Misericordia, parola che rivela la SS. Trinità

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Misericordia, parola che rivela la SS. Trinità

O santa Madre del Redentore,
porta dei cieli, stella del mare,
soccorri il tuo popolo che sta cadendo,
che anela a risorgere.
Tu che accogliendo quell’Ave di Gabriele,
nello stupore di tutto il creato,
hai generato il tuo Genitore,
vergine prima e dopo il parto,
pietà di noi peccatori.
Amen.

Nel numero 2 della Bolla d’indizione del Giubileo della Misericordia abbiamo letto che misericordia “è la parola che rivela il mistero della SS. Trinità”. Papa Francesco ritorna sullo stesso concetto alla fine della Bolla, scrivendo: “Dal cuore della Trinità, dall’intimo più profondo del mistero di Dio, sgorga e scorre senza sosta il grande fiume della misericordia” (n. 25). Al numero 8 precisa che “Con lo sguardo fisso su Gesù e il suo volto misericordioso possiamo cogliere l’amore della SS. Trinità”. Annuncia pure ciò che accadrà al termine del Giubileo, chiudendo la Porta Santa, e cioè che “avremo anzitutto sentimenti di gratitudine e di ringraziamento verso la SS. Trinità per averci concesso questo tempo straordinario di grazia” (n. 5). Nel contemplare il mistero della misericordia Papa Francesco sembra voler suggerire che abbiamo bisogno di contemplare il mistero della Trinità. Pochi giorni fa, nella prima domenica dopo Pentecoste, la Chiesa ha celebrato la festa della Trinità; la nostra memoria quindi è “fresca” ed oggi possiamo prolungare quel solenne ringraziamento nella meditazione sulla rivelazione della Trinità attraverso la misericordia.

Il primo pensiero che viene in mente riflettendo sulla Trinità è che L’Unicità di Dio non basta a spiegare la ricchezza sovrabbondante del suo Essere. Occorre capire che il Dio vivente è in realtà una Comunione di Persone. E che tale Comunione risulta talmente densa, talmente significativa, da essere lei stessa “Persona”. Nel Dio trinitario scopriamo il desiderio di continuare a “crescere”, se così si possa dire. La rappresentazione che il cristianesimo ha potuto dare di Dio grazie alla rivelazione di Gesù è che egli non ha trovato soddisfacente restare solo nella sua perfezione. Nella natura del Dio rivelato è assente la disposizione che ritroviamo, per esempio, nel Dio filosofico, quello aristotelico. Per Aristotele Dio è un “motore immobile”, un “atto puro”, una sfera intangibile e inarrivabile nella sua serafica perfezione.

Al contrario, il Dio personale che si è rivelato è un Dio di relazione. Padre, Figlio, Spirito Santo sono le relazioni con le quali Dio si è voluto far conoscere. Cerchiamo di comprendere meglio il concetto di relazione. Pensiamo a due persone, un ragazzo ed una ragazza, che si conoscono, simpatizzano, cominciano a volersi bene. Nasce in loro un sentimento che crescendo li porta a fidanzarsi. Fin quando questo sentimento non è nato, quel ragazzo e quella ragazza non si possono definire “fidanzati”. La relazione sentimentale del fidanzamento in qualche modo aggiunge una novità alle loro persone, in qualche modo le perfeziona.

Due fidanzati non si potranno chiamare moglie e marito fintanto che non siano sposati. Fino al matrimonio loro resteranno due fidanzati e basta. Ecco, la relazione matrimoniale ancora una volta aggiunge qualcosa di nuovo all’essere delle loro persone, le arricchisce, le fa crescere in quanto persone. Dopo il matrimonio, finalmente moglie e marito, questi due sposi non si potranno chiamare genitori se non quando nascerà il loro primo figlio. Da allora in poi saranno mamma e papà. Di nuovo: la relazione genitoriale trasforma due persone conferendo loro nuova identità, nuovi sviluppi relazionali con i figli. Altrettanto si potrà dire quando diventeranno nonni. Ma ci fermiamo qui, non dobbiamo fare un albero genealogico per comprendere il concetto divenuto chiaro: le relazioni costituiscono e perfezionano la persona. Siamo quel che siamo grazie alle relazioni che abbiamo avuto.

