La terra degli uomini onesti

burkinaSono stato in Burkina Faso per la prima volta nel 1997. Accompagnavo un gruppo di medici, biologi, studenti universitari per un’esperienza missionaria.

In Italia, con un grande impegno di volontariato, erano riusciti a farsi regalare un intero laboratorio di biologia, un container di medicine e libri per la scuola.

Atterrammo a Ouagadougou (Uagà per gli amici) e ci dirigemmo a Koupéla nostra destinazione finale.

Il giorno dopo cercammo di prendere dimestichezza con l’ambiente. Un panorama lunare, rispetto a quello a cui eravamo abituati. Non era la prima volta che andavo nell’Africa subsahariana, quella profonda e povera sconosciuta ai vacanzieri. Ma l’albero secco e il terreno arido e polveroso erano sempre i primi particolari che mi balzavano agli occhi.

Nella stagione secca in Africa è impossibile coltivare la terra. Si riesce a malapena a nutrirsi delle riserve accumulate e delle poche cose che maturano spontanee.

Ricordo che quel giorno alcuni bambini ci guardavano senza avvicinarsi. Stavano un po’ distanti e sicuramente si chiedevano che cosa facessero lì tutti quegli yovò (yovò in alcune lingue africane vuol dire “uomo bianco”). Lentamente presero coraggio e cominciarono ad avvicinarsi. Sorridevano e come tutti i bambini sembrava che cercassero un modo per comunicare. Ma nessuno di noi conosceva il loro linguaggio.

Ad un certo punto alcuni bambini si accostarono a me e ad una ragazza del gruppo. Tenevano nelle mani alcuni frutti a noi sconosciuti e ci facevano cenno di prenderli. Con un po’ di titubanza li prendemmo, ringraziando rammaricati di non poter contraccambiare. Ma sospettosi non li mangiammo.

Rientrammo nella missione e alla suora del luogo che ci faceva da interprete chiedemmo spiegazioni. Ci disse che quello era un gesto di benvenuto. Che in quel periodo era difficile poter offrire qualcosa ad un ospite, perché il clima non consentiva il raccolto. Che quei frutti crescevano spontanei e che i bambini erano saliti sugli alberi per raccoglierli apposta per noi. Che sapevano cosa eravamo andati a fare e volevano ricambiare a modo loro.

Compresi allora perché il paese aveva cambiato nome da Alto Volta a Burkina Faso. Nella lingua burkinabè “burkina faso” vuol dire la terra degli uomini onesti. Avevamo incontrato davvero uomini onesti, tra i più poveri della zona ma tanto più liberi di noi nella loro generosità, semplicità e immediatezza.

Le rivolte di questi giorni sono forse necessarie per mantenere fede a quel nome: terra degli uomini onesti. Non lo so.

Posso solo dire che sono dalla parte di quei bambini che ci offrirono i dolci frutti di una terra arida e che oggi saranno diventati uomini e donne maturi e che fanno parte di un popolo che con orgoglio vuole restare libero nella terra degli uomini onesti.