Vivere e capire il Giubileo della Misericordia attraversando la Porta Santa

Giubileo al Paesetto
Vivere e capire il Giubileo della Misericordia
attraversando la Porta Santa

Giubileo dei Figli della Chiesa
Ponte Galeria – 22 aprile 2016

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Contiamo i Giubilei
Vi ringrazio di aver voluto condividere questo giorno speciale per la vostra Associazione dei Figli della Chiesa chiamandomi a parlarvi del Giubileo. Con molti di voi ci conosciamo da diverso tempo, con altri è la prima volta che ci incontriamo. Insieme diciamo grazie anche al Signore, che ci concede questi giorni di riposo e riflessione.

L’occasione è speciale: il Giubileo del Paesetto, 50 anni di presenza che ha trasformato radicalmente questo luogo, la terra, le persone, si inserisce nella cornice del Giubileo della Misericordia. Vedo tra voi tante persone giovani, e anche qualcuno che ha i capelli bianchi. A differenza di me, che non ne ho per nulla!

Possiamo quindi contare insieme i Giubilei cui abbiamo partecipato. Mi pare che quasi tutti eravamo presenti al Grande Giubileo del 2000, escludendo le bambine e i bambini che hanno meno di 16 anni. Molti abbiamo celebrato il Giubileo precedente, chi lo ricorda? Era quello del 1983, il Giubileo della Redenzione, a 1950 anni dalla morte e risurrezione del Signore Gesù. Già un po’ meno tra noi ricordiamo il Giubileo del 1975, quando il Papa era Paolo VI. Per quanto mi riguarda, a differenza di alcuni tra voi, io non ero ancora nato nel Giubileo del 1950. Il Giubileo precedente? Nel 1925 non molti di noi erano già nati!

Giubileo tra passato e futuro
Dovremmo quindi essere ben preparati sul Giubileo e il suo significato. Potremmo persino fare qualche previsione: quando sarà il prossimo Giubileo? La Bibbia dice di celebrare il Giubileo ogni 50 anni ma nella Chiesa cattolica l’interpretazione che prevalse fin da subito fu di indire un Anno Santo sia per celebrare occasioni importanti (come forse nel 1423 per ricordare i 1390 anni della Redenzione) sia per fini meno nobili (come nel 1390 per facilitare una raccolta fondi: era il fund raising di allora!). Paolo II si accorse che se si fosse lasciata l’indizione del Giubileo alle scadenze cinquantennali si sarebbero private di questa grazia troppe generazioni. Per facilitare la celebrazione dell’Anno Santo decretò che a partire dal 1475 i Giubilei si sarebbero tenuti ogni 25 anni. Paolo II tuttavia non arrivò a quella data: morì prima, a 54 anni, forse per una indigestione di melone!

Allora: quando sarà il prossimo Giubileo? Giustamente tutti sosteniamo che nel 2025, tra soli 9 anni, avremo un nuovo Giubileo ordinario. Ma non dimentichiamo di prepararci bene anche ad un Giubileo straordinario che certamente sarà indetto per il 2033, fra 17 anni, per ricordare i 2 millenni della Redenzione e solennizzare la celebrazione della morte e risurrezione di Cristo.

Con poche battute abbiamo avuto modo di ripercorrere millenni di storia, passato, presente e futuro. Non resta che chiederci quali siano le origini del Giubileo. In realtà il Giubileo appartiene ad una tradizione ebraica che affonda le sue radici nell’Antico Testamento. Poco sopra abbiamo ricordato che ne parla la Bibbia. Tutto quello che c’è da sapere sul Giubileo è contenuto nel capitolo 25 del libro del Levitico. A differenza di quello che qualcuno potrebbe pensare, la stessa parola “giubileo” non deriva esattamente dal latino (facilmente si potrebbe ritenere buona l’assonanza con la parola “jubilum”, gioia) ma dall’ebraico, in un gioco di parole difficilmente traducibile in italiano.

