Geel e Dinfna, cura e santità nel disagio mentale
Contenuto
Introduzione
Buonanno – Dal medioevo una sfida alla attuale psichiatria
Gallo – Relazione (significato religioso di Santa Dinfna)
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Introduzione
Per il ciclo Samadi incontra, una serie di iniziative culturali promosse dalla Struttura Residenziale Psichiatrica Samadi (Roma), e in occasione della festa di Santa Dinfna, patrona delle persone con disagio mentale e della psichiatria in generale, il 30 maggio 2024 si è svolto un incontro con la presenza del Vescovo Benoni Ambarus, incaricato della Pastorale della Salute nella Diocesi di Roma, del dott. Antonio Buonanno, Direttore Sanitario della Samadi e del dott. Antonio Gallo, membro della Comunità di Sant’Egidio che opera attivamente nella Struttura e in favore degli Utenti.

Gasthuismuseum Geel. Ziekenzorg in het Geelse gasthuis (Cure ospedaliere nell’ospedale di Geel), dipinto del 1639 di autore ignoto attualmente conservato presso il Gasthuismuseum di Geel. Il quadro raffigura otto monache intente a prestare assistenza medica agli ammalati all’interno dell’ospedale edificato nel XIII secolo nel luogo in cui, secondo la leggenda, Dinfna fu uccisa. Gli ambienti di tale ospedale sono oggi adibiti a museo.
Il titolo dell’incontro “Geel e Dinfna, cura e santità nel disagio mentale” ha voluto mettere in rilievo il legame che esiste tra la figura quasi leggendaria della Santa del VII secolo e il percorso curativo del disagio mentale avvenuto a Geel (Belgio) nel luogo del martirio.
La preparazione dell’evento ha comportato la raccolta di alcuni testi relativi alla storia della Santa, alla storia dell’assistenza psichiatrica maturata a Geel, ad una lettura critica delle condizioni in cui è maturato il culto di Dinfna tra Irlanda e Belgio e ad un numero della rivista europea sullo IESA (Inserimento Eterofamiliare Supportato di Adulti).
- Presentazione ufficiale del Vaticano
- “Geel e Santa Dinfna, una secolare tradizione di assistenza psichiatrica“, Francesco Saverio Bersani, Jacopo Riboni, Elisabeth Prevete, Luca Borghi, in Giornale di storia, 32 (2020)
- “Incesti irlandesi e apoteosi brabantine: una pulzella fra agiografi e invasati“, Renzo Villa, in Belfagor, vol. 63, no. 2, 2008, pp. 147–170
- Dymphna’s family. Edizione italiana della rivista europea sullo IESA, N° 05 2022
La raccolta dei documenti è liberamente scaricabile qui.
I relatori hanno messo a disposizione per la pubblicazione il testo dei loro interventi che vengono integralmente riportati di seguito.
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Dal medioevo una sfida alla attuale psichiatria
Antonio Buonanno
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Santa Dinfna è per la Chiesa Cattolica la patrona delle persone affette da disagi mentali e neurologici, dei luoghi di cura e delle professioni mediche che si occupano di questi malati ma anche delle donne vittime d’incesto e di violenza, in ragione del racconto della sua tragica vita.
Mi risultano esserci diversi Santi il cui culto dovrebbe proteggere da determinate patologie, anche in ambito psichiatrico, non mi sembra però altrettanto frequente il caso in cui la speciale intercessione riguarda tanto gli individui portatori di un disagio che coloro che se ne prendono cura e, addirittura, i luoghi in cui questa cura elettivamente avviene.
È molto interessante che nella identificazione del santo protettore per il disagio mentale la Chiesa stabilisca implicitamente l’esistenza di un continuum salute-malattia, in qualche modo facendo sue le istanze, ad esempio, di Freud che considerava i sintomi manifestazioni esasperate, deformate di fenomeni altrimenti presenti nella vita di ognuno e che rintracciava la matrice della salute e della malattia psichica nell’esperienza infantile. La venerazione di Dinfna, uccisa adolescente dal padre, re divenuto folle in seguito alla morte della moglie, al cui amore insano e incestuoso la giovane si era strenuamente opposta, sembra valorizzare, anche in chiave religiosa, il ruolo delle prime esperienze della Santa con la madre cristiana che la proteggono dalla pazzia del genitore pagano, che perde il senno per il dolore di un lutto.
