Rendere culto a Dio

Esercizi SpiritualiFiglie della Chiesa, Domus Aurea, Ponte Galeria (RM)
Omelia del lunedì della VI settimana di Pasqua

Letture

Gesù nel discorso durante l’ultima cena prospetta ai suoi discepoli un destino cristiano paradossale.  Dal brano del vangelo che abbiamo ascoltato vediamo che contemporaneamente egli fa una promessa e dà un avvertimento, quasi una minaccia.

Gesù promette l’invio del suo Spirito. Quanto potessero sapere dello Spirito Santo gli apostoli non è dato immaginare a distanza di 2000 anni, con le raffinate conoscenze teologiche della generazione attuale, in grado di parlare di Santa Trinità, di Persone Divine, di Amore che unisce il Padre al Figlio, di pericoresi… Gli umili pescatori di Galilea potevano semplicemente attingere al significato delle parole che ascoltavano nella loro lingua madre e a qualche nozione della Prima Alleanza, ma non molto di aiuto. Non dimentichiamo che il termine ebraico רוח (“Rua’h”; greco πνεῦμα “Pneuma”, derivato dal verbo πνέω “pnèo”, cioè  io respiro, io soffio, io ho vita; latino Spiritus) significa esattamente Respiro, quanto di più intimo e profondo esiste in una persona per consentirle di vivere, quindi Forza Vitale, Alito di Vita.

Volendo giocare con le parole alla ricerca del senso più proprio del termine, ricordiamo anche certe derivazioni in italiano. Delle sostanze alcoliche che inducono ebbrezza gli antichi non conoscevano la composizione, ma erano consapevoli che contenessero “qualcosa” in grado di alterare la coscienza di chi le beve; e questo qualcosa lo hanno chiamato “spirito”, una sostanza indecifrabile ma dagli effetti ben visibili. Come lo “spirito” delle sostanze alcoliche anche lo Spirito Santo è in grado di indurre ebbrezza, definita dalla unanime tradizione della Chiesa “sobria ebbrezza dello Spirito”. Persino Pietro fu costretto a giustificare il modo di agire degli apostoli nel giorno di Pentecoste, quando a chi li ascoltava parve che si fossero ubriacati alle 9 del mattino.

Pervasi dallo Spirito di Dio, infatti, alcuni – anche tra i santi – hanno mostrato di non tenere più alle convenzioni sociali, di non riuscire a trattenersi dal dire quello che pensavano e (come un ubriaco) di perdere i freni inibitori; tutto per “annunciare le grandi opere di Dio”. E viene da riflettere su quanto ancora oggi i credenti siano disposti in nome di Cristo a lasciarsi pervadere da uno Spirito che li porta a non preoccuparsi tanto di se stessi e delle apparenze, quanto della loro missione e dell’amore di Dio e dei fratelli.

Esiste anche un altro ambito nel quale si fa riferimento al termine “spirito” nella lingua italiana. Se di una persona si vuole dire che è particolarmente ilare, gioiosa, rasserenante, si dice che è “spiritosa”. L’ilarità e la gioia serena che accompagna la presenza dello Spirito Santo è un’esperienza molto comune in quanti sono disposti ad accoglierlo e a lasciarsi guidare da lui. In questo senso penso che anche noi dovremo essere un po’ meno “irrigiditi” e comprendere con san Serafino di Sarov che l’annuncio della lieta notizia non può lasciare indifferenti: “Gioia mia, il Signore è risorto!”. Un veleno delle comunià cristiane è la “musoneria”, l’incapacità di vivere con una certa leggerezza anche le situazioni più gravi, perfettamente lieti di potersi abbandonare alla Provvidenza. Se molti ai nostri giorni tendono a rifiutare il messaggio cristiano chiediamoci se non sia anche responsabilità di noi, quando non siamo capaci di costruire comunità accoglienti, gioiose, spensierate.

Si potrebbe continuare ancora con qualche esempio, ma mi interrompo qui. Quando il Signore Gesù promette ai discepoli di inviare su di loro il suo stesso Spirito, forse essi non comprendono del tutto le sue parole, del resto si trattava della rivelazione di una Persona della quale poco si sapeva. Ciononostante comprendono bene che il Signore sta parlando di un dono inaspettato: quello del suo stesso Respiro, della sua stessa intima Forza Vitale. Quel Respiro Santo che portava le sue Parole sante mentre predicava il regno dei cieli; quella Forza Vitale capace di far tornare Lazzaro in vita, di restituire la vista ai ciechi e la salute ai malati. Saranno questi i segni della testimonianza dei credenti, ricolmi dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo non solo renderà una testimonianza interiore ai fedeli, ma li renderà anche testimoni, perché su quel Respiro viaggeranno ancora le Parole che si trasformano in Gesti di salvezza per l’umanità.

