Valeria Fedeli: come stanno veramente le cose

Aggiornamento

21 dicembre 2016

Mi è stato fatto notare da un amico (che ringrazio dell’attenzione) che nella sezione Il diploma di assistente sociale e il suo riconoscimento ai fini del diploma di laurea ho citato l’articolo 4 del DPR 15 gennaio 1987, n.14, mentre più appropriatamente bisognerebbe prendere in considerazione l’articolo 5.

È noto che io non sono un esperto in una materia “sterminata” come quella amministrativa, e nello specifico quella relativa agli Assistenti Sociali e alla storia che li ha accompagnati. Per la quale non basterebbe un’enciclopedia. Giusto ricordare che al DPR del 1987 fece seguito quello modificativo del 1989 (che peraltro spostò i termini di presentazione delle domande) e nel tempo una selva di altre leggi e decreti per armonizzare l’esercizio della professione di Assistente Sociale con quello di altre professioni (laurea, abilitazione, iscrizione all’albo). Sempre nel tempo la sterminata normativa ha dato origine ad una sterminata giurisprudenza. Non è questo il luogo dove riproporla né io sarei in grado di farlo.

In realtà a me sembra che la ratio del DPR 1987 fosse chiara: l’abilitazione alla professione di assistente sociale era esclusivamente riconosciuta a chi fosse in possesso del diploma rilasciato dalle scuole dirette ai fini speciali universitarie (art. 1). Poi il DPR specifica che “l’efficacia giuridica di cui al presente decreto” è riconosciuta di diritto ad alcune scuole universitarie (art. 3) e a certe condizioni ai diplomi “comunque conseguiti” (art. 4). Poiché si tratta dell’efficacia giuridica del decreto nel suo complesso, si deve intendere estesa anche al successivo art. 5, che indica le condizioni per la convalida dei diplomi equiparandoli alla laurea per le finalità di cui al DPR stesso. Non si comprenderebbe per quale ragione, infatti, una qualsiasi persona in possesso di un diploma di assistente sociale rilasciato da una scuola privata, senza aver mai esercitato o voler in futuro esercitare la professione fosse interessata alla convalida del titolo. In questo senso la mia tesi è che stante la disciplina del DPR 1987 non sarebbe stato possibile convalidare il diploma in possesso di Valeria Fedeli e quindi non si può sostenere che Valeria Fedeli, se avesse voluto, sarebbe stata laureata. Ma è tesi di uno qualunque. Se un giornalista trovasse tra gli assistenti sociali un soggetto con diploma triennale di scuola magistrale per maestra d’asilo che ha conseguito un diploma di assistente sociale presso una scuola privata ante 1987 e senza aver mai esercitato la professione di assistente sociale fosse riuscito ad ottenerne la convalida presso una scuola universitaria, allora la mia tesi sarebbe confutata.

Lasciando sull’argomento la parola ad esperti di ben altro calibro, vorrei sottolineare a questo punto come le scuse presentate dal ministro abbiano rapidamente e prematuramente esaurito l’approfondimento della vicenda. Anzi sia calata una sorta di nebbia giornalistica sull’argomento.

Come se al tempo dello scandalo Watergate i giornalisti Bob Woodward e Carl Bernstein si fossero fermati quando Nixon disse “Non sono un imbroglione” (“I’m not a crook“, 17/11/73). O come se il 26/1/98 la stampa avesse deciso di occuparsi d’altro dopo che Clinton rassicurò in televisione gli americani: “Voglio dire una cosa agli americani. Ascoltatemi bene. Lo ripeto: non ho avuto rapporti sessuali con questa donna. Non ho chiesto a nessuno di mentire, non una sola volta: mai. Queste accuse sono false“. Qualcosa di simile ha detto nei giorni scorsi anche il ministro (“Sono una persona seria… Se volevo truffare avrei messo nel mio curriculum… laurea e basta… La laurea è una cosa a cui non ho mai pensato“).