E il martirio stesso, per mano del padre che la decapita, facendole perdere testa e vita, sembra conferire alla giovinetta il carisma necessario per intercedere per la guarigione dei malati: come se la ferita insanabile che le viene inferta la abilitasse alla cura. Anche questo aspetto, che ha suscitato la devozione verso Dinfna della Chiesa, prima nella comunità dei fedeli, poi nelle gerarchie ecclesiastiche, sembra echeggiare il mito del centauro Chirone, il guaritore ferito, archetipo caro a Jung, che impara l’arte della cura attraverso la sofferenza, sperimentata sulla sua pelle e nella sua mente, esperienza necessaria per esercitare la medicina e che ribadisce la continuità non solo tra sani e malati ma soprattutto tra questi e i loro curanti.
C’è ancora un ulteriore risvolto in questa storia, particolarmente significativo per lo sguardo di uno psichiatra, che riguarda il luogo dove la martire aveva invano cercato rifugio, Geel, nelle Fiandre. Il culto della giovane martire divenne presto così forte da alimentare il pellegrinaggio delle persone affette da disturbi mentali a Geel dove, con l’assistenza della Chiesa locale e degli stessi abitanti, si sviluppò un fenomeno straordinario: i pellegrini furono integrati nel tessuto sociale cittadino e, ancora oggi, le persone con sofferenza psichica vengono accolte nelle famiglie come se fossero figli o parenti.
Secoli prima della nascita di Basaglia, di cui quest’anno ricorre il centenario, e della legge 180, approvata il 13 maggio 1978, in nome di Dinfna la cura della pazzia usciva dai luoghi chiusi, dalla logica manicomiale del contenimento sociale e della costrizione, a protezione dei presunti sani, per essere accolta nelle famiglie e nella società, che riconoscono ai “folli” i loro diritti.
Una visione così moderna e innovativa non poteva passare inosservata, tanto che nel corso dei secoli diversi studiosi della mente si recarono a Geel per studiarne il modello terapeutico da opporre a (o integrare con) quello manicomiale. Nel 1821 lo psichiatra francese Esquirol visitò Geel e descrisse gli individui affetti da disturbi neuropsichiatrici che giravano liberamente per la città, portando il luogo all’attenzione della comunità scientifica. Ne seguì un dibattito che coinvolse i principali studiosi dell’epoca e in cui il peculiare sistema sanitario di Geel venne preso a simbolo di alcuni aspetti innovativi nella cura degli individui affetti da disturbi psichiatrici. Per altri però Geel rappresentava un sistema superato, figlio di credenze religiose antiquate, che non apportava reali miglioramenti clinici per i pazienti. Tali critiche furono mosse prevalentemente da studiosi con formazione scientista, che vedevano nel modello prettamente ospedaliero l’approccio più moderno ed efficace. In questa visione, gli individui che manifestavano disturbi neuropsichiatrici dovevano primariamente essere trattati come persone affette da una malattia organica e pertanto gli ospedali rappresentavano i luoghi ottimali per la cura. Altre argomentazioni allora sostenute da chi criticava la modalità clinica di Geel si basavano sull’idea che un grado di libertà considerato eccessivo fosse inappropriato o dannoso per coloro che manifestavano una sofferenza psichiatrica, anche in relazione al fatto che pazienti di sesso maschile e femminile vivevano insieme e addirittura per il convincimento che una sproporzionata vicinanza con i malati potesse causare un aumento di psicopatologia tra i sani. Queste idee evidentemente purtroppo prevalsero e si continuò a internare i folli nei manicomi, come accadeva anche nella enorme Salpêtrière a Parigi, il “regno” delle isteriche del grande Charcot, maestro anche di Freud, dove lavorava lo stesso Esquirol, allievo di Pinel, il primo che cercò di restituire la dignità alla sofferenza psichica, attraverso il cosiddetto “trattamento morale”, già nella sua prima esperienza nell’asilo di Bicêtre.
Spesso nel passato i luoghi che accoglievano gli alienati mentali, in diverse lingue, si chiamavano asili, utilizzando un termine che designava uno spazio che, se da una parte era coerente rispetto alla etimologia della parola (dal greco a-sylao, senza cattura), nella protezione cioè della inviolabilità della persona del malato, dall’altra, a causa di una preoccupazione ancora maggiore verso la difesa del resto della popolazione dai presunti pericoli derivanti dal contatto con le persone alienate, ritenute estraniate da sé e dal proprio corpo, realizzava, proprio con questo isolamento, la regressione, l’infantilizzazione del folle che perdeva i propri diritti democratici. Tale pratica, al di là delle intenzioni, più o meno nobili, sappiamo essere contraria agli attuali principi che guidano la cura del disagio psichico e una perdita anche per chi quel disagio non lo manifesta.
