6 malattie spirituali. Dialoghi con il Paziente

No alla guerra tra noi!

È la guerra che coinvolge purtroppo tanti cristiani, che lottano tra di loro per cercare primi posti, potere, piacere o il proprio tornaconto… Le invidie e le gelosie fanno dimenticare ai cristiani il comandamento dell’amore e sottraggono la possibilità di essere testimoni credibili del Vangelo agli occhi del mondo di cui sono diventati parte… e la parte spesso peggiore! Ciò che colpisce è che spesso per questioni all’inizio futili, poi sempre più ingigantite, si rompono rapporti all’interno della comunità.

cfr. EG 98-101

Delle malattie spirituali: ispirazione e metodo
Delle malattie spirituali: patologia speciale
Delle malattie spirituali: il Paziente della stanza 113
Dialogo sulle malattie spirituali. Introduzione

venerdì 23 febbraio 2018

il Paziente – Ugo, sei uomo di pace?
Io – Eh, Signore, non tanto… dovrei diventare un po’ più pacifico…
il Paziente – Bravo! E cosa aspetti?
Io – Di fare la prossima verifica: no alla guerra tra noi!
il Paziente – Giusto, ma tieni presente che è impegnativa…
Io – Come tutto, del resto, come tutto… lasciami dire una cosa per cominciare: perché tutti questi “no” nei titoli della verifica? “No alla guerra tra noi!”. Non era meglio: “Sì alla pace sempre!”?
il Paziente – Sia il vostro parlare “sì, sì”, “no, no”. Il Consiglio Episcopale ha voluto sottolineare senza incertezze il rifiuto di una logica incompatibile con il battesimo… con la croce… la logica perversa della guerra…
Io – Stavo interpretando in una direzione diversa, ma se mi dici che è così…
il Paziente – In che modo interpretavi?
Io – Non so, lascia piuttosto l’amaro in bocca leggere tanti no tutti insieme… e poi si parla di malattie, pare facile dire di no ad una malattia che magari non ti sei nemmeno cercato. Sul serio: chi desidererebbe ammalarsi? Tutti vogliamo guarire, sempre… o almeno essere curati…
il Paziente – Guarire se possibile, curare sempre (NdA: più o meno le parole che tracciano il programma pastorale 2017-2018 del Centro per la Pastorale della Salute della Diocesi di Roma)
Io – Mi piacerebbe essere guarito da te… La pace è una bella cura, che guarisce dentro e fa risplendere fuori. Ma so pure che la pace non è semplice assenza di guerra…
il Paziente – Sai bene: è un pensiero che ho ispirato io! Riferito alla pace tra i popoli ma vale per ogni contesto di pace… (NdA: il Paziente della stanza 113 ha colto prontamente il riferimento a Gaudium et Spes 78)
Io – Sinceramente trovo riduttivo pensare alla pace solo come eliminazione o archiviazione di lotte, invidie, gelosie, forse perché non sono questi gli aspetti che mi toccano più da vicino… Nel senso che almeno io sono disinteressato a lotte, invidie, gelosie, più per educazione familiare che per virtù, non ne pratico e non mi toccano… Mentre sono enormemente più sensibile alle ingiustizie… Ecco, quelle sì mi toccano da vicino…
il Paziente – Lo so bene. Come ti avrei vinto, se non permettendo che fossi toccato nel punto sensibile?
Io – Bè, ti ringrazio di esserti preso cura di me e del mio orgoglio, di avermi voluto bene, di avermi salvato dal peccato. E anche di avermi fatto aprire gli occhi sulla condizione della Diocesi di Roma, la mia comunità più allargata. Per questo ora devo chiedermi: esistono ancora le condizioni di possibilità per una collaborazione tra me e la Diocesi di Roma? O tutto quello che è accaduto si cancella come una scritta sulla spiaggia sabbiosa? Che senso avrebbe? La pace, esteriore e interiore, “non si può ottenere sulla terra se non è tutelato il bene delle persone e se gli uomini non possono scambiarsi con fiducia e liberamente le ricchezze del loro animo e del loro ingegno”. Io non sento più che il mio bene di persona sia tutelato dalla Diocesi di Roma, né che possa scambiare con fiducia e liberamente le ricchezze del mio animo e del mio ingegno.
il Paziente – Si è incrinata la fiducia… ma i vescovi hanno continuato ad attestarti la loro stima, dovresti esserne fiero e riconoscente…