Giubileo nella Bibbia
Infatti l’annuncio dell’anno giubilare ebraico avveniva dopo aver contato sette settimane di anni (Lv 25,8) il decimo giorno del settimo mese (Lv 25,9; il settimo mese era Nisan, corrispondente al nostro marzo-aprile). La scrittura dice che si sarebbero dovute suonare le trombe. In realtà 3000 anni fa sarebbe stato tempo sprecato cercare strumenti musicali simili a quelli che conosciamo noi. La tromba che gli ebrei suonavano consisteva in un corno di ariete chiamato “jobel”: ed ecco l’origine del nome!

Perché suonare un corno? Perché sarebbe stato difficile informare i propri amici, parenti, concittadini senza fax, senza email e senza cellulari! Il modo più semplice per annunciare qualcosa di importante era diffondere un suono da un villaggio all’altro, in una sorta di staffetta. Udendo il suono rituale del corno tutti gli ebrei in ascolto sarebbero stati in grado di comprenderne il significato religioso.

Non bisogna però dimenticare che l’inventore del Giubileo era Dio in persona. La ragione di questa novità la fornisce Dio stesso: “la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e inquilini” (Lv 25,23). Dio rivendica il “possesso” della terra e dei suoi abitanti (cfr Sal 23,1: “Del Signore è la terra e quanto contiene, l’universo e i suoi abitanti”) e il cinquantesimo anno non solo sarebbe servito a ricordare agli ebrei tale diritto divino, ma sarebbe servito a regolare gli stessi rapporti con la terra e i suoi abitanti.

Se vogliamo, il fondamento dell’ecologia ebraico-cristiana si trova in queste parole. La terra appartiene a Dio, l’uomo la occupa come un inquilino che un giorno dovrà restituirla al legittimo proprietario e quindi ha l’obbligo di prendersene cura e di non danneggiarla. Il Signore ci aiuti a diventare sempre più consapevoli della nostra responsabilità verso la nostra casa comune.

Dal suono del corno al richiamo del popolo
Mia è la terra” e i suoi abitanti, dice il Signore. Il corno di ariete (jobel) suonato per convocare il Giubileo del Levitico aveva il potere di richiamare il popolo di Israele alle sue responsabilità. Ogni ebreo udendo quel suono nel cinquantesimo anno sapeva di doversi adunare insieme agli altri e di dover rammentare la Parola di Dio e metterla in pratica. In ebraico il termine richiamare è tradotto con “jobil”: il jobel (corno di ariete) fa il jobil (richiamo del popolo).

In tale richiamo era iscritta tutta la consapevolezza della fede di Israele (cfr Lv 25,18: “Metterete in pratica le mie leggi e osserverete le mie prescrizioni, le adempirete e abiterete il paese tranquilli”). Ciascun ebreo sapeva che durante quell’anno lo attendeva un confronto serrato con la volontà di Dio espressa in quelle parole: mia è la terra, miei sono i suoi abitanti. Ancora oggi, per così dire, il Giubileo evoca anche in noi cristiani l’impegno, il confronto con la nostra fede attraverso l’impegno, il confronto con la terra e i suoi abitanti.

In effetti il Giubileo del Levitico non si limitava a convocare una festa e a richiamare il senso della fede del popolo. Esso aveva anche ricadute pratiche ben consistenti. Anzitutto la terra doveva riposare: “non farete né semina, né mietitura di quanto i campi produrranno da sé, né farete la vendemmia delle vigne non potate” (Lv 25,11). Anche la terra ha i suoi diritti, ha diritto al suo riposo, sembra dire il Signore. Lo sfruttamento del suolo non può avvenire senza ricordare da una parte che solo Dio ne è il “proprietario” e dall’altra che come creatura di Dio la stessa terra è amata da Dio che se ne prende cura. Così l’uomo a cui è affidata la terra celebra il Giubileo riconoscendo anche ad essa il tempo del suo riposo.

La remissione: effetto concreto del Giubileo
Ma il Giubileo del Levitico prevedeva pure un altro aspetto per nulla secondario. Poiché la terra e i suoi abitanti appartengono a Dio, Dio decide che nel cinquantesimo anno tutto torni “come prima”. “Le terre non si potranno vendere per sempre” (Lv 25,23). La compravendita della terra era regolata in modo semplice: al cinquantesimo anno chi aveva venduto tornava in possesso della terra; quindi chi acquistava la terra riceveva uno sconto sul suo valore a seconda della distanza dal prossimo Giubileo (cfr Lv 25,15).