L’accoglienza dell’altro, sia intesa su un piano sociale e politico come offerta di ospitalità verso lo straniero, che su un piano psicologico come accettazione di ciò che di apparentemente diverso c’è in ognuno di noi, dei nostri aspetti inconsci, è infatti un passaggio necessario nella cura della sofferenza psichica: da decenni si utilizza in ambito psichiatrico, soprattutto per le situazioni più difficili, il concetto di Recovery, inteso come processo multidimensionale che mira al miglioramento della qualità della vita, anche in presenza di eventuali limitazioni imposte dalla malattia mentale, attraverso l’acquisizione di abilità sociali e la riduzione dello stigma. Il processo di Recovery è universalmente concepito in stretta relazione con la capacità degli individui di avere un ruolo sociale attivo e soddisfacente all’interno della loro comunità. L’inclusione sociale dovrebbe realizzarsi nei luoghi di vita delle persone anziché in contesti artificiali, lontani dalla vita reale.
Se ragioniamo su questi concetti e sulle altre indicazioni non farmacologiche oggi ritenute fondamentali nel trattamento dei disturbi psicotici, ovvero il coinvolgimento delle famiglie e la partecipazione a gruppi terapeutici, il modello di cura di Geel ci sembrerà molto più vicino di quanto non lo siano stati altri interventi successivi, ritenuti più moderni, ma viziati dall’assenza di democrazia e, quindi, di libertà, necessità primaria dell’essere umano e del suo benessere psichico.
La democrazia, lo sappiamo, per convenzione è quella forma di governo che si basa sulla sovranità popolare e che garantisce, per ogni cittadino, la partecipazione in piena uguaglianza alla vita pubblica, compreso il suo potere. Nasce, come testimonia la stessa etimologia, nell’antica Grecia: sembra che la parola democrazia compaia per la prima volta in un testo del 463 A.C., Le Supplici di Eschilo. La trama, di imbarazzante attualità e, a me sembra, anche pertinenza rispetto al discorso su Santa Dinfna che sto cercando di portare avanti, racconta di come un gruppo di giovani donne, figlie di Danao, fuggite dall’Egitto per opporsi alla violenza di un matrimonio incestuoso con i cugini, arrivino ad Argo, in Grecia e lì chiedono diritto di asilo. I loro abiti e la pelle brunita dal sole fanno percepire le Danaidi come diverse e per questo sospette agli abitanti di Argo. Ma il racconto del padre Danao smentisce ciò che di alieno sembra esserci nel loro aspetto: le giovani donne sono infatti le ultime eredi della antica principessa di Argo che, sottraendosi al desiderio di Zeus, era stata trasfigurata in giovenca e spinta a un’erranza interminabile fino all’Egitto. Fino cioè al luogo in cui, in seguito al tocco di Zeus, aveva generato gli antenati delle figlie di Danao in fuga e dei figli di Egitto, i cugini che le inseguono pretendendole in spose. Le straniere così si scoprono essere invece concittadine del popolo a cui chiedono accoglienza. Le erranti sono di fatto le discendenti che tornano nei luoghi delle origini per chiudere il cerchio aperto dalla loro antenata. La storia finisce là dove comincia e talvolta ricomincia là dove sembrava essere terminata, sanando la ferita all’origine del trauma, grazie all’intervento e all’accoglienza di chi riconosce ad ognuno i pieni diritti di cittadinanza e si mette in ascolto.
Anche di queste ultime considerazioni, come anticipavo, si avverte l’eco nell’esperienza di Geel ispirata alle vicende della giovine Dinfna, che a loro volta riverberano nel dispositivo di cura, messo a punto nella lontana Argentina dallo psichiatra e psicoanalista Garcia Badaracco, che ha pensato necessario curare il disagio mentale attraverso i Gruppi di Psicoanalisi Multifamiliari, a cui partecipano coloro che esprimono il disagio, i loro familiari e le equipe dei curanti, nella convinzione che la malattia non stia in una persona ma almeno in due o, meglio, nella relazione, che diviene legame patologico e patogeno, tra un figlio e almeno un genitore o un adulto che ne svolge la funzione, a sua volta anello di una catena di una storia che lo precede e talvolta lo agisce, che può essere meglio compresa all’interno del nucleo di origine in ascolto e dialogo con altri nuclei familiari, che accolgono l’alterità come qualcosa che ci riguarda.
