Problemi filosofici delle teorie del gender

Classificazione delle teorie del gender

uomo_donnaNel citato testo Davide Dèttore si incarica di presentare le diverse teorie sull’identità di genere. La questione di partenza della ricerca sullo sviluppo dell’identità di genere che si muove fin dagli anni ’70 del secolo scorso (sulla scia delle teorie femministe, con “la convinzione che il sesso biologico non dovrebbe essere un fattore predeterminante che modella l’identità sociale o i diritti sociopolitici o economici della persona“) è comprendere in che modo durante lo sviluppo della persona umana si afferma nell’individuo l’identità di genere, il ruolo e l’orientamento (sessuale). Questione tutto sommato “vecchia”, se consideriamo che anche Platone, quattro secoli prima di Cristo, con il mito dell’Androgino cercava di spiegarsi le diverse forme di amore, compreso quello omosessuale. In tempi recenti si sono percorse strade diverse da quella platonica, che attribuisce la diversificazione sessuale ad una catastrofe primordiale effetto dell’eterna competizione tra divinità e umanità, si sono moltiplicate le ricerche e si sono meglio formalizzate le teorie.

A Dèttore dobbiamo un’affermazione semplificatrice delle implicazioni della questione: “Il sesso sta al genere come la natura sta alla cultura, quindi il primo è attinente a ciò che è naturale e biologico, il secondo a quanto è appreso e culturale” (p. 11). Come si può osservare, nelle teorie del gender (in italiano: genere) si mettono in gioco competenze di scienze molto diverse, spaziando dalla biologia all’antropologia, ma laddove si tocchino i temi della natura e della cultura è giocoforza che la filosofia e la teologia (o anche le teologie, al plurale, se accettiamo l’idea che l’unico interlocutore non sia la religione cristiana cattolica) si sentano in obbligo di intervenire. Naturalmente la semplificazione non è accettabile tout court se non come ipotesi di lavoro, formulata da uno studioso che cerca la sua verificazione o la sua falsificazione. L’equazione che vede nel “sesso” solo qualcosa di naturale e biologico e nel “genere” il corrispettivo culturale dovrebbe essere provata per elevarsi al rango di “legge”. Peraltro proprio la “natura” e la “cultura” sono concetti fluidi, in qualche caso – e per evitare che si possa richiamare la sfera trascendente implicita in entrambi – tendono ad essere negati, soprattutto il primo.

L‘autore presenta anzitutto la definizione di identità di genere di Egan e Perry (2001) da lui considerata la più ricca. La riproduco integralmente nei suoi cinque componenti (p.12):

  1. la consapevolezza di appartenenza: il sapere a quale genere si appartiene;
  2. la tipicità di genere: il grado in cui l’individuo si rende conto che le proprie qualità sono simili a quelle di altri che appartengono allo stesso gruppo di genere;
  3. la contentezza di genere: la misura in cui l’individuo è soddisfatto del proprio genere;
  4. la pressione percepita: il grado in cui l’individuo percepisce le richieste provenienti da se stesso o dagli altri a conformarsi alle norme del proprio gruppo di genere;
  5. il pregiudizio intergruppo; la convinzione che il proprio gruppo di genere sia superiore agli altri.

All’identità di genere si legano poi il cosiddetto “ruolo di genere” [“vale a dire tutto ciò (compresa l’eccitazione e la risposta sessuale) che si fa per esprimere agli altri l’appartenenza a un determinato sesso (o l’ambivalenza in proposito)“, p. 12] e l'”orientamento sessuale” [“la tendenza della persona a rispondere con eccitamento a certi stimoli sessuali“, p. 12]. Tali distinzioni già da sole sono in grado di dimostrare quanto sia complesso il campo nel quale ci si muove nel momento in cui si esplora la sessualità umana. E quindi l’importanza di una riflessione non approssimativa.

