Fatta l’Italia, di Governo in Governo si faranno pure gli italiani

Mario Draghi ha avuto appena il tempo di presentare pubblicamente la lista dei Ministri che le reazioni del popolo italiano non si sono fatte attendere. Molte di delusione. Altre di rassegnazione. Non sono mancate nemmeno quelle nostalgiche per i Governi di Giuseppe Conte.

C’è un problema grande come una casa che però sembra passare in secondo piano. Tenterò di spiegarmi nelle prossime righe.

Democrazia e oclocrazia

Polibio pensava che la democrazia (= governo del popolo) rischiasse di scadere nella oclocrazia (= governo della massa). Egli riteneva la massa facilmente manipolabile dagli avidi di potere attraverso promesse e soldi (corruzione e avidità di denaro); non poteva conoscere, peraltro, il ruolo fondamentale che nel futuro avrebbero rivestito mezzi di comunicazione e social nell’orientamento del consenso.

La democrazia italiana è giovane, ancora vivono tra noi cittadini che da bambini passavano il sabato fascista e vestivano da balilla. Ci si lamenta della disparità di genere, senza ricordare che le donne votarono in Italia per la prima volta appena 75 anni fa (il 1° febbraio 1945 il decreto legislativo luogotenenziale n. 23 conferisce il voto alle donne maggiori di 21 anni, ad eccezione però delle prostitute schedate; solo il 10 marzo 1946 il decreto legislativo luogotenenziale n. 74 stabilisce l’eleggibilità delle donne; il 2 giugno 1946 le donne vengono invitate a recarsi al seggio “senza rossetto“, in quanto la scheda si doveva chiudere umettandola e poteva essere macchiata dal colore).

Il primo referendum abrogativo, come previsto dall’art. 75 della Costituzione, si è svolto nel 1974: si chiedeva di cancellare la legge sul divorzio, gli italiani risposero di no.

La prima legge di iniziativa popolare (art. 71 della Costituzione) è stata discussa e approvata nel 1983 e riguardava la disciplina delle adozioni e dell’affidamento dei minori.

Il primo referendum sulle leggi costituzionali (art. 138 della Costituzione) si è svolto nel 2001 e ha modificato il titolo V della Costituzione.

Le cosiddette “primarie” per consentire alla base elettorale di selezionare il candidato premier di uno schieramento politico, pur non essendo codificate nell’ordinamento italiano, sono avvenute per la prima volta nel 2005 su iniziativa del centro-sinistra e ne risultò vincitore Romano Prodi.

A fronte di un processo tanto lento di appropriazione dei valori costituzionali e dell’esercizio dei diritti (e dei doveri) propri del cittadino da parte dei cittadini stessi, si è registrata una sorprendente crescita di rivendicazioni le più disparate: dal rifiuto dell’agone politico a gestione partitica (la “partitocrazia“, neologismo coniato nel 1944 da Roberto Lucifero, senatore e deputato, liberale e monarchico), al prevalere del modello “non professionistico” della persona politica; dall’idea che il Presidente del Consiglio dovesse essere espressione della volontà popolare quasi in senso plebiscitario (idea vagheggiata e inaugurata da Silvio Berlusconi), alla sovranità popolare intesa come forma di democrazia diretta; dall’idea che i rappresentanti del popolo dovessero esercitare il loro ufficio rispondendo ai propri elettori con vincolo di mandato, al presentarli come “portavoce” degli elettori  stessi (si veda il MoVimento 5 Stelle); dal senso della legge come iniziativa di tutela ad personam, all’utilizzo della legge quale imposizione degli interessi partigiani del Governo di turno (lo testimoniano alcune leggi del primo Governo Conte, per esempio i decreti sicurezza).

Giunti al 2021 si potrebbe quasi concludere che, mentre la Costituzione del 1948 appare sempre più sconosciuta ed incompiuta, la democrazia italiana è scivolata sulla china di un populismo il quale – obliterando il faticoso percorso delle norme e dell’accordo – finisce per rispondere agli umori momentanei della massa e per cercare di soddisfarli. Tale processo non solo è ancora in atto, ma ha trovato addirittura autogiustificazioni extracostituzionali nell’utilizzo di consultazioni popolari di dubbio valore (come per esempio quelle tenute dal MoVimento 5 Stelle sulla piattaforma Rousseau).

Debolezza intrinseca

L’oclocrazia trova il suo terreno più fertile nella debolezza intrinseca del sistema Italia. Diversi fattori spingono a sostenere questa tesi. Qui ne prendo in considerazione tre: declino culturale della civiltà, implosione economica, disintegrazione sociale.