Nelle sue successive scuse il ministro parla di errore, di leggerezza. Non dimentichiamo che errore analogo costerebbe il posto di lavoro a chi (a differenza di un ministro) per legge è tenuto a possedere certi titoli accademici; e una leggerezza simile, in qualsiasi altro contesto, avrebbe anche rilevanza penale e interesserebbe i magistrati (CP 498, dei delitti contro la fede pubblica).

Ma tra le tante cose che dice nelle scuse, concernenti argomenti affatto diversi e quindi non interessanti, il ministro trascura di togliere ai cittadini qualche curiosità. E sarebbe invece compito di un giornalista approfondire l’argomento:

  1. Da quanto tempo il ministro ha diffuso la notizia della sua laurea? Di certo sappiamo dal 2010. E prima? Quando ha cominciato a far filtrare questa notizia e con chi, dove?
  2. Il ministro ha mai fatto tentativi per la convalida del suo titolo di studio? Presso quale università o scuola universitaria? E se non sono andati a buon fine, quali le motivazioni?
  3. Il ministro (o il suo staff), oltre a diffonderlo su internet, ha mai consegnato a qualcuno (ente pubblico o privato; persona fisica; giornalisti; eccetera) un suo curriculum con l’indicazione del suo falso titolo accademico?
  4. Il ministro ha mai ottenuto un beneficio dall’indicazione del suo falso titolo accademico? Per beneficio s’intende, oltre a quello lavorativo, anche quello in termini di inviti e presenze a tavoli o eventi dove fosse richiesta un’attestata specifica competenza.

Per quanto mi riguarda Valeria Fedeli non è riuscita a dissipare molti dubbi nemmeno con le sue scuse. Il mio giudizio su di lei resta invariato.

L’articolo

fedeli_05Il nuovo Governo Gentiloni giura il 12 dicembre 2016. Tra i ministri pochi i volti nuovi. In particolare non sfugge che Valeria Fedeli, senatrice e Vicepresidente del Senato, succede a Stefania Giannini alla guida del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.

La ricostruzione dei fatti

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Screenshot della biografia di Valeria Fedeli prima della correzione

La querelle che riguarda il nuovo ministro viene sollevata da Mario Adinolfi e già il 13 dicembre 2016 rilanciata da un articolo de Il Fatto Quotidiano. In particolare viene contestato a Valeria Fedeli di dichiarare il falso quando nella sua biografia sostiene di essere in possesso di un “diploma di laurea in Scienze Sociali“, il quale però viene istituito solo dal 1998, quando Fedeli già si occupa da anni di sindacato. In realtà pare che il ministro abbia semplicemente conseguito un diploma di assistente sociale.

fedeli_02La polemica non si placa e vengono anche ripescati vecchi screenshot di un tweet del 16 febbraio 2016 nel quale Valeria Fedeli, commentando alcuni dati Istat, sbagliava in modo clamoroso un banale calcolo algebrico ovvero un calcolo di percentuali. Il tweet è stato successivamente rimosso dalla rete.

Il 14 dicembre 2016 le informazioni sulla biografia del sito del ministro vengono modificate, come confermato da un articolo de Il Corriere della Sera.

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Screenshot della biografia di Valeria Fedeli dopo la correzione

Una buona ricostruzione della vicenda fino al 14 dicembre 2016 si legge, come spesso accade, in un articolo de Il Post.

Mario Adinolfi il 15 dicembre 2016 afferma che Valeria Fedeli non è nemmeno in possesso di diploma di maturità. La notizia viene ripresa dalla stampa e anche La Repubblica pubblica un articolo online. In sintesi risulterebbe che Valeria Fedeli non ha mai sostenuto l’esame di Stato, avendo semplicemente conseguito un diploma triennale per l’abilitazione a maestra d’asilo. Il Giornale riferisce in un suo articolo che lo staff di Valeria Fedeli conferma: mai sostenuto l’esame di maturità, il ministro ha conseguito il diploma triennale di maestra d’asilo.

fedeli_04Nel frattempo il sito del MIUR mette online la biografia del ministro, dove viene ufficializzato che Valeria Fedeli ha conseguito il diploma triennale per insegnare nella scuola materna.