Sappiamo anche che in passato esisteva la schiavitù. Pure l’antico Israele la praticava, distinguendo tra gli schiavi “figli degli stranieri” (che potevano essere detenuti per sempre e anche passati in eredità) e gli schiavi “vostri fratelli, gli Israeliti”. Questi ultimi erano sottoposti ad una schiavitù mitigata, forse meglio dire una servitù, a cui qualcuno poteva essere costretto a causa della miseria o di forti debiti. Non era infrequente che pur di avere un tetto e il cibo per sopravvivere o al fine di saldare il proprio debito qualche israelita si mettesse volontariamente al servizio del più ricco o venisse costretto a farlo. Il Signore impedisce di parlare di schiavitù: “Se il tuo fratello che è presso di te cade in miseria e si vende a te, non farlo lavorare come schiavo; sia presso di te come un bracciante, come un inquilino” (Lv 25,39-40).

Il Giubileo ha effetto anche su questo tipo di rapporto degli israeliti con i loro fratelli. Al cinquantesimo anno il fratello israelita deve tornare libero: “Ti servirà fino all’anno del giubileo; allora se ne andrà da te insieme con i suoi figli, tornerà nella sua famiglia e rientrerà nella proprietà dei suoi padri. Poiché essi sono miei servi, che io ho fatto uscire dal paese d’Egitto; non debbono essere venduti come si vendono gli schiavi” (Lv 25,39-42).

Rimettere la terra al venditore e il fratello in libertà erano segnali ben precisi del valore e della destinazione superiore delle creature. In ebraico remissione si dice “jobal”. Così si completa il gioco di parole di cui parlavamo: il jobel (corno di ariete) fa jobil (richiamo) perché terra e uomini siano rimessi (jobal), tornino alla loro condizione originaria.

Incontro di tradizioni: dall’ebraismo al cristianesimo
Quanto della tradizione ebraica del Giubileo confluisce nella tradizione cattolica? Di sicuro storicamente la tradizione cattolica fa una sintesi di vari elementi. Impossibile trascurare per esempio tutto il valore penitenziale che il cristianesimo medievale attribuiva al pellegrinaggio, quest’ultimo solo parzialmente valorizzato nel Giubileo biblico. Nel Giubileo cattolico – per varie ragioni non tutte propriamente spirituali – il viaggio verso Roma, la nuova città santa che nel cristianesimo prende il posto di Gerusalemme, non solo serviva a rafforzare la centralità e l’importanza del papato, ma era anche segno tangibile dell’esperienza dell’homo viator, della natura umana pellegrina, in viaggio, che percorre la via: e sappiamo quanto significato Gesù attribuisca a tale immagine al punto di definirsi egli stesso la via (cfr Gv 14,6) che conduce al Padre. Al pari dell’immagine della porta con la quale Gesù si identifica (cfr Gv 10,7) quella della via richiama l’esigenza della conversione, il passaggio da una condizione di peccato ad una condizione di santità, realizzata dalla Redenzione operata dal Signore. Al tempo stesso la porta santa del Giubileo cristiano, pur richiamandosi alla tradizione biblica delle porte di Gerusalemme amate da Dio (cfr Sal 87,2), fa tornare alla mente l’esigenza evangelica del convertirsi e diventare piccoli (cfr Mt 18,3) per riuscire a passare attraverso la porta stretta (cfr Mt 7,13-14).