Anche quest’ultimo riferimento ad un approccio inclusivo e che sembra essere più efficace nella cura della sofferenza mentale ha assonanze significative con la storia di Dinfna e il suo culto, come se dal Medioevo giungesse a noi un modello attuale, che valorizza la dimensione storica e relazionale delle vicende umane, sfidando le semplificazioni biologiste dilaganti.
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Relazione
Antonio Gallo
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Eccellenza Mons Ambarus
Grazie per la sua presenza
Cari amici oggi siamo qui riuniti in questa in un luogo di cura e vorrei salutarvi senza citare gli uni o gli altri, ma tutti noi, nello spirito di S. Dinfna perché una delle definizioni che ho letto e ritengo tra le più belle di S. Dinfna, è
Patrona dei malati di mente e di coloro che se ne prendono cura.
Credo sia importante leggere le coincidenze che la storia ci propone, maggio è il mese in cui si ricorda S. Dinfna ma è anche il mese in cui è stata emanata la legge 180, nota come la norma che ha chiuso i manicomi in Italia, anche se la definizione non è esatta. La legge 180.
Il 24 dicembre si aprirà l’anno santo.
In questa città di Roma c’era il più grande ospedale psichiatrico d’Italia e d’europa il S.Maria della Pietà che nacque con l’intenzione di dare ospitalità ai pellegrini previsti a Roma in occasione dell’anno santo del 1550. I promotori, un sacerdote e due laici spagnoli, volevano dare accoglienza e assistenza ai poveri e forestieri e alle persone con disagio mentale per questo fu chiamato all’inizio l’ospedale dei poveri e dei forestieri.
Nel maggio del 1562, la definizione dell’ospedale fu cambiata in “Ospedale dei Poveri Forestieri e pace” e poco dopo in “Ospedale di Santa Maria della Pietà dei forestieri e dei pazzi”. Infatti la confraternita nel corso del tempo si è dedicata sempre più esclusivamente all’accoglienza delle persone con disagio mentale.
Nei secoli successivi il piccolo ricovero si trasferì in nuove sedi rispetto a quella iniziale a vicino piazza colonna (via dei Bergamaschi) ingrandendosi notevolmente fino a diventare nel corso dei secoli un’istituzione dalle dimensioni terribili e disumane.
Il numero dei ricoverati nel 1562 era di due-tre donne e sei-otto uomini. Le stime sono state ricavate dai documenti relativi all’acquisto della biancheria perché i libri dell’ammissione, sono andati perduti. (Camicie da notte per le donne e brache da tela per gli uomini) Quattrocento anni dopo nel 1963 si contavano 2271 ricoverati adulti e 200 tra bambini e ragazzi. 200!
Mons Ambarus: Anno Santo, Roma, accoglienza, pace, disagio mentale, non so glielo dico con il cuore, sarebbe bello un momento giubilare!
Ma veniamo a Dinfa chi era questa giovane ragazza dal nome così strano?
Nel libro delle vite dei santi irlandesi scritto nel 1875 si ipotizza che Dymphna derivi dalla deformazione nell’alto olandese di un nome dal gaelico damnat che indica la cerbiatta, una piccola cerva.
S. Egidio il santo da cui prende il nome la Comunità di Sant’Egidio, forse contemporaneo di S. Dinfna, fu colpito da una freccia scagliata dal re dei Goti in direzione della cerva che stava per rifugiarsi nella grotta da lui abitata. salvandola. E’ bello pensare che la vicenda di Dinfna, la cerbiatta, sarebbe stata diversa se avesse anche lei incontrato nella sua strada un monaco come Egidio. Vorrei portare a tutti i presenti in questo giorno il saluto della Comunità di Sant’Egidio.
Siamo in Irlanda nel VII secolo Difna figlia unica di un re irlandese pagano, di nome Damon, e di una madre cristiana, di cui non si conosce il nome che di nascosto la fece battezzare da un sacerdote di nome Gereberno o Gerebernus.
