Una casa abitata dalla speranza

Omelia 1° settembre 2015

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Liturgia della Parola

1Ts 5,1-6.9-11
Salmo 26
Lc 4,31-37

La celebrazione odierna affianca alla Parola di Dio che abbiamo ascoltato la preghiera che caratterizza questa giornata, dedicata alla cura del creato.

Come sapete papa Francesco ha voluto dedicare all’argomento del creato la sua ultima enciclica, Laudato si’. Fin dal titolo egli ci ricorda che il creato è una “casa”, anzi per la precisione è la nostra casa “comune”. Della casa abbiamo parlato ieri (“Quale gioia quando mi dissero: Andremo alla casa del Signore”, salmo 122); pure oggi il salmo responsoriale riecheggia il tema della casa: “Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita”. A conferma del fatto che la bibbia è attraversata dalla suggestione del tema della casa, un’esperienza totale umana e familiare.

Riferendosi alla casa comune, papa Francesco intende ovviamente parlare di quella occupata dalla famiglia umana. Tuttavia l’aggettivo “comune” richiama esplicitamente che l’uomo condivide tale abitazione anche con le piante e gli animali. Si tratta di una casa grande, dove tutti trovano spazio e della quale occorre prendersi cura, ciascuno secondo le proprie capacità.

Papa Francesco nella sua enciclica si chiede se sia opportuno dedicare un capitolo all’approfondimento alle tematiche della fede giudaico-cristiana dal momento che la lettera è indirizzata a tutti gli uomini, anche non credenti. In realtà il dubbio è presto risolto: questa casa comune abitata da tante creature non è di nessuno, ha un proprietario ed è Dio. Dio è il Signore del creato, il padrone di casa.

Cosa succede quando una casa non ha padrone? Qualche tempo fa passavo in campagna e vidi un casale diroccato e abbandonato a sé stesso. Chiesi di chi fosse ma nessuno fu in grado di dirmelo. Questo accade quando una casa non ha padrone: è lasciata a se stessa e cade in rovina.

Ma il creato è la casa comune la cui cura è stata affidata alle mani dell’uomo. La collaborazione con Dio, riconosciuto come il Signore, ci spinge a rispettare, coltivare e salvaguardare con amore l’ambiente.

Troviamo nel vangelo una certa analogia che possiamo mettere in luce. La figura ricorrente della persona posseduta, abitata dallo spirito impuro fa tornare alla mente le parole pronunciate da Gesù in relazione al comportamento del demonio. Quando egli viene scacciato vaga per luoghi deserti fin quando ritornando non trova la “casa” pulita e adorna; quindi chiana altri sette spiriti peggiori di lui e torna in quella “casa” e la situazione è peggiore della precedente.

In questo caso l’uomo viene considerato come una “casa”; ma il padrone di casa è come se se ne fosse disinteressato. Si tratta di un pericolo caratteristico della vita consacrata, di chi è in vocazione. Dopo tanti anni, con il trascorrere del tempo è come se ci si soffermasse su particolari secondari o di facciata. Sono passate le spinte iniziali. È subentrata stanchezza, dolore per le critiche, inefficacia delle proprie azioni. Ci si domanda se valga la pena “uscire”. Così ci si limita a tenere la casa pulita e adorna. Ma vuota.

La vita di tanti consacrati e consacrate appare vuota e senza appeal a chi vi si affaccia. Ordinata e pulita, eppure non attratriva.

Ecco, il Signore ci aiuti a riempire la casa della sua presenza, a preoccuparci di meno degli affari di questo mondo, delle apparenze, dei particolari secondari – di abiti, riti e suppellettili – e di aprirci invece alla speranza di un mondo più umano pure attraverso le delusioni e le sofferenze. Consapevoli che la sua parola e la sua persona hanno potere e autorità per vincere il male.