Dio ha concepito il suo Essere come Essere-in-relazione. Per Dio è stato importante “generare”: è divenuto Padre, è divenuto Figlio. Si è “arricchito” per esempio della novità della tenerezza paterna e del fiducioso abbandono filiale; non le ha semplicemente “praticate”, le ha assunte come sue definitive caratteristiche. Per Dio è stato importante scambiare con il Figlio la sua propria interiorità, scambiare con lui il suo DNA spirituale, costituito dal suo Santo Amore, in un atto che teologicamente si definisce “spirazione” e che è alla base della Terza Persona, la Rua’h, lo Spirito.

Possiamo dire di più. Dalla relazione con ciò che non è lui, Dio diventa Creatore. In un certo senso Dio è debitore alla relazione con il creato per avergli consentito di essere Creatore! E quando si può dire finalmente che Dio è Misericordioso se non quando il suo Cuore si può aprire al misero, al peccatore? Pare quasi blasfemo, ma è nella relazione con l’uomo peccatore che Dio ha potuto “conoscere” la misericordia, è “cresciuto” e “cresce” in misericordia.

Questa prima considerazione intorno alle relazioni ci spinge da una parte a contemplare la Trinità nel suo dinamismo di amore, e dall’altra a rinnovare le nostre relazioni con Dio, con le persone umane, con il creato. Contemplando la Trinità diventiamo più consapevoli dell’importanza di stabilire con tutti relazioni buone, relazioni che bonificano. Come lo sguardo comprensivo e perdonante di Dio ci rende più buoni, ci migliora, così il nostro comportamento amorevole e compassionevole verso i nostri simili e verso il creato rende il mondo un po’ meno brutto.

C’è un secondo pensiero che vorrei proporre. Risponde alla domanda: in che modo “dal cuore della Trinità, dall’intimo più profondo del mistero di Dio, sgorga e scorre senza sosta il grande fiume della misericordia”? Come comprendiamo che la Trinità agisce con misericordia? Vorrei approfondire questo argomento con tre parole chiave: creazione, redenzione, comunione. Tutte e tre le ritroveremo concentrate in un unico concetto: consolazione.

Quando Papa Francesco ci invita a tenere lo sguardo fisso su Gesù e il suo volto misericordioso riecheggia le parole della lettera agli Ebrei 12,2: “fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede”. I termini greci tradotti con “autore e perfezionatore” sono ἀρχηγὸν καὶ τελειωτὴν, traducibili come “colui che dà origine e porta a compimento”.

Il termine greco ἀρχὴ vuol dire “principio”, “origine” e si tratta di una parola di non poco conto nella Bibbia. Infatti il libro della Genesi si apre con essa: “In principio Dio creò il cielo e la terra” (Gn 1,1). Con questo accento la creazione di Dio si colloca come un principio temporale. Curiosamente, però, l’espressione ebraica Be-Reshith (בראשית in ebraico) non solo può essere resa con “in principio” ma può anche voler dire “il Principio”. Perciò non pochi commentatori ebrei pensano che l’espressione debba suonare come: “Il Principio creò il cielo e la terra”.

Di quale “Principio” si tratta? La tradizione rabbinica ritiene che tale Principio sia la Sapienza di Dio, espressa in modo intellegibile agli uomini come Torah (Legge). Rileggiamo il Salmo 104,24: ”Quanto sono grandi, Signore, le tue opere! Tutto hai fatto con sapienza, la terra è piena delle tue creature”. Quindi Dio crea tutto ciò che esiste “consultando” la sua Torah; come per l’architetto un progetto così fu la Torah per Dio. La tradizione ebraica è concorde nell’indicare nella Torah la manifestazione della “logica” divina, il suo “pensare” e il suo “agire” in favore del suo popolo Israele. Questi non è privo di guida perché la Torah lo fa essere un popolo privilegiato (Dt 14,2) rispetto a tutti gli altri popoli.