La madre morì prematuramente ed il re ne rimase profondamente addolorato e diede ordine di ricercare nel suo regno un’altra donna almeno pari a lei da sposare. Non trovandola inviò i suoi uomini anche ai regni vicini.
Ma ogni ricerca non soddisfaceva il re e i suoi consiglieri gli suggerirono di sposare sua figlia Dinfna, bella e simile alla madre. Questa proposta entrò nella mente del re che cercò di convincerla a sposarsi con lui. Difna si rifiutò di accettare una richiesta simile e cercò senza riuscirci di ricondurlo alla ragione. Il re non tenendo conto dei rifiuti della figlia si narra che in preda a una feroce follia, le disse che l’avrebbe sposata anche contro la sua volontà. Per prendere tempo, Dinfna chiese al padre un periodo per poter riflettere. Si narra che si fece portare l’abito delle nozze per far credere al padre di aver accettato la proposta di matrimonio.
Dinfna in realtà chiese consiglio al prete Gerebernus e con il suo sostegno decise di cercare la via della fuga: scappò via mare insieme a lui e ad alcuni compagni approdando in Belgio ad Anversa. Si stabilirono nelle vicinanze in un piccolo paese di nome Geel; nei pressi di una chiesa dedicata a san Martino, dedicandosi alla preghiera alla carità verso i poveri.
Gerebernus è stato un un prete buono e coraggioso,
Mons. Ambarus, don Ben, quanto è importante nei luoghi di cura e specie nel disagio mentale la presenza di un prete. Si vede la differenza se c’è o meno la presenza della Chiesa. Non è un lusso o un benefit delle strutture. È certamente il diritto all’eucarestia alla celebrazione della messa per chi crede, ma per tutti è conforto e prima ancora è ascolto, perché i cristiani, presbiteri e laici, seppure nel rispetto dei ruoli e delle funzioni all’interno di una struttura sanitaria in cui sono presenti, sono esperti di umanità perché portatori dell’umanità di Gesù.
Come ha detto Papa Francesco nel novembre 2021
Cerchiamo di stare accanto a chi è esausto, a chi è disperato, senza speranza, spesso ascoltando semplicemente in silenzio, perché non possiamo andare a dire a una persona: “No, la vita non è così. Ascoltami, ti do io la ricetta”. Non c’è ricetta.
L’ascolto richiede tempo e pazienza. Non c’è una ricetta facile e veloce.
Ma torniamo alla vicenda di questa giovane ragazza. La disperazione del re per la perdita della moglie aumentò per la fuga della figlia e inviò i soldati alla ricerca. Questi arrivati ad Anversa per pernottare si accorsero che l’albergatore possedeva delle monete provenienti dal loro regno da ciò capirono che Dinfa ed i compagni potevano essersi rifugiati nelle vicinanze.
Il padre di Dinfa riuscì a trovarla, prima uccise il sacerdote e dopo le chiese di nuovo di sposarlo. Al suo opposizione ordinò ai soldati di ucciderla ma questi si rifiutarono, forse per pietà di una povera ragazza così giovane, oppure per rispetto, in fondo era sempre la figlia del re. Il Padre allora uccise lui stesso Dinfna.
I poveri resti di Difna e di quel prete buono furono sepolti nel paese. Non sappiamo più nulla del padre. Ma sappiamo che dopo quelle uccisioni terribili molte persone andarono a pregare sulle loro tombe a Gheel che divenne meta di pellegrinaggi. Non ci sono informazioni precise ma le leggende narrano che dopo la sua morte alcune persone malate di mente, portate presso la sua tomba per chiederle la grazia, guarirono.
Negli anni successivi Gheel diventò sempre più un luogo di pellegrinaggio per chiedere la guarigione dalla malattia mentale. In seguito si formò a Gheel una numerosa comunità di malati tanto che per accoglierli nel 1286 venne costruita una struttura per ospitarli. La fama crescente del luogo spinse le autorità a chiedere l’aiuto ai cittadini del paese.
Iniziò una tradizione di accoglienza di persone con disagio mentale da parte delle famiglie del paese, che dura fino ad oggi, che taluni definiscono una anticipazione delle moderne “case famiglia”.
Spero avremo occasione di parlarne più approfonditamente ma vorrei sottolineare che da questa vicenda terribile iniziò una storia di accoglienza in famiglia di persone con disagio mentale.