Tra le varie voci che entrano nella querelle alcune sottolineano il fatto che il diploma di assistente sociale rivendicato da Valeria Fedeli venisse per legge equiparato ad un diploma di laurea con un Decreto del Presidente della Repubblica del 1987. Per tale ragione, affermano i sostenitori di Valeria Fedeli, il ministro avrebbe commesso una semplice imprudenza, avendo un titolo di studio che di fatto potrebbe essere considerato laurea.

Valeria Fedeli rilascia il 14 dicembre 2016 un’intervista a Il Corriere della Sera nella quale, reagendo alla polemica, tra le altre cose sostiene (i virgolettati sono nel testo):

  1. «Posso aver commesso una leggerezza… Io sono una persona seria. Se volevo mentire o truffare non avrei mai messo nel mio curriculum diploma di laurea, ma avrei scritto laurea e basta»
  2. «Lo voglio ripetere in maniera chiara: questo titolo non l’ho mai usato, non mi è mai servito»
  3. «Nel 1987 c’è stata la possibilità di farlo equiparare, ma io già facevo la sindacalista, avevo preso una strada completamente diversa»
  4. «Io vivevo a Milano e facevo la maestra d’asilo. Poi ho frequentato la Unsas, scuola laica per diventare assistente sociale, ma è un mestiere che non ho mai fatto»

Il 17 dicembre 2016 La Repubblica pubblica un’intervista di Corrado Zunino a Valeria Fedeli. Dell’intervista riporto alcuni contenuti.

  1. Ministra Valeria Fedeli, l’esordio è stato difficile. Nel suo curriculum online aveva scritto di aver conseguito un diploma di laurea, in un secondo curriculum era evidenziata una laurea in Scienze sociali. Lei non ha la laurea.
    “Non l’ho mai sostenuto. Non ricordo il curriculum con la dicitura laurea, ma quello con su scritto diploma di laurea, rilasciato dopo tre anni dall’Unsas, è stato solo una leggerezza. La laurea è una cosa a cui non ho mai pensato. Ho 40 anni di vita rigorosa nel sindacato, non ho mai usato quel diploma, sono stato sempre una distaccata di settimo livello, maestra d’infanzia distaccata”
  2. Ministra, il giorno dopo le polemiche lei ha cambiato il curriculum: solo diplomata, si legge adesso. Definirsi laureata è dipeso forse da un complesso psicologico? All’ex sottosegretario Faraone i docenti precari hanno sempre rinfacciato il fatto che non avesse il titolo, fino a quando lui non ha ripreso gli studi e dato la tesi.
    “Io non mi sono laureata perché il sindacato mi ha preso e portata via, è diventata la mia vita. Non una carriera, la vita. Alla laurea non ho mai pensato. Nel 1987 avrei potuto equiparare quei tre anni come assistente sociale al titolo di laurea, ma non l’ho fatto perché era fuori dal mio mondo. Riunioni, incontri con gli operai, viaggi a Bruxelles, e chi l’aveva il tempo per la laurea?”
  3. Lei, dopo i tre anni delle superiori, ha fatto la maestra d’infanzia?
    “Sì, ero giovanissima. E il fatto che abbia voluto studiare per altri tre anni alla scuola per assistenti sociali senza averne bisogno, avevo già un’occupazione, dimostra che il gusto della conoscenza l’ho sempre avuto. Poi, ho trovato ostacoli nella mia vita e, dopo l’esplosione del ’68, è arrivato il sindacato. In quegli anni ti assorbiva completamente”

Questa la ricostruzione dei fatti come riportati dalla stampa e nella versione di Valeria Fedeli. Ma giunti qui credo s’imponga un’analisi più approfondita che dimostra quanto in effetti una vera e propria inchiesta giornalistica sia stata del tutto inesistente e i fatti mostrino un’altra verità.