Per quanto riguarda il declino culturale della cività, scelgo queste tre parole per indicare un insieme di evidenze. Il sistema scolastico che rivela falle profonde, formando persone dalle fragili strutture culturali (si pensi alle lamentele dei docenti universitari persino sulle modalità espressive in lingua italiana dei loro studenti), tanto da essere costretti a parlare di analfabetismo funzionale. La penalizzazione della creatività e dell’affermazione delle giovani generazioni, pesantemente frenate da un sistema che non premia il merito e non agevola l’ascensore sociale. La migrazione delle competenze verso località e imprese più promettenti, che si caratterizza come fuga dei cervelli.

L’implosione economica – il contrario del boom economico – ha allargato il fossato tra le classi sociali, in particolare spingendo la classe media verso forme nuove di povertà, e ha riservato un crescente peso tributario sulle spalle delle fascie più produttive. La stessa produttività è stagnante, sia a causa della debolezza del mercato sia a causa dell’asfissiante sistema burocratico italiano che scoraggia persino gli investimenti.

Infine la disintegrazione sociale, frutto dell’invecchiamenento della popolazione senza prospettive di un valido ricambio generazionale, così come dell’estrema mobilità che ha favorito emigrazione degli autoctoni e immigrazione di soggetti delle più svariate nazionalità. Senza dimenticare il disorientamento per la perdita di punti di riferimento tradizionali, come i valori di una Chiesa cattolica troppo debole, a causa degli scandali e a causa del ripiegamento su se stessa nell’atto di difendersi dall’assedio del secolarismo, tentata di volgersi al passato invece di cogliere il presente e rimettersi in discussione verso il futuro (tentazione non dissimile da quella dell’antico Israele il quale, rifiutando di ascoltare la voce di Geremia, decise di allearsi con l’Egitto invece che con i Babilonesi invasori, finendo per cadere preda di questi ultimi in una disfatta epocale).

Questa debolezza intrinseca dell’Italia spinge a sperare in modo disordinato e quasi magico in ricette facili grazie alle quali risolvere problemi complessi e annosi. Basti pensare ad un esempio per tutti, il reddito di cittadinanza introdotto dal primo Governo Conte, che fu salutato come la “sconfitta della povertà” mentre nonostante le buone intenzioni giorno dopo giorno ha rivelato criticità sia sul fronte dell’assegnazione (elevato numero di non aventi diritto), sia su quello dell’effettivo inserimento nel mondo lavorativo (praticamente fallimentare l’esperienza dei navigator).

Da Conte a Draghi, cosa cambia

Quando il 3 febbraio 2021 il Presidente della Repubblica ha preso atto dal Presidente della Camera che mancava l’accordo tra i Partiti, si è trovato di fronte al bivio o di sciogliere il Parlamento (ma ha escluso tale ipotesi) o di “dare immediatamente vita a un nuovo Governo adeguato a fronteggiare le gravi emergenze presenti: sanitaria, sociale, economica-finanziaria“. E ha così concluso:

Avverto pertanto il dovere di rivolgere un appello a tutte le forze politiche presenti in Parlamento perché conferiscano la fiducia a un Governo di alto profilo, che non debba identificarsi con alcuna formula politica. Conto quindi di conferire al più presto un incarico per formare un Governo che faccia fronte con tempestività alle gravi emergenze non rinviabili che ho ricordato.

Tra Conte e Draghi non c’è solo Renzi di mezzo. C’è una valutazione molto più sottile, che forse il comportamento di Renzi ha solo contribuito a far emergere dall’indistinto sentore che serpeggiava nei vari chiacchiericci: il Governo Conte non era adeguato a fronteggiare le gravi emergenze presenti. Quelle tre individuate dal Presidente Mattarella. Non perché non le volesse fronteggiare, la buona volontà si vuol sempre sia riconosciuta, almeno fino a prova contraria; ma perché di fatto non le stava fronteggiando.

L’esperimento di Governo tra un PD annaspante tra le sue scissioni alla ricerca di un’identità perduta e un M5S all’arrembaggio delle istituzioni senza nessuna esperienza istituzionale (come dimenticare il corso online organizzato per i “portavoce”, perché – lo scrive Di Battista – “quando entrammo [in Parlamento, NdA] non sapevamo nulla sul funzionamento della Camera e delle commissioni, nulla sull’iter legislativo, sui regolamenti interni, sul circo mediatico che in quel momento ci stava travolgendo“?) ha certificato quel che più o meno tutti si sapeva: mai tentare esperimenti in tempi di crisi, mai scalare cime sconosciute senza attrezzatura idonea durante una tempesta di neve.

