Leggi, coscienza, obiezione, libertà

Se l’umanità avesse trovato il modello teorico o il sistema scientifico, cioè fisico-chimico o matematico-statistico, per determinare ciò che è bene e ciò che è male avremmo ottenuto la quadra.

La scienza sarebbe una nuova filosofia religiosa, gli scienziati i suoi sommi sacerdoti e i risultati oracoli divini.

Invece è proprio la scienza a volersi tenere al riparo da implicazioni religiose e sono proprio gli scienziati a rifiutare per il loro lavoro le etichette morali di bene e male, giusto e ingiusto.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: non ogni ricerca scientifica è morale (si pensi ad alcuni aspetti della vivisezione) come non tutte le applicazioni sono buone (si pensi alla bomba atomica) e nemmeno utili (si pensi alle sostanze stupefacenti). In ogni caso la storia insegna che, malgrado gli avvertimenti per lo più inascoltati di qualche acuta mente profetica, le conseguenze delle attività scientifiche sono valutabili solo ex post, spesso a distanza di tempo e quando ormai sono diventate irreversibili.

La scienza, inoltre, ha più di un interesse in comune con politica ed economia, tanto che non è irragionevole presumere tra le tre rapporti non sempre limpidi volti a rafforzare le rispettive sfere di influenza.

Pensare che una qualsiasi legge sia neutrale, immune da calcoli e secondi fini appare quantomeno ingenuo.

Invocare la scienza per rendere più morale una norma giuridica è in sé privo di senso. Un rilievo scientifico può al massimo giustificare la legge e alleggerire la coscienza di chi la vota, non renderla più giusta. Infatti è noto che non tutto ciò che è legale è morale e non tutto ciò che è morale è legale.

Sulla legittima preoccupazione delle istituzioni circa la disciplina degli aspetti della vita dei cittadini esercitano il loro peso anche le spinte emotive e irrazionali tipiche dei fenomeni di massa. Dalla contrapposizione polemica ai fenomeni di emulazione, dall’isteria collettiva alle sofferenze personali elevate a criterio generale, dai rumors dei mezzi di comunicazione al noise dei socials, dagli opinion maker ai comici riciclati: come in un minestrone d’altri tempi tutto finisce in un unico pentolone e per un legislatore risulta ancora più difficile trovare la lucidità e la serenità per agire secondo coscienza.

Quest’ultima poi subisce pesanti attacchi laddove le scelte personali non si adeguino alle istanze collettive. Sembra che esistano uomini (politici, medici, solo per citare due delle categorie più in discussione) la cui coscienza non sia idonea a fare scelte in difformità con quelle della parte avversa, minoranza o maggioranza che sia, uomini che non possano scegliere di obiettare e di decidere in modo autonomo, perché dalle loro scelte e decisioni deriverebbero conseguenze indesiderate a qualcuno, soggetto individuale o collettivo.

Ma la caduta dell’ultimo diaframma, quello del rispetto della coscienza di qualsiasi persona nel ricercare ciò che è bene e sceglierlo, per sé e per altri, anche a costo di errori (del tutto prevedibili in un essere umano) da una parte testimonia il tentativo mai completamente sopito della prevaricazione definitiva dell’uomo sull’uomo; dall’altra prelude alla dittatura del più forte, all’arbitrio di colui che per potere economico, potere politico, potere sociale, potere culturale, potere numerico conculca il più debole, esige di essere soddisfatto e costringe a farlo.

Una società non difenderebbe sé stessa né farebbe i propri interessi qualora impedisse ai suoi membri di esercitare la libertà di coscienza, con la coercizione fisica ma anche con il superficiale adeguamento al pensiero dominante o attraverso la gogna mediatica o ricorrendo a strumenti di pressione psicologica. Al contrario, il successo di un paradigma sociale che può tradursi in successo di un popolo, di una nazione, di uno stato è garantire che ciascun cittadino ad ogni livello di responsabilità possa seguire il dettato della propria coscienza liberamente formata nella faticosa ma fruttuosa ricerca del bene comune.

Ciò vale in particolar modo per coloro che sono dotati di un carico di responsabilità verso altre persone, i cui destini dipendono dalle loro decisioni. A tutti conviene che medici, politici, giudici, generali, piloti di aerei financo autisti di bus siano liberi di decidere con la propria formazione ed esperienza, in piena coscienza, quel che loro compete a vantaggio dei soggetti più deboli, del maggior numero possibile, magari di tutti. Ridurre la loro libertà, offuscarne la lucidità e la serenità, strattonare e porre sotto pressione rischia di non fare il bene di nessuno portando verso qualche irreparabile disastro. Sicuramente alla sconfitta di un modello culturale che ha fatto della libertà e del rispetto della coscienza personale una bandiera da difendere.