Leggerezza o abitudine al mendacio?

Valeria Fedeli sostiene di aver commesso una leggerezza, di non aver mai voluto mentire o truffare, di non aver mai usato il titolo e di non ricordare curriculum con la dicitura laurea.

È certo però che in almeno due date documentate, nel 2010 e nel 2014, Fedeli venisse presentata in occasioni ufficiali come “laureata in Scienze Sociali“.

Il 5 maggio 2010 Fedeli rilascia un’intervista all’Associazione per gli Studi Internazionali e Comparati sul Diritto del lavoro e sulle Relazioni industriali. Il pdf è scaricato da qui. 6890int_s_05_05_10

Nella presentazione dell’intervista viene scritto di Valeria Fedeli: “Si laurea in Scienze sociali“. Sorgono alcune legittime domande.

Come hanno ottenuto il curriculum vitae di Valeria Fedeli Francesco Lauria e Silvia Stefanovichj che firmano l’intervista? Dalla stessa Fedeli, dal suo staff, da internet?

Valeria Fedeli ha riletto l’intervista? Il suo staff ha riletto l’intervista? Sono mai pervenute ai curatori o all’editore richieste di rettifica da parte di Valeria Fedeli o del suo staff?

Una domanda in proposito posta su Twitter a Michele Tiraboschi ha prodotto solo risposte evasive.

Il 7 novembre 2014 la Fondazione Unicredit organizza un convegno, al quale è presente anche Valeria Fedeli in qualità di Vicepresidente del Senato. Fedeli viene presentata tra i relatori in un pdf scaricato da qui.convegno-7-novembre_bio-relatori

Nella biografia del Vicepresidente del Senato si legge chiaramente che è “laureata in Scienze Sociali“.

Si ripetono le domande.

Come hanno ottenuto il curriculum vitae di Valeria Fedeli all’illustre Fondazione Unicredit? Dalla stessa Fedeli, dal suo staff, da internet? Dall’Ufficio Stampa del Senato?

Valeria Fedeli ha partecipato all’evento e letto le presentazioni dei relatori: non ha avuto nulla da recriminare? Il suo staff non ha richiesto correzioni o rettifiche?

Se Valeria Fedeli vuol sostenere la tesi della “leggerezza” sarà necessario che risponda in modo convincente a queste domande. Allo stato è impossibile ritenere tre sviste così grossolane (proprio sito, intervista, convegno) nell’arco di almeno sei anni una sequenza sfortunata di incidenti lessicali.

Il diploma triennale per maestra d’asilo

Valeria Fedeli ammette di essere in possesso di diploma triennale per maestra d’asilo. È un titolo che appartiene al vecchio ordinamento, ante riforma Berlinguer del 1997. Non mi dilungo sull’argomento e rimando all’ottimo articolo di Anna Marra Barone Istituti magistrali: storia, riforme, situazione attuale.

Qui mi interessa sottolineare solo che

Per l’insegnamento nelle scuole dell’infanzia prima (del 1997, NdR) era richiesto il diploma della scuola magistrale (di durata triennale) e per l’insegnamento nelle scuole elementari il diploma dell’Istituto magistrale (di durata quadriennale). Tali diplomi, che si conseguivano dopo la licenza di scuola  media, avevano valore abilitante e, quindi, consentivano direttamente l’accesso ai concorsi a cattedra.

Quindi è confermato il titolo posseduto da Valeria Fedeli: si tratta di un diploma di scuola magistrale. Non un diploma di maturità, né un diploma dell’Istituto magistrale quadriennale.