Tuttavia gli aspetti rituali e tradizionali del Giubileo rischiano di perdere significato se vengono sganciati dal loro retroterra biblico. Mia è la terra e miei sono i suoi abitanti, dice il Signore. Si può pensare di acquisire le indulgenze quasi si trattasse di un fatto meccanico – faccio un pellegrinaggio, passo una porta santa, dico alcune preghiere e sono a posto – dimenticando il cuore stesso del Giubileo, nel quale si sviluppano rapporti sociali con la terra e con gli altri esseri viventi improntati alla giustizia che viene dall’alto. Il valore sociale del Giubileo passa in secondo piano se non si compiono quelle opere conosciute con il nome di “opere di misericordia”, corporali e spirituali. Ecco perché il Giubileo della Misericordia voluto da Papa Francesco, a differenza forse di tutti gli altri giubilei che abbiamo celebrato, mette in risalto il volto del Padre misericordioso al punto da obbligare il credente a confrontarsi con esso: “Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro” (Lc 6,36). Sapendo bene che la prima forma di misericordia è il soccorso dell’indigente, del povero.

Valenze sociali del Giubileo cristiano
Papa Francesco ha deciso di dedicare le udienze del mercoledì alla catechesi sulla misericordia. In particolare nella catechesi del 10 febbraio, intitolata Il Giubileo nella Bibbia. Giustizia e condivisione, il Papa si è espresso in una forma molto decisa per mostrare quanto sia importante operare il bene nei confronti soprattutto dei poveri. Permettetemi di evidenziare il suo pensiero:

Con il giubileo, chi era diventato povero ritornava ad avere il necessario per vivere, e chi era diventato ricco restituiva al povero ciò che gli aveva preso. Il fine era una società basata sull’uguaglianza e la solidarietà, dove la libertà, la terra e il denaro ridiventassero un bene per tutti e non solo per alcuni, come accade adesso, se non sbaglio… Più o meno, le cifre non sono sicure, ma l’ottanta per cento delle ricchezze dell’umanità sono nelle mani di meno del venti per cento della popolazione. È un giubileo – e questo lo dico ricordando la nostra storia di salvezza – per convertirsi, perché il nostro cuore diventi più grande, più generoso, più figlio di Dio, con più amore. Vi dico una cosa: se questo desiderio, se il giubileo non arriva alle tasche, non è un vero giubileo. Avete capito? E questo è nella Bibbia! Non lo inventa questo Papa: è nella Bibbia. Il fine – come ho detto – era una società basata sull’uguaglianza e la solidarietà, dove la libertà, la terra e il denaro diventassero un bene per tutti e non per alcuni. Infatti il giubileo aveva la funzione di aiutare il popolo a vivere una fraternità concreta, fatta di aiuto reciproco. Possiamo dire che il giubileo biblico era un “giubileo di misericordia”, perché vissuto nella ricerca sincera del bene del fratello bisognoso.

Il Giubileo, con la sua funzione di aiutare il popolo a vivere una concreta fraternità, si poneva il fine di creare una società basata sull’uguaglianza e la solidarietà. Non come utopia ma come frutto di una fede semplice e operativa. La visione cristiana allarga ed amplifica la visione ebraica e si spinge ad abbracciare tutti gli uomini, di ogni razza, lingua, popolo e religione. L’attuale Giubileo della Misericordia, mentre ci fa camminare sulla via che è Cristo e ci fa raggiungere la porta santa che è Cristo, ci obbliga a ripensare il nostro modello di vita, di consumo, di relazione con il creato, di impegno sociale perché tutti gli uomini si aprano alla speranza di un mondo nuovo (cfr Preghiera eucaristica V/c).

L’indulgenza giubilare: riparare i danni del peccato
Vorrei aggiungere alcune parole sul senso dell’indulgenza giubilare di cui tanto si parla. Il catechismo definisce l’indulgenza come “la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa” (CCC 1471). Cerco di spiegare con un esempio questa dottissima definizione.