Forse si può affermare che ciò è il miracolo più grande di santa Dinfna.
Scrive Renzo Villa che la pratica dell’assistenza familiare è molto più radicale della liberazione dei malati di mente.
E’ importante essere dimessi, in alcuni casi liberati dopo tanti anni vissuti in una struttura psichiatrica come nei manicomi, ma per andare dove e con chi? Vorrei sottolineare questo: accogliere in uno spirito familiare è veramente radicale e rivoluzionario.
Vedo in questa storia il principio delle convivenze a cui la comunità di Sant’Egidio tiene molto. C’è bisogno di un dopo di una prospettiva dopo il ricovero.
Ma la vicenda di Dinfna è una storia contemporanea. Chi è Dinfna oggi?
Oggi potrebbe essere una ragazza o un ragazzo che fugge dal suo paese di origine per la guerra. E’ la storia di tanti giovani profughi che cercano un rifugio sicuro in Europa. Che scappano dall’Ucraina per la guerra, o dall’Afghanistan o dalla Libia dove alcuni rimangono anni in veri e propri lager.
Ma è anche la storia di quei giovani che vengono in Italia sperando in una vita migliore magari da paesi dove non c’è la guerra ma ci sono storie di violenza e di povertà perché c’è la fame. Magari da un paese africano.
Difna potrebbe essere un giovane perseguitato per motivi religiosi per la sua fede
magari di un paese europeo dei balcani o
Oppure è la vicenda di una famiglia difficile con uno dei genitori che ha problemi e o che non va più d’accordo con il coniuge o i figli.
A volte una madre sola con un figlio o figlia adolescente, costretta a lavorare tutto il giorno che non riesce a dedicargli il tempo necessario. Come è difficile essere madri sole.
Ma Difna oggi è anche una donna, a volte molto giovane vittima di violenza a cui si aggiunge il peso di quello che le è accaduto.
Un giovane o un adulto che si trovano in carcere e che non riescono a sopportare una vita così dura.
Ma Dinfna oggi è un ragazzo o ragazza, a volte un adolescente che ha una bella famiglia che sente il peso di una vita che sembra difficile,e inizia non mangiare.
Cosa farebbe Dinfna oggi?
Scrive Montanaro nel libro tutti i colori del mondo in un dialogo immaginario fra una ragazza ospite di una famiglia di Gheel Teresa e il pittore Van Gogh a proposito di Dinfna:
Lei lo ha perdonato, perché lui (il padre) era folle, l’amore lo ha fatto folle, l’amore fa sempre folli, signor Van Gogh, quelli a cui non importa niente vivere non diventano mai pazzi
Oggi Dinfna patrona delle persone con disagio mentale avrebbe perdonato quella follia, Ma come? Con l’amore.
Mons. Ambarus. Le posso testimoniare che qui alla Samadi ed in altre strutture psichiatriche ospiti e personale si sono resi partecipi dell’aiuto agli altri, raccogliendo beni di prima necessità per i profughi ucraini, aiutando l’allestimento di centri per la distribuzione dei vestiti. Non è solo volontariato è guardare oltre il proprio io, uscire dal proprio orizzonte a volte difficile, diventare migliori, perché utili per qualcuno.
Qualche anno fa Papa Benedetto XVI citava un teologo, Josef Pieper, nel suo libro sull’amore che ha mostrato che l’uomo può accettare se stesso solo se è accettato da qualcun altro. Ha bisogno dell’esserci dell’altro che gli dice, non soltanto a parole: è bene che tu ci sia. Solo a partire da un “tu”, l’“io” può trovare se stesso.
Solo se è accettato, l’“io” può accettare se stesso. Chi non è amato non può neppure amare se stesso. Concludo citando il libro di Montanaro:
A Gheel ci sono quelli che lavorano nei campi, quelli che dipingono, quelli che fanno i giardinieri e quelli che non fanno niente, quelli che sono pericolosi, e sono chiamati innocenti, e quelli che sono rinsaviti i pochi che hanno ferito e ucciso qualcuno e i tanti che hanno impedito che accadesse più spesso, e ci sono quelli buoni e quelli cattivi, quelli permalosi e quelli piagnucolosi, quelli generosi e quelli molto avidi, quelli di compagnia e quelli che disturbano, quelli che tirano i sassi ai gatti e quelli che curano gli ammalati;
ma solo perché sono uomini come tutti gli altri, signor Van Gogh.