Il diploma di assistente sociale e il suo riconoscimento ai fini del diploma di laurea

Valeria Fedeli ci tiene a ribadire che nel 1987 avrebbe potuto “equiparare quei tre anni come assistente sociale al titolo di laurea“.  Molto è stato scritto e detto a questo proposito. Tutti converremo che per sapere se quanto asserito dal ministro risponde a verità oppure no sarà opportuno riprendere tra le mani la legge invocata: il Decreto del Presidente della Repubblica 15 gennaio 1987, n.14dpr14_87

L’articolo 4 del Decreto è l’unico applicabile al caso di Valeria Fedeli, che infatti non ha conseguito il suo diploma nelle «scuole universitarie per assistenti sociali e di servizio sociale già esistenti –  Università di Siena, Parma, Firenze, Perugia, Pisa, Roma “La  Sapienza”  e  istituto  pareggiato  “Maria  SS.  Assunta”  di  Roma» le uniche i cui diplomi venivano riconosciuti di diritto (art. 3).

Rileggiamo per intero l’articolo 4

Art. 4
1.  La  stessa  efficacia  giuridica  è  riconosciuta  al  diploma di  assistente  sociale,  comunque conseguito, di coloro  che alla data di entrata in vigore del presente decreto sono in servizio quali assistenti sociali presso le amministrazioni dello Stato o altre amministrazioni pubbliche, o che abbiano svolto tale servizio per almeno un quinquennio presso le predette amministrazioni.
2.  Gli  effetti  suindicati  si  estendono  a  coloro  che  verranno  assunti  dalle amministrazioni  dello  Stato  o  da  altre  amministrazioni  pubbliche  in  esito  a concorsi  espletati  o  a  quelli  banditi  alla  data  di  entrata  in  vigore  de  presente decreto.
3.  Per  gli  interessati  che  non  siano  in  possesso  di  un  titolo di studio di istruzione  secondaria  di  secondo  grado,  il  suddetto  riconoscimento  opera limitatamente al fine del mantenimento nell’attuale posizione di impiego.

Ricapitoliamo. Il comma uno stabilisce che sia riconosciuta l’efficacia giuridica del diploma di assistente sociale “comunque conseguito” (quindi anche quello di Fedeli, ottenuto presso l’Unsas) per chi svolgesse al momento o avesse svolto per 5 anni presso pubbliche amministrazioni il servizio di assistente sociale. Il comma due estende gli effetti anche a chi venisse assunto a seguito di concorsi espletati o banditi alla data di entrata in vigore del decreto.

Ebbene, la Fedeli ha dichiarato di non aver mai svolto il servizio di assistente sociale, ma di aver avuto esperienza solo di maestra d’asilo (per quanto tempo? Insegnamento vero, permessi per frequenza studi post diploma o subito distaccata al sindacato?) e di essere poi passata al sindacato. Quindi non era in possesso di almeno uno dei requisiti richiesti perché il suo titolo di studio fosse riconosciuto come diploma di laurea.

Delle due l’una: o Valeria Fedeli ignora che mai avrebbe potuto richiedere l’efficacia giuridica del suo diploma per mancanza delle condizioni di legge, e quindi ignora la legge; oppure Valeria Fedeli dichiara in modo volutamente e scientemente inesatto di essere stata disinteressata alla richiesta, rafforzando l’idea che la sua non fosse una leggerezza, ma una meditata bugia.

Io devo fermarmi qui. Non sono del mestiere, per arrivare a stabilire la verità dei fatti ci vorrebbe un giornalista intellettualmente onesto, che non sia allineato, che non si faccia intimidire, che ricerchi la verità e vada fino in fondo. Probabilmente chiedo troppo.

Gli elementi che ho analizzato, se non smentiti, penso siano sufficienti a qualsiasi persona di normale intelligenza per farsi un sereno e ponderato giudizio sulla vicenda.

Aggiornamento

Il 18 dicembre 2016 Valeria Fedeli ha risposto ad un editoriale scritto in forma di lettera da Sergio Staino, direttore dell’Unità, ammettendo in pratica il suo errore e chiedendone scusa. Il testo che riproduco proviene dal sito www.tecnicadellascuola.it

Ho commesso un errore. Mi scuso, con tutte e tutti, soprattutto con coloro che fanno parte del mondo della scuola dell’università e della ricerca.