Supponiamo che don Ugo si lasci prendere da un attacco d’ira proprio in questo momento, in questa sala per una ragione qualsiasi. E che mentre si agita ed urla afferra quel vaso laggiù, lo getta in terra e ne fa mille frantumi. Non appena commesso il danno don Ugo si rende conto del suo comportamento sconsiderato e comincia a chiedere scusa e perdono a tutti voi. Poiché tutti voi, e le Figlie della Chiesa alle quali apparteneva il vaso, siete molto più buoni di don Ugo, immediatamente lo perdonate e addirittura lo consolate del suo carattere orgoglioso e irascibile. La pace è fatta. Ma…

Ma in terra restano i frantumi del vaso. Don Ugo, consapevole che per una questione di giustizia deve non solo ripulire i cocci ma anche riparare il danno che ha fatto, chiede che gli venga portata ramazza e raccoglitore e ripulisce l’ambiente; poi si offre di riacquistare il vaso rotto personalmente o dando alle Figlie della Chiesa il denaro per farlo. Questa ipotesi, ordinaria, è quanto nella prassi della Chiesa si chiama “penitenza”. Infatti nel sacramento della confessione, ricevuta l’assoluzione, il sacerdote impone una penitenza che cerchi di riparare agli effetti del male che si è commesso.

Però supponiamo che la bontà vostra e quella delle Figlie della Chiesa superi di gran lunga le aspettative di don Ugo e che nonostante la sua disponibilità alla riparazione voi e loro non glielo permettiate. Supponiamo che qualcuno tra voi prenda ramazza e raccoglitore e ripulisca il pavimento e che le Figlie della Chiesa non accettino il denaro offerto da don Ugo, ma si incarichino loro di acquistare un nuovo vaso. Tutto questo, cioè quando la riparazione del male la fa qualcun altro al nostro posto, si chiama “indulgenza”. Infatti sempre il catechismo insegna che la Chiesa “come ministra della redenzione, autoritativamente dispensa ed applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei santi” (CCC 1471): con il Giubileo è Cristo, sono i santi che – sollecitati dalla Chiesa – mettono a nostra disposizione il tesoro di grazia che hanno conquistato con la loro vita santa.

Il nostro peccato, il male che compiamo, genera tante sofferenze, tante inutili rabbie. Tutti abbiamo bisogno di rimettere ordine nel disordine che abbiamo causato: nei danni materiali e in quelli morali che sono i cocci di cui disseminiamo la nostra vita. Perciò tutti dobbiamo avere la possibilità di fare penitenza, come un grande dono di speranza per una seconda occasione. Ma il Giubileo, il quale si accosta a noi con il sorriso dell’indulgenza, ci indica una strada di redenzione addirittura superiore, perché tutti siamo ristorati dalle parole di un amico che ci dice: non ti preoccupare, ci penso io al tuo posto!

Come ottenere l’indulgenza giubilare
Trattandosi poi del Giubileo della misericordia, oltre ai tradizionali strumenti giubilari finalizzati all’ottenimento dell’indulgenza (per esempio pellegrinaggio, attraversamento della porta santa, confessione e partecipazione alla Messa, preghiera) Papa Francesco ne ha aggiunti altri, peculiari per l’attuale Giubileo. Scrivendo a Mons. Fisichella il Papa ha detto che gli ammalati e le persone anziane e sole che vivono con fede e speranza il loro momento di prova godono dell’indulgenza giubilare; ha affermato che i carcerati potranno godere dell’indulgenza pregando nelle cappelle delle carceri e persino ogni volta che passeranno per la porta della loro cella; e il Papa ha anche dichiarato che otterrà l’indulgenza giubilare quel fedele che vivrà in prima persona una o più opere di misericordia corporali o spirituali.

Si tratta davvero di una grande opportunità della quale ciascuno di noi può approfittare in ogni momento e deve rendere grazie a Dio. Sembra continuare così il sogno che dal Concilio Vaticano II in poi ha animato la Chiesa e che San Giovanni Paolo II ha espresso fin dal Grande Giubileo del 2000 nella domenica 30 aprile quando canonizzò Suor Faustina e nell’omelia preconizzò quello che sarebbe stato il programma per il terzo millennio cristiano: la luce della divina misericordia.

Che cosa ci porteranno gli anni che sono davanti a noi? Come sarà l’avvenire dell’uomo sulla terra? A noi non è dato di saperlo. E’ certo tuttavia che accanto a nuovi progressi non mancheranno, purtroppo, esperienze dolorose. Ma la luce della divina misericordia, che il Signore ha voluto quasi riconsegnare al mondo attraverso il carisma di suor Faustina, illuminerà il cammino degli uomini del terzo millennio.