Testimoni: il profeta

“Come mai questo tempo non sapete giudicarlo?”

(Lc 12,56)

Fede e discernimento

Corso di Esercizi Spirituali

Figlie della Chiesa

Domus Aurea

19-26 Settembre 2013

Testimoni: il profeta
Sal 117

Celebrate il Signore, perché è buono;
eterna è la sua misericordia.
Dica Israele che egli è buono:
eterna è la sua misericordia.
Lo dica la casa di Aronne:
eterna è la sua misericordia.
Lo dica chi teme Dio:
eterna è la sua misericordia.
Nell’angoscia ho gridato al Signore,
mi ha risposto, il Signore, e mi ha tratto in salvo.
Il Signore è con me, non ho timore;
che cosa può farmi l’uomo?
Il Signore è con me, è mio aiuto,
sfiderò i miei nemici.
È meglio rifugiarsi nel Signore
che confidare nell’uomo.
È meglio rifugiarsi nel Signore
che confidare nei potenti.

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La profezia in Israele

Sappiamo che il fenomeno della profezia è tipico dell’esperienza religiosa e mistica del popolo di Israele. Altri popoli, come gli antichi greci o gli antichi romani, non conoscevano un simile fenomeno; essi valorizzavano maggiormente la dimensione religiosa della “divinazione” o “mantica”: gli indovini, i vati cercavano di “indovinare” il futuro o il destino, leggendo fenomeni naturali, e gli “oracoli” ascoltavano il responso degli dei.

In Mesopotamia e in Egitto si leggevano le stelle: l’astrologia cerca di mettere in relazione quello che accade nel cielo con quello che accade sulla terra. Ma scrutando il cielo alla ricerca della verità questi popoli in realtà manifestano una sensibilità particolare verso la cultura, tanto che Ludolfo di Sassonia (XIV sec) nella sua Vita Christi (quella che venne letta da Ignazio di Loyola durante la sua convalescenza e che lo spinse alla conversione) afferma: “Erano detti magi dai Persiani coloro che gli Ebrei chiamavano scribi, i Greci filosofi e i Latini savi”.

La profezia compare in Israele e all’inizio non sempre si distingue agevolmente dallo status sacerdotale, per quanto il fenomeno sembra possedere un carattere squisitamente laico. I profeti di corte, che lo fanno per mestiere, che guadagnano sopra le loro attività, non sempre sono attendibili. Anzi, più spesso cercano di compiacere il governante di turno.

Tuttavia il fenomeno della profezia non è associato dagli ebrei ad un modello o ad un prototipo da rispettare. Ne è prova la suddivisione che viene effettuata tra i vari testi biblici.

Da parte nostra siamo soliti distinguere la Bibbia in Pentateuco, libri storici (per esempio Giosuè, Giudici, Samuele, Re), libri poetici e sapienziali e libri profetici. All’interno di quest’ultima categoria operiamo una seconda divisione tra profeti maggiori e profeti minori.

Il canone della Bibbia ebraica differisce non poco (anche rispetto a quello della versione greca dei LXX). Gli ebrei suddividono la Bibbia in Torah (la Legge, il pentateuco); Neviim (i Profeti) e Ketuvim (cioè gli Scritti o Agiografi, dal greco “testi santi”). A loro volta i libri profetici sono suddivisi tra anteriori e posteriori. Con nostra sorpresa tra i primi si ritrovano gli scritti che la nostra tradizione interpreta come “storici”: Giosuè, Giudici, Samuele, Re. Mentre i profeti “posteriori” sono solo quattro: Isaia, Geremia, Ezechiele e i “dodici profeti” riuniti sotto un unico denominatore: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia.

Tale suddivisione rispecchia il modo di intendere la Bibbia nella mentalità ebraica, del tutto aliena ad etichettare secondo funzioni, invece protesa a raccontare la propria storia; così Neviim e Ketuvim sono i libri nei quali il popolo che ha ricevuto la rivelazione di Dio, che è stato liberato e sottratto dalla dominazione di altri popoli, che è stato scelto e costituito popolo, che è stato educato e istruito dal Signore con la sua Legge, quel popolo “si narra”. Non a caso gli ebrei trovano meno interessanti i libri nei quali leggono la propria storia piuttosto di quelli – la Torah – dove leggono l’opera di Dio.

La figura profetica rifiuta di essere circoscritta e vincolata ad un determinato schema. Ne è prova quello che si legge nella Torah sia a proposito degli anziani sia a proposito di Mosè.

Fossero tutti profeti in Israele!

Il primo passo biblico con il quale ci avviciniamo alla concezione della profezia in Israele si trova nei capitoli 11 e 12 del libro dei Numeri. Un capolavoro nel quale giganteggiano due figure, quella di Jahvè e quella di Mosè.

Cerchiamo di seguire l’evoluzione della storia.

  • Lamento del popolo, intervento di Dio e intercessione di Mosè
    11,1-3: il popolo di Israele si lamenta e un fuoco divampa nell’accampamento; la preghiera di Mosè fa cessare la prova
  • Lamento e pianto del popolo
    11,4-9: alcuni “della folla” riescono a indurre anche gli israeliti a “piangere” per la nausea della manna e il desiderio di mangiare carne
  • Intervento di Dio e intercessione di Mosè
    11,10-15: Mosè ode il pianto del popolo, si accorge che Dio sta per intervenire una seconda volta, se ne dispiace e lo precede con una preghiera di intercessione, mostrando quanto sia ben poca cosa il desiderio di mangiar carne rispetto all’aver concepito e allevato il popolo
  • Intervento di Dio a favore del popolo
    11,16-23: il Signore risponde a Mosè promettendo carne in abbondanza e cogliendo l’esigenza di associare altre persone a Mosè nella guida del popolo
  • Intervento di Mosè a favore di Dio
    11,24-30: tutti i convocati ricevettero lo spirito di profezia, anche alcuni che erano rimasti alle loro tende: Mosè auspica che tutti in Israele siano profeti
  • Intervento di Dio per favorire e punire
    11,31-35: il Signore esaudisce il desiderio del popolo e manda quaglie in abbondanza, ma punisce l’ingordigia di qualcuno
  • Lamento di Maria e Aronne
    12,1-3: Maria e Aronne, fratelli di Mosè, si attribuiscono gli stessi privilegi di Mosè “uomo assai umile, più di qualunque altro sulla faccia della terra”
  • Intervento di Dio in favore di Mosè e punizione di Maria
    12,4-10: Dio convoca i tre parenti, presenta Mosè come un uomo speciale con il quale egli parla “bocca a bocca”, mentre ai profeti parla con visioni; punisce Maria (Aronne forse si salva perché è il sacerdote…)
  • Sollecitazione di Aronne, intercessione di Mosè e guarigione di Maria
    12,11-16: su intercessione di Mosè, sollecitato da Aronne, Maria viene guarita

Abbiamo letto una storia di cadute, di lamenti, di ira, di doni superiori alle attese, di intercessioni, di ripensamenti, in un dialogo costante tra Dio e uomo. In questa storia si fa strada la concezione ebraica del profeta che non privilegia una forma particolare di manifestazione ma riconosce nella figura profetica

  1. un membro del popolo (11,16)
  2. conosciuto come anziano e saggio (scriba, 11,16)
  3. investito di spirito (11,17)
  4. per portare il carico del popolo (11,17)

L’auspicio di Mosè “fossero tutti profeti nel popolo del Signore” (11,29) sembra quindi il desiderio “profetico” che ciascuna persona ripiena dello Spirito del Signore raggiungesse la saggezza e fosse capace di sostenere se stessa e “il popolo”.

Al tempo stesso questa figura profetica è capace di “profetizzare” (11,25.26) nella misura in cui il Signore si rivela in visione o in sogno (12,6). E trattandosi di un fatto eccezionale non può essere considerato che temporaneo.

Mosè, il profeta più grande

Mosè è un personaggio di importanza capitale nella storia di Israele. Più che alla liberazione dalla schiavitù egiziana il suo nome è legato alla Torah donata da Dio sul Sinai per le sue mani. Mosè è rav, maestro, rabbino per eccellenza nel popolo. Lui insegna, non tanto nozioni intellettuali quanto insegnamenti di vita.

