Le difficoltà del concetto di famiglia

tw_famiglia_benedizioneMi sono espresso in diverse occasioni sul matrimonio, quello che ne penso e in che modo il sacramento dovrebbe essere preso in considerazione (si leggano gli articoli correlati in fondo a questo post).

Torno a parlarne, soprattutto nella prospettiva della famiglia, spinto da una serie di considerazioni scaturite dal Twitter dell’intelligente Matteo Matzuzzi ‏(@matteomatzuzzi), vaticanista de Il Foglio. Devo riconoscere, uno dei pochi giornalisti riuscito davvero ad “informare” circa lo svolgimendo del Sinodo straordinario dei Vescovi sulla famiglia.

Una curiosa intervista

Mi ha incuriosito la citazione di un’intervista rilasciata a Radio Vaticana dal giovane (più di me!) Arcivescovo Maggiore di Kiev, Svjatoslav Ševčuk:

Ovviamente tale citazione, così com’è, appare incompleta e imprecisa e per questo ho voluto approfondire leggendo l’intera intervista. Lettura che mi ha portato ad una conclusione:


Sua Beatitudine afferma di voler ribadire la dottrina sostenendo che “la famiglia è l’unione stabile, fedele e sacramentale tra un uomo ed una donna“. In realtà tale affermazione è valida a condizione che la famiglia in questione sia qualificata come “cristiana“. In caso contrario – e solo come effetto più marginale ma più appariscente – saremmo costretti a ritenere che tutte le famiglie vissute prima dell’istituzione del sacramento del matrimonio non fossero famiglie, nemmeno quella formata da Maria e Giuseppe, genitori di Gesù. Mancando infatti il supporto “sacramentale” richiesto dalla visione dell’Arcivescovo qualsiasi coppia di sposi che però non abbia celebrato ritualmente il sacramento verrebbe esclusa dalla possibilità di formare una famiglia. Tuttavia la tradizione cristiana non ha mai avuto difficoltà a parlare di “Sacra Famiglia” in relazione a Maria, Giuseppe e Gesù e a dedicare addirittura una festa liturgica al suo ricordo.

La lex orandi e la dottrina cattolica sulla famiglia

Questa visione quindi si mostra contraddittoria fin dalla sua formulazione, ma ad una analisi più attenta appare grossolana e certamente non in sintonia né con la lex orandi della Chiesa né con la dottrina. Per quanto riguarda la lex orandi basti la citazione della prima benedizione sugli sposi prevista dal Rituale Romano nel giorno del matrimonio (qui):

O Dio, in te, la donna e l’uomo si uniscono,
e la prima comunità umana, la famiglia,
riceve in dono quella benedizione
che nulla poté cancellare,
né il peccato originale
né le acque del diluvio.

In tale benedizione si può osservare facilmente la convinzione della Chiesa che la famiglia sia “la prima comunità umana” e che nessun male, per quanto grande, abbia mai potuto cancellare la “benedizione” di Dio a lei riservata.

La dottrina è ancora più esplicita. Mi fermo al solo Catechismo della Chiesa Cattolica, come riassunto di una sterminata produzione teologica e magisteriale riservata all’argomento:

  1. la famiglia umana discende dall’atto creativo di Dio: “Creando l’uomo e la donna, Dio ha istituito la famiglia umana e l’ha dotata della sua costituzione fondamentale” (CCC 2203)
  2. la famiglia cristiana che nasce dal matrimonio come sacramento “è una comunione di persone, segno e immagine della comunione del Padre e del Figlio nello Spirito Santo” (CCC 2205)

Famiglia umana e famiglia cristiana rappresentano due specifiche della “comunità umana” che riceve la benedizione di Dio. Nel primo caso in quanto nell’unità tra uomo e donna si trova la realizzazione del disegno creativo di Dio; nel secondo caso perché questa unità viene elevata a rango di sacramento e quindi significa e realizza la stessa comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Quando una comunità umana è famiglia?

Non credo sia sempre tutto riducibile ad una sorta di confusione nominalista. In qualche caso la confusione nella testa di qualche prete e cristiano è più profonda e tocca il significato stesso di “sacramento” e di “Chiesa” (che, è bene ricordarlo, viene definita “in qualche modo sacramento” di Cristo dal Concilio Vaticano II, Lumen Gentium 1). Così mentre per dare origine ad una famiglia cristiana non si può prescindere dal sacramento del matrimonio (attenzione: non si può prescindere non dalla celebrazione rituale del sacramento del matrimonio, che è stabilita da norme ecclesiali, ma dalla dimensione teologica del sacramento del matrimonio: due persone battezzate nel momento in cui contraggono matrimonio per il fatto stesso di unire le loro vite pongono in essere il sacramento di cui sono ministri), per dare origine ad una famiglia occorre essere “comunità umana”.