Io – Attestare la stima non costa nulla. Trarre conseguenze dalle attestazioni richiede dialogo e senso di responsabilità. In questi cinque anni (e qualcosa di più) mi pare siano mancati entrambi.
il Paziente – Di cosa ti lamenti… nel contratto da prete non c’era scritto che avresti avuto giustizia e riconoscimenti…
Io – Ma non c’era nemmeno scritto che la Diocesi era autorizzata a vergognarsi delle vittime di un reato e che nel momento di maggiore bisogno le avrebbe lasciate in balia del loro destino! E questa non è questione futile ingigantita ad arte per rompere i rapporti all’interno della comunità! Né facilmente si ricostruiscono i rapporti interpersonali proponendo una spiritualità pelosa, che rinunci a tutelare diritti buoni non solo per il loro valore intrinseco, ma anche per se stessi e per coloro che seguiranno! In nome di cosa, poi? Di una malintesa pace rappresentata dal soffocamento dei conflitti? No, grazie, preferisco le capanne di Kiribati…
il Paziente – Sei profondamente ferito dal comportamento della Diocesi, però cerca di non trasformare il tuo stato d’animo in un metro di giudizio, altrimenti diventi ingiusto anche tu. Le persone che ora occupano i vertici sono in larga parte diverse da quelle di cinque anni fa e oltre. Potrebbe essere un nuovo inizio, se tu volessi…
Io – Hai ragione, mi dispiacerebbe molto mostrarmi ingiusto verso coloro che non hanno una colpa diretta. Ma io non sto puntando il dito contro cardinali e vescovi, ciascuno si è comportato come ha saputo e potuto fare. Sto invece contestando un metodo che a mio avviso non ha nulla di ecclesiale.
il Paziente – Ti leggo nel cuore e quel che tu promuovi in cuor tuo è molto difficile da realizzare…
Io – Difficile tutelare nei tribunali quanto rimane del diritto all’onore e al buon nome calpestato da calunnie e diffamazioni? No, direi impossibile per chi non sa mettersi nei panni delle vittime. Direi impossibile per chi si preoccupa di calcolare le conseguenze di un’azione legale sulla propria immagine e su quella della Diocesi mentre è disposto a sacrificare sull’altare del quieto vivere con la maggioranza la stima e la fiducia di un pugno di confratelli. Direi impossibile per chi non sa distinguere in un carnefice il lato umano e malato – quindi sempre a rischio di cadute e reiterazioni – dal lato morale e vocazionale – che potrebbe essere persino più forte della carne, senza sostenerne tuttavia la debolezza – e non sa decidere cosa è buono tenere e cosa invece è meglio lasciare.
il Paziente – E cosa dovrebbe fare secondo te il Vicario? Denunciare, chiedere risarcimenti, allontanare persone… è questo che chiedi? Che chiede un uomo di pace?
Io – Non so cosa dovrebbe fare il Vicario. So cosa farei io al suo posto e… sì, starei senza esitazioni e senza condizioni dalla parte delle vittime. Perché la pace esige anche “la vigilanza della legittima autorità”. Convocherei il Consiglio Presbiterale per non essere costretto a decidere da solo. Mi assumerei, infine, le mie responsabilità senza lasciare che le cose muoiano nell’indifferenza. So pure cosa farò io al mio posto: attenderò fino a giugno, cinque anni esatti, le azioni della Diocesi. Se non saranno adeguate o saranno, come prevedibile, del tutto assenti ritengo in coscienza che non sussistano più le condizioni per continuare la collaborazione con la Diocesi di Roma e ne cercherei un’altra disposta ad accogliermi.
il Paziente – Addirittura…
Io – Non prendermi in giro, su. Paolo e Barnaba fecero la stessa cosa e tu non dicesti nulla… (NdA: qui è un velato cenno all’episodio in cui i due apostoli litigarono aspramente; Barnaba voleva che al gruppo si unisse Giovanni detto Marco, ma Paolo non ne gradiva la presenza; perciò si separarono per strade diverse. Cfr At 15,36-39)
il Paziente – Ugo, dunque: sei uomo di pace?

Aggiornamento 15/03/2018

In un tweet pubblicato oggi da Papa Francesco si legge:

Nessun dubbio che il Paziente della stanza 113 avrebbe ispirato il Vescovo di Roma a sottolineare il valore del bene nel futuro dell’umanità: dire no alla guerra non basta se non si dice contemporaneamente sì alla tutela del bene delle persone!