Camminate secondo lo Spirito

Esercizi Spirituali – Figlie della Chiesa, Domus Aurea, Ponte Galeria (RM)
Omelia per la penitenziale

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Nel giorno della festa di san Matteo Apostolo abbiamo avuto l’opportunità di meditare sul modello di fede come “cammino”. Ed ora celebriamo la liturgia penitenziale. Tra i tanti input che provengono da essa – le orazioni, l’esame di coscienza con qualche testo degli ES di Ignazio, il poema della monaca Cassiana -vorrei che rivolgessimo la nostra attenzione a due elementi:  l’ascolto del brano di Galati 5,1.13,26 e il gesto del bacio del vangelo che compiremo durante l’atto penitenziale.

La trama del brano che ho scelto dalla lettera ai Galati è chiara: la libertà conquistata da Cristo costituisce il tessuto dell’essere cristiano. Dal contesto del brano emerge il duplice valore della libertà cristiana, come libertà dalibertà per. I due aspetti sono inscindibili e imprescindibili. Paolo li sintetizza in un unico versetto: “Che questa libertà non divenga un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri” (v. 13). La carne cui fa riferimento l’apostolo possiede un significato non necessariamente coincidente con il senso negativo e basso che noi attribuiamo al termine.

In realtà potremmo identificare nella concentrazione della parola “carne” un concetto complesso e articolato come quello di “uomo carnale”, “uomo materiale”, che rappresenta l’uomo letteralmente prigioniero della propria condizione finita. Nel linguaggio di Paolo l’uomo carnale e materiale è colui che “non ha altro io al di fuori di sé”, che ha eretto l’idolo della propria individualità come se l’intero universo gravitasse attorno alle sue necessità, alle sue convinzioni, ai suoi desideri. L’uomo carnale non ammette un’alterità trascendente, percepita quasi in conflitto con se stesso; ma non ammette nemmeno l’alterità delle altre persone umane. Il suo punto di vista prende il posto dell’assoluto, la sua libertà coincide con la sua volontà, le sue azioni sono una forma di dominazione. L’uomo carnale è fondamentalmente un egoista. Non a caso Paolo ironizza sull’eventualità che dallo scontro tra uomini carnali possa derivare solo distruzione (v. 15).

Dunque “le opere della carne” enumerate da Paolo non sono altro, in una solitudine narcisistica, che il frutto di una mancanza di libertà, che altro non è che una schiavitù, una dipendenza, come la droga o l’alcol. All’uomo carnale manca la libertà da se stesso; egli è incapace di spingersi oltre il proprio recinto, di relativizzare i propri bisogni e di comprendere i propri stati d’animo. Schiavo di se stesso, l’uomo carnale della terminologia paolina cerca, senza soddisfazione e senza prospettive di beatitudine (“non erediterà il regno di Dio”), di realizzarsi al di fuori di Dio e contro i fratelli, chiuso nel suo angusto recinto di bisogni e desideri.

Al contrario l'”uomo spirituale”, quello che “cammina secondo lo Spirito”. Attenzione: non secondo il proprio spirito, il proprio gusto interiore. Tale situazione ci riporterebbe semplicemente a quella dell’uomo carnale. L’uomo spirituale è tale perché cammina, respira, vive immerso nello Spirito di Cristo. Quella dell’uomo spirituale è una libertà per, una libertà orientata al di sopra e al di fuori di se stesso. L’uomo spirituale riconosce il Dio che lo sovrasta e in cui è immerso, non lo ignora né lo combatte. Al tempo stesso riconosce l’alterità del prossimo, escludendo di occupare una posizione assoluta sa mettersi in discussione e sa entrare in dialogo, sa parlare ed ascoltare. La libertà dell’uomo spirituale è messa al servizio di Dio e dei fratelli.

Perciò nelle opere che compie egli è capace di cogliere “il frutto dello Spirito”, il quale collabora perché le azioni dell’uomo spirituale siano impregnate di “amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”. L’uomo spirituale agisce, lo Spirito suscita i frutti. Importanti, anche ai fini del discernimento; essi infatti diventano criterio di autentica spiritualità.

Con la penitenziale noi confessiamo i nostri peccati, ma direi che questa è una piccola opera dell’uomo spirituale, posta nelle mani del Signore perché sia lui a compiere l’opera decisiva: lo Spirito ci liberi dalla schiavitù di noi stessi, faccia cadere le mura che ci tengono prigionieri e soli dentro i nostri spazi angusti, quelli della malinconia, delle insoddisfazioni, della ricerca di magre consolazioni; lo Spirito ci faccia respirare aria nuova, dilati i nostri orizzonti, ci faccia guardare con occhi nuovi coloro che ci sono accanto, per amarli come noi stessi, per metterci a servizio gli uni degli altri.

Durante la liturgia ci avvicineremo processionalmente al vangelo per baciarlo. Voi sapete che nella celebrazione della Messa sono tre i “baci” consentiti, anzi chiesti ad un sacerdote: il bacio dell’altare, il bacio del vangelo e il bacio santo della pace. A tutti è abbastanza chiara la simbologia presente in questo gesto. L’altare, il vangelo, il fratello sono altrettante presenze “reali” di Cristo. Il sacerdote sfiora con le labbra, in un contatto fisico molto ravvicinato, tale presenza. Segno quindi di venerazione, segno di affetto, segno di comunione, segno di tutte quella espansività che può trovarsi solo tra persone che si amano e sono totalmente intime.

Nel vangelo, poi, leggiamo di quell’episodio nel quale la “peccatrice” ricordata da Luca 7,38 lavava con le lacrime i piedi di Gesù, li cospargeva di olio profumato e li baciava. Un gesto letto da Gesù in un’ottica “penitenziale”. La donna aveva compreso che amando molto avrebbe ricevuto il perdono per i suoi molti peccati (v. 47). Così in questa nostra celebrazione ci avviciniamo anche noi all’evangeliario per baciarlo, riconoscendo la presenza di Gesù in quella parola di vita, venerando il Signore, ricercando con lui l’intimità dello sposo, dimostrando il nostro amore per lui e portando in quel bacio tutta la nostra richiesta di perdono.

Ma sarei un pessimo annunciatore del vangelo se tacessi un altro aspetto, direi il più importante. “Che mi baci con i i baci della sua bocca” (Ct 1,2) dice la sposa del Cantico dei Cantici non appena inizia a parlare. La sposa alla ricerca del suo amato auspica, desidera, brama il bacio dello sposo. Quel bacio che le fa dimenticare ogni affanno e la fa sussultare di gioia e di trepidazione. Accostando le labbra per il bacio dell’altare, del vangelo, del fratello il sacerdote non deve dimenticare che a sua volta è baciato dal Signore, di cui altare, vangelo e fratello sono segno e presenza reale.

Tra breve tutti noi compiremo lo stesso gesto. Come Paolo esortava i Corinzi (5,20; 6,1) a lasciarsi riconciliare con Cristo, io vi esorto, ed esorto me stesso: lasciamoci baciare da Cristo, dallo sposo. Lasciamo che sia lui ad accoglierci nella sua buona notizia di perdono, di riconciliazione, di cura delle nostre ferite, perché anche noi, come la sposa del Cantico possiamo dire: “Attirami dietro a te, corriamo! M’introduca il re nelle sue stanze:
gioiremo e ci rallegreremo per te, ricorderemo le tue tenerezze più del vino. A ragione ti amano!
” (Ct 1,4).