Caro Sergio, ho trovato molto intenso ed emozionante quello che hai scritto nel tuo editoriale in forma di lettera. Ti ringrazio per le parole affettuose che hai voluto dedicarmi, ricordando il senso dell’impegno politico e sindacale che ha caratterizzato la mia vita.

Non ci lega un’amicizia di lunga data, e non abbiamo un’abitudine a frequentarci, ma le volte che ci siamo incontrati e parlati ho avvertito sempre quella familiarità che unisce quelli della nostra generazione che hanno vissuto le passioni ideali, i valori dell’uguaglianza, le battaglie concrete per aiutare lavoratrici e lavoratori, donne e uomini che ciascuno di noi (io nel lavoro sindacale e tu disegnando le tue meravigliose storie, e tutti e due nell’impegno politico e civile) ha sempre cercato di rappresentare. Per la prima volta, oggi, mi trovo a ricoprire – anche io come te – un incarico nuovo e nuove responsabilità, che vivo però in perfetta continuità con l’esperienza della mia vita, con l’attenzione alla vita reale delle persone, ai bisogni e alle speranze, l’ascolto e il dialogo, la determinazione per trovare i punti che uniscono. Ho iniziato ora il mio lavoro da ministra e l’ho fatto impegnandomi subito. Ma queste prime giornate sono state – nel dibattito pubblico o meglio nel confuso chiacchiericcio che rischia di prendere lo spazio di un vero dibattito e che nasconde, mi pare, un attacco politico e culturale ben chiaro – anche dalle polemiche. Voglio fare chiarezza: c’è stata – evidentemente – una leggerezza, da parte mia, un errore nella cura e nella gestione del racconto di un passaggio della mia vita, quello del titolo di studio.

Ho fatto le scuole per diventare una maestra d’asilo, lavoro bellissimo che ho fatto da giovanissima per qualche anno. Poi ho frequentato, diplomandomi, la scuola che all’epoca formava gli assistenti sociali. Oggi questi percorsi di studio sono completamente cambiati e d’altra parte – per me come per te – la vita ha preso un’altra strada: la passione politica e l’impegno nel sindacato sono state le mie scelte di vita. So che molti tra le lettrici e i lettori dell’Unità hanno compiuto le stesse scelte nel tempo e molti di loro sono stati i miei compagni nella storia, difficile, bellissima e quotidiana, di questo Paese.

Di questa leggerezza, di questo errore, mi scuso, con tutte e tutti, soprattutto con coloro che fanno parte del mondo della scuola dell’università e della ricerca.

Non sono ministra per insegnare loro qualcosa, né per convincerli delle mie idee, ma per ascoltarli, dialogare, fare sintesi. Il mio compito è migliorare e manutenere quello che già esiste, ma la sfida sarà quella di lavorare non solo sulle emergenze: dobbiamo tracciare una rotta per politiche sul sapere che sappiano guidarci verso uno sviluppo più inclusivo e sostenibile, per creare una società più giusta e dinamica. La valorizzazione dei talenti non deve essere alternativa al sostegno di chi resta indietro, dobbiamo dare non solo a tutte e tutti le stesse possibilità, ma fare in modo che attraverso l’impegno si possa trovare nel sapere un riscatto, una leva per cambiare e migliorare la propria condizione.

Questa è la lezione della nostra Costituzione. La conoscenza è determinante per una società più dinamica e in grado di competere meglio sugli scenari europei e internazionali, ed è centrale anche per ricucire le troppe fratture tra aree diverse del nostro Paese. Hai ragione, la strada più semplice davanti all’asprezza delle polemiche sarebbe stata quella di fuggirle. Noi, invece, non scegliamo le cose semplici.

Ho commesso un errore. Accetto però oggi la sfida e l’impegno che mi vengono richiesti, chiedo solo di essere giudicata per il lavoro che farò nei prossimi mesi.