La promessa dell’invio dello Spirito è accompagnata però anche da un avvertimento, quasi una minaccia. I discepoli sono in pericolo costante. Pericolo di vita. Gesù avverte loro che saranno uccisi da qualcuno che penserà di “rendere culto a Dio”. Se fino a questo momento poteva essere chiaro che la testimonianza dello Spirito è il vero culto a Dio (“Il Padre cerca adoratori in spirito e verità”), ora i discepoli devono confrontarsi con qualcuno che è “convinto” di onorare Dio uccidendoli. La tradizione teologica ecclesiale ha sapientemente raccolto queste parole e ne ha ricavato una regola di ordine morale: la coscienza invincibilmente erronea obbliga. Una persona, cioè, che fosse realmente convinta in coscienza della bontà e della necessità di un certo comportamento, non percependo che quel comportamento è oggettivamente sbagliato o peccaminoso, deve seguire la propria coscienza, deve sentirsi obbligato a mettere in atto il comportamento, ancorché sbagliato o peccaminoso, e nonostante lo sia e grazie alla fedeltà alla coscienza non solo non sbaglia ma addirittura fa un’opera meritoria.

Così è accaduto anche per Gesù. Condannato lui Giusto ad una morte ingiusta, si è lasciato uccidere da persone che pensavano di rendere culto a Dio, di onorare Dio. L’accettazione del martirio da parte di Gesù è divenuto la “giustificazione” di quanti lo hanno procurato. Chi si interroga in astratto sulla validità di un simile evento troverà ripugnante l’idea che qualcuno possa essere “più” giusto di altri seguendo una coscienza sbagliata che gli fa compiere un omicidio ritenendo così di onorare Dio. Per Gesù, consapevole della verità intorno fede e alla salvezza dell’uomo, questo evento appartiene alla redenzione. Lo Spirito di verità non ci permette di mentire agli uomini rispetto al nostro destino e alla nostra vocazione, come non ci permette di scambiare il bene con il male, sempre pronti a riconoscere quest’ultimo per evitarlo e a ricercare l’altro per compierlo. Ma nemmeno ci permette di dimenticare che la redenzione non si attua se non nella mansuetudine dell’Agnello immolato.

I discepoli, avvertiti del pericolo che corrono, non devono scandalizzarsene. Anzi, siamo chiamati come Gesù ad offrire la nostra vita alle incomprensioni e alle derisioni del mondo. Penso ai tanti cristiani che pur senza arrivare all’effusione del sangue subiscono un martirio quotidiano sul posto di lavoro, in famiglia, persino nelle comunità cristiane. Un martirio a volte più gravoso, perché non limitato ad un solo momento, sfiancante, corrosivo di ogni certezza. Una forma di morte quotidiana, senza essersela meritata. Quel martirio, operato da parte di chi in tal modo ritiene di onorare il Signore, in un certo senso rende possibile la loro salvezza. Rende possibile, perciò, ai credenti di realizzare la propria missione.

Non possiamo terminare la riflessione con un pensiero (in apparenza) tanto negativo. Ecco dunque che si spiega la ragione per la quale Gesù definisce lo Spirito παρακλητος “paracletos” (greco, Paraclito), ad-vocatus (latino), Avvocato nostro, quindi anche Consolatore. Ci difende e ci consola. Ci difende dall’abbattimento, dallo sconforto di una missione spesso incompresa, ci difende dai nostri stati d’animo altalenanti per farci conseguire la certezza interiore che la nostra missione si sta compiendo nonostante difficoltà ed ostacoli. Ci consola esattamente come una madre consola un figlio, perché il Figlio di Dio non ignora il senso di solitudine e impotenza spesso provato dai credenti, animati da tanto entusiasmo profuso nelle loro attività e poi costretti a riconoscere l’esiguità dei risultati conseguiti. Ci consola con la dolcezza e la serenità interiore, la pace compassionevole che ci consente di abbandonarci ancora di più tra le braccia del Padre.

Accogliamo oggi il dono di una Parola portata dal Respiro di Cristo, portata dal suo Spirito inviato a noi per difenderci e consolarci. Rispondiamo con trasporto e fiducia, consapevoli che alla promessa si affianca l’avvertimento, e pronti a non indietreggiare per timore o debolezza: irrobustiti dallo Spirito diventiamo testimoni credibili e veritieri del Signore.