L’evangelista Giovanni conosce bene tutta la densità di significato che la tradizione ebraica attribuisce alla Torah e quel sottile riferimento al “Principio” che ha creato tutte le cose. Allo stesso tempo ha incontrato il Cristo e ha potuto fare una radicale esperienza di quanto altri, prima di lui, potevano solo immaginare o sperare. Perciò leggiamo nel suo vangelo l’interpretazione “autentica” della Genesi, proprio all’inizio (1,1), quasi una “nuova” Genesi.

In principio era il Verbo,
il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.

Non possiamo giocare con le parole della Parola di Dio, ma sappiamo bene che l’insegnamento della Tradizione e del Magistero ha raccolto senza difficoltà nelle parole di Giovanni la tradizione e l’insegnamento ebraico. La Sapienza di Dio, il suo Logos, è il Principio dal quale ha origine la creazione ed è il Principio dal quale ha origine la “nuova creazione”.

Tenendo fisso lo sguardo su Gesù vediamo che la sua prima azione è un’opera creativa. Così possiamo finalmente dire: la misericordia è un’opera creativa. E quindi la stessa creazione è un’opera di misericordia.

Come già il termine greco ἀρχηγὸν faceva pensare al “principio”, così il termine τελειωτὴν lascia filtrare il concetto di “fine”. Ed infatti troviamo sulle labbra di Gesù crocifisso l’annuncio della conclusione della sua missione: “Tutto è compiuto (τετέλεσται, tetèlestai)!” (Gv 19,30). Quello che l’italiano traduce con tre parole, in greco è una sola.

Quell’unica parola pronunciata al momento della morte indica che non vi era altro da aggiungere. Tutto ciò che compariva nel progetto iniziale, ciò che i profeti hanno annunciato, ciò che è scritto nella Legge e ciò che era volontà di Dio Padre, la missione salvifica del Figlio, l’annuncio della buona notizia, la prossimità del Regno: tutto è compiuto, tutto ha raggiunto la fine.

In un passaggio conclusivo dell’Apocalisse (22,13-16) leggiamo queste parole:

Io sono l’Alfa e l’Omega, il Primo e l’Ultimo, il principio e la fine.

Gesù si presenta come colui che “totalizza la Parola”, prima ed ultima lettera dell’alfabeto greco; come colui che “totalizza i Numerabili”, primo ed ultimo di una serie (in greco le lettere dell’alfabeto servivano anche per contare; e mi piace ricordare che nella Torah esiste il libro dei Numeri; che gli evangelisti Matteo 1,1-17 e Luca 3,23-38 narrano la genealogia di Gesù; che l’omelia agli Ebrei 11 enumera coloro che hanno creduto); come colui che “totalizza Causa e Fine”. In Gesù davvero “tutto è compiuto”, nulla rimane fuori del suo abbraccio pieno di misericordia e di compassione, nulla resta senza voce e senza risposta, né le gioie né le speranze, non le tristezze non le angosce (cfr GS 1). La misericordia si presenta perciò come un’opera di redenzione dove tutto è compreso e rinnovato secondo il modello che è Gesù, pacifico, immortale, beato. E quindi possiamo anche dire che la stessa redenzione è misericordia.

L’azione coordinata della Trinità è il prodotto della profonda comunione esistente tra le tre Persone. Il credente diventa partecipe di questa comunione in quanto letteralmente “donata”, trasportata dallo Spirito. Soprattutto si deve riconoscere che l’azione della Trinità e delle tre Persone distinte è animata da un obiettivo unico: Dio lavora e agisce in uno sforzo congiunto delle tre Persone che reciprocamente si ascoltano ed obbediscono affinché l’uomo sia salvato dal fallimento e dalla distruzione (peccato e morte) e giunga a conseguire la sua vera realizzazione e la vita eterna, cioè la comunione familiare con Dio, l’abitazione nella stessa casa, nella stessa dimora.

