sweet. Che cosa c’è in un nome? Ciò che noi chiamiamo con il nome di rosa, anche se lo chiamassimo con un altro nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo.

Lo fa dire Shakespeare a Giulietta (atto II, scena II) in Giulietta e Romeo.

Il problema è quando un termine diventa equivoco. Supponiamo che il gruppo umano A sia solito chiamare “fuoco” ciò che un altro gruppo umano B chiami “sedia” per definire l'”oggetto-sedia” e viceversa, il gruppo A chiami “sedia” ciò che il gruppo B chiama “fuoco” per definire l'”oggetto-fuoco”. Assisteremmo a gustosi incidenti comunicativi.

Supponiamo che un prestigioso membro del gruppo A durante un incontro con un prestigioso membro del gruppo B lo inviti a sedersi sul fuoco. Ne potrebbe scaturire un incidente diplomatico.

O pensiamo se una gentile signora del gruppo B chieda alla sua vicina di casa, appartenente al gruppo A, se può accenderle il fuoco sotto le pentole. Possiamo solo immaginare la scena.

Quando lo stesso nome, in tutta la sua densità oggettiva, finisce per indicare oggetti diversi tra loro ne scaturisce una definitiva impossibilità di comunicazione. Almeno fintantoché non si decida di attribuire un nuovo nome ad uno dei due oggetti o due nomi diversi a entrambi.

Siamo al caso del matrimonio. Ripercorrendo a vol d’uccello la storia del matrimonio ci rendiamo conto di quanto sia concetto controverso:

  1. In alcune regioni, in talune culture o in certi periodi storici sono stati ammessi la poligamia e il matrimonio combinato dai genitori
  2. Il modello monogamico, fedele, fondato sul libero consenso si è imposto in occidente ma non altrove
  3. La possibilità del ripudio del coniuge, ammessa presso molte culture, viene confinata a pochi gruppi umani
  4. In occidente si allarga il fronte delle società che ammettono la rottura del contratto matrimoniale (divorzio) anche su semplice richiesta non motivata di uno dei due coniugi
  5. Le convivenze, impossibili da collocare dentro un regime standard, vengono equiparate legalmente al matrimonio come “unioni civili”
  6. Viene aggirato il divieto di poligamia con il cosiddetto “matrimonio pagano” e dell'”Handfasting
  7. Viene rivendicato e consentito il matrimonio civile tra due soggetti appartenenti allo stesso sesso e in taluni casi viene riconosciuto il diritto all’adozione e alla procreazione assistita

Sfido chiunque a riconoscere, tra le nebbie ormai indecifrabili di un accartocciamento disordinato e di un affastellamento di tradizioni, i contorni del matrimonio-sacramento cristiano. O meglio, per qualsiasi intelligenza media è faticoso districarsi tra rivendicazione di diritti legittimi, diversità di riti e tradizioni, scelte generazionali, elementi caduchi e necessità personali ed arrivare a dire che no, il matrimonio è altra cosa. Qui ciò che è cambiato non è un nome, ma un concetto. Il concetto di matrimonio è in crisi per sopravvenuta confusione: tutte le unioni nelle quali a due persone sembra volersi bene sono apparentemente matrimonio.

Con una società in piena fase neo-nominalista, la cui conseguenza diretta è l’equivocità dei termini e la confusione dei concetti, propongo alla Chiesa Cattolica di abbandonare l’uso del termine “matrimonio”, tradizionalmente deputato ad indicare l’unione sacramentale fedele, feconda e responsabile di un uomo e di una donna per tutta la vita, per adottare l’uso del termine “sacrimonio“.

Il sacrimonio è il sacramento con il quale la Chiesa benedice, rafforza e consacra l’intenzione di un uomo e di una donna di costituire una famiglia in modo irreversibile e senza ripensamenti, dedicandosi per tutta la vita alla cura responsabile del proprio coniuge e dei figli che gli sposi desiderano mettere alla luce. Il sacrimonio non coincide con il “matrimonio” come compreso dalla cultura dominante ed esclude possano essere fatte analogie. Il sacrimonio non ha un corrispondente civile e perciò la prassi del “matrimonio concordatario” deve essere abbandonata.

Se quello del matrimonio è un concetto in crisi, eviteremo ulteriori confusioni almeno tra i credenti.