Così le sacre scritture fanno coincidere la fine della Torah con la morte di Mosè. L’ultimo capitolo del libro del Deuteronomio (34) è un quadretto di intimità tra Dio e Mosè, dove quest’ultimo sembra aver esaurito tutte le parole da dire, lasciando che sia Dio a pronunciare l’ultima.

Mosè dal Nebo osserva la terra nella quale non entrerà. Non ci è dato conoscere il suo stato d’animo. Ma Mosè era l’uomo più mite della terra e la sentenza con la quale Dio decide di tenerlo lontano dalla terra promessa non gli sarà apparsa gravosa.

Qui qualcuno, qualche secolo dopo i fatti narrati, forse verso l’anno 1000 a. C., commenta che “non è sorto in Israele un profeta come Mosè che il Signore conosceva faccia a faccia” (v. 10). Il riconoscimento di profeta tributato a Mosè dimostra quanto sia necessario arricchire la precedente visione di Israele con nuovi elementi:

  1. Mosè era pieno di spirito di saggezza, che si poserà pure su Giosuè (v. 9)
  2. Mosè aveva compiuto segni e prodigi che il Signore aveva deciso (v. 11)
  3. Mosè aveva operato davanti agli occhi di Israele (v. 12)

I profeti che seguiranno nella storia di Israele continueranno a mostrare li caratteristiche, interpretandole sempre con originali contributi personali, secondo l’ispirazione di Dio. La figura profetica di Israele perciò non è riducibile banalmente a qualcuno che cerca di indagare il futuro o i pensieri della divinità o il destino degli uomini. Possiede invece un’investitura dall’alto che la rende docile all’azione di Dio e decisa nei confronti degli uomini anche quando non consegue la meta della sua fede (Eb 11,23-29.39-40) sapendo guardare oltre all’interesse personale, nello spazio e nel tempo, spingendo il suo sguardo nel futuro della storia.

Testimoni trasparenti

Le figure profetiche dell’antico testamento sono importanti per comprendere il nuovo testamento. Non a caso sono state ritratte spesso in quadri e affreschi (pensiamo alla Cappella Sistina); ne ha precisa coscienza l’apostolo Pietro che invita a volgere lo sguardo alla parola dei profeti “come a lampada che brilla in un luogo oscuro” (2 Pt 1,19).

Il luogo oscuro è l’attesa della rivelazione di Cristo e del compimento della storia. Un cammino impervio che spesso richiede fatica e coraggio, in un atto di totale abbandono fiducioso nelle mani di Dio. I profeti possono compiere quel cammino perché agiscono da testimoni trasparenti della presenza di Dio nella storia. Talvolta incomprensibile anche a loro (“Veramente tu sei un Dio nascosto” Is 45,15), l’azione del profeta richiede docilità a Dio (mitezza) e fedeltà alla propria missione.

Ripercorrendo i contenuti delle profezie dell’antico testamento possiamo tracciare un quadro di come nel corso del tempo la figura profetica sia evoluta, ed anche ricavare alcuni criteri di discernimento di un autentico spirito profetico.

  • Denuncia del culto di divinità straniere, in particolare il dio cananeo Baal (1 Re 18)
  • Denuncia delle ingiustizie sociali verso poveri, vedove, orfani, stranieri (Is 58,1-9)
  • Esortazione a restare fedeli nelle contrarietà a Dio, che interviene per raddrizzare la storia (Ez 37)
  • Dettati politici (Ger 29)

Nella prospettiva di giungere a capire come oggi si debba considerare la missione profetica, e in che cosa essa consista, dobbiamo necessariamente compiere due passi. Nel primo esploreremo le fasi di una vocazione profetica come quella di Geremia, con tutti i pericoli che vi sono connessi. Nel secondo cercheremo di addentrarci nella sua missione e di cogliere in che modo e in che grado possa dirsi realizzata.

Solo così riusciremo ad evitare le secche dei “falsi profeti”, quell’ipocrisia che Gesù rimprovera alle folle incapaci di “stabilire il momento opportuno”.