Il linguaggio sofisticato dell’Apocalisse già citata presenta la città santa, la nuova Gerusalemme, come una creatura celeste che Giovanni vede discendere dal cielo, da Dio (Ap 3,12; 21,2). Un chiaro riferimento al fatto che la città santa, completamente rinnovata, non è un manufatto dell’uomo, ma una creazione di Dio. Come metafora la città evoca un forte senso di cooperazione. Gli abitanti di una città sono tutti solidalmente legati tra loro da interessi comuni. La nuova Gerusalemme viene presentata come “la dimora di Dio con gli uomini” (v. 21,3), l’unico vero nuovissimo modo di realizzare la comunione, abitare insieme. La comunione è anch’essa opera di misericordia. Dio ha voluto abitare insieme all’uomo, accogliere il misero nella sua casa. La misericordia opera la comunione.

Apocalisse aggiunge poi un forte segnale di speranza: “Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il “Dio-con-loro”. E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate” (vv. 21,3-4).

La novità di questa presentazione risiede nel fatto che l’immagine di Dio che viene rivelata è quella del Consolatore. Tale presentazione è completa quando, leggendo il vangelo, ascoltiamo la promessa di Gesù: “Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi” (Gv 14,16-17).

Parlando di “altro” Consolatore che rimane per sempre con i discepoli che sarebbero restati orfani di Cristo (v. 18), non si può fare a meno di pensare che ve ne sia un altro, e questi, senza dubbio è lo stesso Salvatore. L’intera Trinità, perciò, si presenta con una forte caratteristica di “consolazione”, di prossimità all’uomo, al punto da dimorare con lui, presso di lui, in lui.

Così perciò può esprimersi il CV II: “Lo Spirito dimora nella Chiesa e nei cuori dei fedeli come in un tempio (cfr. 1 Cor 3,16; 6,19) e in essi prega e rende testimonianza della loro condizione di figli di Dio per adozione (cfr. Gal 4,6; Rm 8,15-16 e 26). Egli introduce la Chiesa nella pienezza della verità (cfr. Gv 16,13), la unifica nella comunione e nel ministero, la provvede e dirige con diversi doni gerarchici e carismatici, la abbellisce dei suoi frutti (cfr. Ef 4,11-12; 1 Cor 12,4; Gal 5,22). Con la forza del Vangelo la fa ringiovanire, continuamente la rinnova e la conduce alla perfetta unione col suo Sposo” (LG n. 4). Queste parole ci aiutano a chiarire il ruolo dello Spirito Consolatore nella chiesa. Colpisce il fatto che nel documento conciliare si rinnovi spesso l’affermazione che la chiesa è stata ricoperta di doni dal Signore e che attraverso la sua opera Dio mostri di non tollerare l’idea che la sua creatura, l’uomo, possa restare solo.

In effetti possiamo leggere l’intero processo di creazione-redenzione-comunione come un unico movimento in cui la solitudine, la sensazione di abbandono e disperazione che prova chi non trova nessuno al suo fianco soprattutto nei momenti di difficoltà e di smarrimento, viene vinta dalla prossimità di Dio. Dio si pone accanto alla sua creazione, Dio si affianca alla creatura da redimere, Dio con-vive con / nella sua creazione. La misericordia è opera di consolazione, è l’atto di con-solare, approssimarsi a colui che è solo.

Vorrei esortarvi oggi a lasciarci consolare da Dio, a lasciare che Dio sieda al nostro fianco e versi sulle nostre ferite interiori l’olio della consolazione. Vorrei esortarvi a benedire la Trinità con le parole dell’apostolo, che lascio alla vostra meditazione (2Cor 1,3-5):

Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio. Infatti, come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione.