La chiamata per nome

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La chiamata per nome

Omelia per la Celebrazione dell’unzione degli infermi
Matteo (10,1-16)

Nella catechesi della Chiesa non si incontrano grandi difficoltà a presentare la vocazione apostolica. A tutti un po’ piace essere “apostoli”: inviati ad annunciare il vangelo, fare il bene, ricevere un ruolo nella comunità…

Non dobbiamo nasconderci che non sempre le motivazioni del nostro agire sono limpide. E non dobbiamo scandalizzarcene. Spesso si incontrano persone che annunciano il vangelo perché – tutto sommato – amano il fatto di essere apprezzate ed ascoltate. Si incontrano persone che operano il bene, sì, ma perché le pone in vista, le fa sentire importanti rispetto ad altri. Esistono preti e suore, ma anche laici, che non nascondono le loro mire ed ambizioni di potere e di successo e strumentalizzano perciò le rispettive comunità.

Mentre qualche volta noi, un po’ moralisticamente, saremmo tentati di escludere tali categorie di persone dall’apostolato, Gesù mostra criteri diversi nelle sue scelte. Sceglie per esempio un campione di cupidigia come Matteo, che di mestiere fa una specie di concessionario Equitalia (Mt 9,9). Sceglie per esempio due tipi un po’ arrivisti, come i fratelli Giacomo e Giovanni, che si preoccupavano di sedere uno alla destra e uno alla sinistra del Signore (Mc 10,35-40). Sceglie uno come Pietro, che una volta salito al soglio pontificio comincia a dare lezioni di teologia a Gesù, rimproverandolo di aver annunciato la fine tragica del Figlio di Dio (Mt 16,22). Sceglie uno come Filippo, che dopo tanto tempo non sa ancora riconoscere in lui il volto del Padre (Gv 14,8-9). Sceglie uno come Tommaso che fino all’ultimo resta incredulo (Gv 20,27). Sceglie uno come Simone il Cananeo, del quale non conosciamo praticamente nulla, un apostolo imboscato che alla storia ha lasciato solo il nome. Sceglie uno come Giuda Iscariota, che poi lo tradì (Gv 13,21-30). Con i nostri criteri, tutti questi non sarebbero mai potuti diventare apostoli.

Dobbiamo ammettere di essere ignoranti sui criteri che Cristo usa per le sue scelte. Leggendo i nomi dei dodici restiamo spiazzati per la diversità di caratteristiche e di storie. Conoscendo poi gli sviluppi e qualche altra scelta successiva (come quella di Mattia, avvenuta con una lotteria , At 1,26; o quella del nemico persecutore Paolo di Tarso, At 9,1-19) la meraviglia si fa ancora più grande. Nessun criterio organizzativo. Nessun criterio morale. Nessun criterio efficientista. Nessun criterio di amicizia. Nessun criterio di santità. Di sicuro sappiamo solo una cosa: Dio guarda il cuore e non l’aspetto esteriore (1Sam 16,7). Il resto è pura illazione.

Intanto possiamo goderci questo brano di Matteo che ho scelto per l’unzione degli infermi. Gesù sceglie i dodici, sono apostoli ma dal punto di vista umano e morale sono piuttosto infermi. Li unge con la missione, con l’apostolato. Li riveste di abiti principeschi, loro, le colonne della Chiesa nascente. Se ne prende cura mettendoli al servizio dei loro fratelli, facendo in modo che si prendano cura dei loro fratelli.

L’unzione degli infermi è molto simile ad una unzione missionaria. Come per gli apostoli, Cristo si riserva alcuni perché stiano con lui (Mc 3,14). Stiano con lui nel momento della sofferenza e dell’abbandono: come nel Getsmani (Mt 26,37), come sotto la croce (Gv 19,25-27). Stare con Gesù sempre è difficile. Giuda ha tradito, gli apostoli sono fuggiti. Questa chiamata per nome che la vita fa attraverso la malattia, la vecchiaia, l’infermità è unta dalla Chiesa con l’olio degli infermi perché i credenti trovino sollievo nello stare con Gesù: nel con-solare, nello stare con lui solo, nello stare soli con lui.

E in questa solitudine visitata, consolata nel rendersi conto che l’unzione altro non è che una specifica della vocazione battesimale a predicare che il regno dei cieli è vicino, a guarire gli infermi, a risuscitare i morti, a sanare i lebbrosi, a cacciare i demoni.

La malattia, la vecchiaia, l’infermità rende apostoli. Sul serio. La Chiesa non avrebbe mai circondato di tanta cura il sacramento dell’unzione degli infermi se non vi fosse un tesoro prezioso da conservare e rendere fruttuoso. Accogliere questo sacramento oggi per voi significa ricevere e accogliere una chiamata. Per nome: “Anna! Elena! Caterina!”. Siete disposte a con-solare il Signore nella sua offerta per la vita del mondo? Siete disposte a lasciarvi con-solare dal Signore nella vostra offerta per la vita della Chiesa? Siete disposte a dare gratuitamente come gratuitamente avete ricevuto? Siete disposte ad affidare le vostre necessità al Signore, perché l’operaio ha diritto al suo nutrimento?

La sofferenza, la vecchiaia, la malattia, l’infermità sono missioni. Perché nella Chiesa tutto è missione. Il vostro sì a questa missione di con-solazione, pronunciato oggi con l’accoglienza del sacramento dell’unzione degli infermi, faccia della vostra vita un’offerta purificata per la vittoria pasquale e gradita a Dio per il bene dell’umanità.

Nel segno sacramentale dell’Unzione
mediante la preghiera della Chiesa,
ci purifichi e ci sollevi
con la grazia dello Spirito
e ci rendi intimamente partecipi della vittoria pasquale.
(Prefazio dell’unzione degli infermi)