Dèttore individua quattro approcci allo sviluppo dell’identità di genere, nei quali collocare le relative teorie:

  1. Approcci biologici
    • Teoria dell’ormone prenatale: “L‘identificazione col sesso opposto e/o l’omosessualità (possono) essere il risultato di eccessi o di carenze di androgeni in utero durante un periodo sensibile per lo sviluppo delle strutture ipotalamiche che regolano la produzione ormonale” (p. 16)
  2. Approcci evoluzionistici
    • Teoria della psicologia evoluzionistica: “Tale punto di vista a carattere evoluzionistico tende a spiegare le differenze tra i sessi nella sessualità e nei criteri di scelta del partner in base al principio  del cosiddetto «investimento parentale differenziale»” (p. 22-23)
  3. Approcci psicosociali
    • Teorie psicanalitiche: l’identità di genere nel bambino si sviluppa con la conoscenza della genitalità, nell’identificazione con il genitore dello stesso sesso, nella differenziazione complementare con il sesso opposto (p. 26-27)
    • Teorie dell’apprendimento sociale: “Questi modelli teorici sostengono che la tipizzazione sessuale non si differenza da qualsiasi altra forma di apprendimento sociale” (p. 27)
    • Teoria del ruolo sociale: “(Le) differenze di genere (sorgono) come conseguenza del fatto che uomini e donne recitano diversi ruoli sociali” (p. 29)
    • Teoria ecologica di Bronfenbrenner: lo sviluppo sociale del bambino avviene nel contesto e viene influenzato da sistemi interconessi tra loro (p. 30)
    • Teorie di costruzione sociale: i costruzionisti sono influenzati da una visione femminista e in base alle loro osservazioni sostengono che piuttosto che “avere un ruolo” le persone “lo fanno, lo costruiscono” (pp. 30-33)
  4. Approcci cognitivi
    • Teoria degli stadi cognitivo-evolutivi di Kohlberg: “Il bambino sviluppa convinzioni e comportamenti relativi al genere come risultato dell’impiego da parte sua dei propri concetti di base sul mondo, compresi quelli riguardanti il proprio e altrui corpo” (p. 34)
    • Teorie degli schemi: “Per il costruzionismo l’agente centrale del cambiamento è la società… Invece per i costruttivisti, l’agente principale del cambiamento è l’individuo stesso… Il termine «schema» si riferisce a un insieme di strutture cognitive relative a un dato dominio che organizza il modo in cui la persona comprende, pensa e ricorda relativamente a tale dominio (e di conseguenza sceglie il comportamento)” (p. 35)
    • Teorie intergruppo: “Alcune caratteristiche interne degli individui, in particolare il bisogno di una buona immagine di sé, inducono la tendenza a considerare i gruppi ai quali si appartiene (in-group) superiori a quelli ai quali non si appartiene (out-group)” (p. 38)

Con vero dispiacere mi vedo costretto a concludere qui questa sintesi della sintesi riguardo alle teorie dello sviluppo dell’identità di genere, rinviando il lettore ad approfondimenti personali per cercare di districarsi tra le diverse teorie e scusandomi con tutti delle inevitabili imprecisioni nell’esposizione. Per i miei scopi è sufficiente la presentazione fatta che porta a concludere, insieme con Dèttore (pp. 40-41):

In base ai vari dati e alle teorie che sono state precedentemente esposte, risulta chiaro che i fattori biologici alla base delle differenze di sesso contribuiscono in modo rilevante all’identità di genere degli individui, ma è altrettanto vero che anche le componenti sociali, culturali e cognitive aggiungono un loro altrettanto importante contributo. Lo stretto interlacciamento di queste due classi di fattori rende molto difficile individuare il peso di ciascuna delle due influenze, in quanto esse lavorano insieme per influenzare il comportamento… Inoltre risulta evidente che la dicotomia di sesso maschio/femmina e quella di genere mascolino/femminile tipica della nostra attuale cultura occidentale è il risultato della preoccupazione sociale e scientifica per il concetto di “riproduzione”, che… è la conseguenza dell’impostazione darwinista che pone la selezione della specie al centro dei processi di trasformazione e generazione della specie, così rendendo fondamentale la bipolarità sessuale.