Pensieri ad alta voce sulla Pastorale della Salute

diaconia_christiIl Vescovo Lorenzo Leuzzi nell’incontro odierno con i Cappellani delle strutture sanitarie di Roma ha posto l’accento sul ruolo di “pastore” del Cappellano stesso e del suo impegno nel costruire “comunità” all’interno degli ambienti in cui egli opera, ribadendo peraltro un concetto espresso lo scorso anno in un analogo incontro.

Senza entrare nel dettaglio dell’intervento e del programma diocesano, vorrei tentare – pensando ad alta voce e con nessun’altra pretesa – di tracciare i contorni  delle questioni che deve affrontare un progetto tanto auspicabile quanto ambizioso e le relative ipotesi di soluzione.

Questioni da affrontare

Provo ad elencare le principali che appaiono al momento.

  • Cappellania come “servizio religioso”. Si sta superando un modello di presenza del Cappellano come di un “erogatore di servizi”, per quanto di carattere religioso. Nel sollecitare la riflessione sulla “pastorale d’ambiente” il Vescovo Leuzzi si ricollega in modo diretto al frutto del Secondo Sinodo di Roma (cfr Libro del Sinodo). Tuttavia la velocità con la quale si opera questo superamento non appare allineata con quella che ha visto la trasformazione della Sanità in Italia.
  • Incoerente ripartizione amministrativa. I Cappellani sono nominati per una struttura sanitaria, facendo tutti capo al Centro Diocesano per la Pastorale della Salute. Senza altri organismi intermedi. Con una distribuzione territoriale che non sempre risponde alle esigenze personali o delle strutture, soprattutto laddove queste ultime non abbiano un alloggio per il Cappellano. Ciò può comportare un inutile dispendio di tempo da dedicare agli spostamenti fisici, o l’impossibilità pratica di condividere momenti della giornata con confratelli impegnati nel medesimo servizio.
  • Mancanza di stabilità del clero. Il Vescovo Leuzzi ha fatto cenno all’esigenza che i Cappellani siano impegnati nel loro incarico in modo stabile, intendendo con ciò che non dividano il loro tempo con altre occupazioni (parrocchia, insegnamento, predicazione…). La stabilità, ovviamente, riguarda anche la durata temporale dell’incarico. Si può ragionevolmente valutare come irrilevante una permanenza nell’incarico inferiore ad almeno cinque anni, se l’obbiettivo si indica nell’essere pastore di una comunità.
  • Sperequazione nel trattamento economico. Al momento pare esistano almeno tre modalità di trattamento economico dei Cappellani: 1) remunerazione diretta dalla struttura sanitaria; 2) remunerazione dalla Diocesi con integrazione dell’Istituto Sostentamento Clero; 3) remunerazione dalle rispettive famiglie religiose. Tale diversità di trattamento, che implica anche forti differenze nelle remunerazioni a fronte di un “servizio religioso” praticamente uguale in ogni stuttura, dà adito a classificazioni indebite delle medesime Cappellanie. In questo tema si inserisce anche la difficoltà già accennata relativa all’alloggio.

Ipotesi di soluzione

Naturalmente si tratta di pensieri a ruota libera, giusto per offrire materiale di cui discutere.

  •  Creazione degli organismi intermedi. Il primo passo potrebbe essere quello di creare alcuni “dipartimenti pastorali” che abbiano la stessa estensione delle Aziende Sanitarie Locali (tenendo presente la complessità di tracciare confini che valicano quelli della Diocesi di Roma); se tali dipartimenti pastorali si rivelassero troppo estesi, si potrebbero suddividere in “zone pastorali” di dimensioni più piccole. L’utilità di tale ripartizione è quella di assegnare il dipartimento pastorale o la zona pastorale ad un pool di presbiteri, che si prendano cura – in solido – di tutte le strutture ospedaliere comprese nel territorio loro assegnato. Il Centro Diocesano di Pastorale della Salute potrebbe anche prevedere la collocazione dei vari pool di presbiteri presso la stessa unità alloggiativa, per facilitare la comunione tra confratelli e la progettualità pastorale.
  • Assegnazione degli incarichi per un congruo periodo di tempo. Occorre offrire alle comunità e agli ambienti la certezza che i loro pastori non verranno destinati ad altri incarichi in un periodo di tempo ragionevole. La pratica di conferire l’incarico di Cappellano a sacerdoti che vuoi per impegni di studio, vuoi per prevedibili e programmati cambiamenti non saranno in grado di garantire una continuità pastorale dovrebbe essere scoraggiata.
  • Migliore distribuzione del volontariato. Con la creazione dei pool di presbiteri che si prendano cura di un dipartimento o di una zona pastorale, anche il volontariato laico potrebbe essere impegnato diversamente. Infatti è possibile che, per vari motivi, vi siano strutture particolarmente ricche di collaborazioni, mentre altre – dove comunque si trovano ugualmente persone malate e inferme – ne restino sprovviste. Sarà compito del pool di presbiteri indirizzare i volontari dove la necessità lo consigli.
  • Collaborazioni con le Prefetture e le Parrocchie. La creazione di organismi intermedi e la stabilità degli incarichi aiuterebbero a concretizzare solide e proficue collaborazioni con le Prefetture e le Parrocchie. Infatti la partecipazione ai lavori delle Prefetture e il contatto con le Parrocchie potrà essere tenuto da un solo membro del pool di presbiteri per conto di tutti gli altri; garantendo così la comunione e il passaggio di informazioni tra le diverse realtà pastorali.
  • Parità di trattamento economico. Ai Cappellani dovrebbe essere assicurato un adeguato sostentamento economico in linea con il trattamento riservato a tutti gli altri confratelli. Attraverso la creazione dei dipartimenti pastorali, praticamente coincidenti con le ASL (e con le strutture sanitarie insistenti nel territorio), sarà possibile stipulare nuove convenzioni o rivedere quelle vecchie in modo tale che l’eventuale somma che fosse concordata sia assegnata non alla persona ma al pool di presbiteri. Ai quali in ogni caso sarà corrisposta l’integrazione spettante da parte dell’Istituto Sostentamento Clero.

Pensieri ad alta voce che non toccano, se non di striscio, il tema di una Pastorale della Salute che proprio perché si trova al centro dell’opera del Signore (che “guariva tutti i malati“, Mt 8,16) e della secolare attenzione della Chiesa, sente l’esigenza di rinnovarsi per adeguarsi alla contemporaneità.

Complessa ed esuberante, la nostra epoca esige risposte pronte e innovative.