La differenza tra il Governo Conte e il Governo Draghi sta tutta qui. In quel adeguato a fronteggiare gravi emergenze, che lo si può fare o da sperimentatori delle istituzioni pur generosi ma inesperti e pasticcioni (e forse troppo poco umili da ammetterlo) oppure da freddi conoscitori dei meccanismi che regolano questo mondo reale privi del tutto di spirito di avventura ma almeno capaci di portare a casa qualche risultato.

Realisticamente la poco matura democrazia italiana, o oclocrazia contemporanea, non poteva esimersi dal rituale della distribuzione delle poltrone; ma questo è solo il modo “populista” di esprimere il concetto. Un Governo che non si identifica con alcuna formula politica, secondo l’indirizzo del Presidente della Repubblica, avrebbe potuto escludere tutti i Partiti dalla sua compagine. Ma in un regime come quello italiano, partitocratico per definizione, ciò avrebbe comportato semplicemente rinnegare consuetudini che esprimono (anche se in modo discutibile) la rappresentatività popolare. La scelta di Draghi di inserire nel suo Governo Ministri di tutte le forze politiche che lo sostengono appare perciò non priva di logica, anzi per certi aspetti rappresenta una chance offerta da Draghi alla politica perché si assuma dall’interno le sue responsabilità e in nessun giorno – domani – possa rinnegarle. Poi, che ci piaccia o no, le persone sono quelle e in fin dei conti, quando si sta sulla stessa barca, si deve parlare anche con quelli che ci stanno meno simpatici.

Solo un diamante è per sempre

Sulla durata del Governo Draghi si possono fare solo ipotesi. A rigore, secondo le parole del Capo dello Stato, dovrebbe restare in carica fino a cessata emergenza. Il team di tecnici selezionato da Draghi sembra rispondere però soprattutto alle emergenze sociali ed economico-finanziarie cui si riferiva il Presidente della Repubblica.

A ben vedere c’è in ballo il Piano Nazionale Di Ripresa E Resilienza (PNRR), che prevede uno stock di euro particolarmente cospicuo per l’Italia. Sono convinto che su quello e sulle condizioni per ottenerlo si concentrerà l’attenzione del Governo Draghi.

In proposito ho scritto in un tweet “prendi i soldi e scappa“, parole che hanno suscitato l’acuta osservazione del caro Maurilio Vittoria (che ringrazio di vero cuore per la sua leale amicizia).

In realtà, al netto dei miei toni che qualcuno trova a volte polemici a volte tranchant, il tweet non ignorava la procedura per l’ottenimento del Recovery Fund (RF), disseminata di condizionalità, ma provava a definire i contorni temporali dell’azione del Governo Draghi. Fino a quando le forze politiche che lo sostengono saranno disposte tutte a garantirgli la fiducia? O in altri termini, quando  il compito del Governo Draghi sarà considerato concluso dalle forze politiche che lo sostengono? Quando si considererà conclusa la fase emergenziale che ha richiesto la formazione del Governo Draghi?

Le forze politiche che sostengono il Governo Draghi hanno dimostrato in diverse occasioni di essere più o meno tutte in modi diversi inaffidabili. Nello specifico finora si sono mostrate incapaci di rispettare un impegno andando oltre i propri interessi particolari. Prevedibilmente staccheranno la spina del Governo quando percepiranno che l’obiettivo di un PNRR per ottenere il RF è stato raggiunto e si riapproprieranno in pieno del loro ruolo politico oggi commissariato dal Presidente della Repubblica. Perché altro è predisporre un Piano, altro è attuarlo pur nel rispetto delle condizionalità previste, soprattutto in regime di oclocrazia nel quale il denaro acquista il consenso.

Prendi il denaro e scappa. Forse lo consiglierei proprio a Draghi, ché non si faccia invischiare troppo nella parte attuativa del PNRR, la quale comunque non si esaurirà nel giro di pochi mesi e nemmeno di pochi anni. Consapevole che i risultati personali conseguiti nella sua vita professionale sono il vero diamante che resta per sempre, altro che Governo!

Personalmente posso solo augurarmi che l’esperienza di Governo con Draghi sia proficua per le forze politche che vi partecipano. A mio avviso hanno molto da imparare, nello stile oltre che nella sostanza. Perchè il problema è sempre lo stesso: l’Italia è fatta, gli italiani sono ancora da fare, Governo dopo Governo.