Ho volutamente evitato di scrivere “occorre essere un uomo e una donna” perché qui si apre uno scenario per certi aspetti nuovo. Non si tratta più solo di fare appello a nozioni di antropologia storica. È possibile – mi domando – che i fenomeni antichi (e in parte moderni) di poligamia dessero origine a “comunità umane” senza che queste fossero da considerare “famiglie”? E in che modo valutare certe prassi consolidate anche in Italia dove per “famiglia” si intendono pure parenti conviventi, per esempio nipoti, nonni e zii, con i quali si stabiliscono mutue relazioni di aiuto tipiche di un’autentica “comunità umana”?

C’è da dire che persino nel linguaggio ecclesiale il termine famiglia è giunto ad indicare gli ordini e le congregazioni religiose che fanno riferimento ad un unico fondatore come nel caso, per esempio, di “famiglia francescana” o “famiglia benedettina”. Famiglie dove però sono da escludersi quasi completamente le parentele di sangue.

Quando il concetto di famiglia si è allargato

Ma è lo stesso concetto di famiglia che sembra aver intrapreso un percorso che l’ha portato distante dalle origini (“un uomo e una donna”) anche in seno alla stessa Chiesa Cattolica; percorso fatto di analogie, di immagini, di simboli. Ripenso in particolar modo alla già citata Lumen Gentium, dove si ricorda che la famiglia è uno dei modi con cui la tradizione descrive la Chiesa (n. 6); ma soprattutto si esortano i sacerdoti a lavorare per l’unificazione dell’intero genere umano (n. 28):

Siccome oggigiorno l’umanità va sempre più organizzandosi in una unità civile, economica e sociale, tanto più bisogna che i sacerdoti, consociando il loro zelo e il loro lavoro sotto la guida dei vescovi e del sommo Pontefice, eliminino ogni causa di dispersione, affinché tutto il genere umano sia ricondotto all’unità della famiglia di Dio.

Il concetto di famiglia in questo modello di Chiesa è un concetto che ben si può dire “allargato”: l’intero genere umano, solidale e organizzato in unità tecnicamente “profana”, risulta compreso nell’unità della famiglia di Dio nel momento in cui si eliminino le cause di dispersione. Il documento conciliare meriterebbe ben altro approfondimento, ma per i miei scopi basta quanto abbiamo detto fin qui.

Giunti però a questo punto non possiamo fare a meno di rilevare che al concetto di “famiglia” pertiene anzitutto quello di “comunità umana” che ha vinto ogni divisione e dispersione: dunque il concetto di “unità” che abbraccia tutte le componenti umane, da quelle civili a quelle conomiche. Il concetto di “famiglia allargata” si presta sicuramente ad ambigue interpretazioni; ma se è chiaro che il fine della Chiesa non è quello di creare torri d’avorio in cui far rifugiare i salvati, bensì di essere “il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen Gentium 1), allora di sicuro le prime posizioni da rivedere sono solo quelle dei cristiani arroccati che non vogliono più scendere a sporcarsi le mani con i loro fratelli (le resistenze al Concilio sono bene note e giustamente qualcuno ha fatto osservare che nel Sinodo non si fronteggiano due diverse visioni di matrimonio o di famiglia, ma due diverse visioni di Chiesa e due diverse posizioni rispetto al Concilio).

Senza nascondersi i problemi

Le difficoltà del concetto di famiglia non sono poche e nessuno potrà liquidarle con qualche battuta o alzando steccati ideologici (a volte persino teologici). Il mio auspicio è che si proceda sulla strada di una rimozione delle “cause di dispersione” con la collaborazione di tutti gli uomini, con umiltà, con onestà intellettuale, rispetto all’individuazione e alla soluzione di alcuni problemi reali:

  1. le ingiustizie e le obbiettive difficoltà economiche che impediscono la formazione e la realizzazione della famiglia;
  2. la tutela sociale e legale di quelle unioni che, stabilendo un’autentica “comunità umana”, diventino garanzia di benessere e stabilità sociali;
  3. l’attenzione, il rispetto, la cura, l’affetto di cui bisogna circondare la vita nascente e le persone nelle prime fasi della loro vita: bambini, fanciulli, adolescenti;
  4. la difesa e il supporto delle persone più deboli e nella fase finale e terminale della vita;
  5. il superamento della visione giuridica del matrimonio sacramento, ferma al Concilio di Trento, e la revisione radicale delle modalità di ammissione al sacramento stesso.

Un esempio importante che potrebbe illuminare su questi problemi persino il dialogo con le istituzioni e con le visioni più laiciste sarà quello che viene proprio dalla vita consacrata. In essa si coltiva, più o meno coscientemente, quel senso di famiglia che pur non affondando le sue radici nel sacramento del matrimonio mostra però una modalità realistica e ben rodata di pratica di “comunità umana“.