La preghiera sacerdotale di Gesù (Gv 17)

Associazione “Figli della Chiesa”
Domus Aurea

Ponte Galeria (RM) – 26-27 ottobre 1996

Indice delle riflessioni

  1. L’ultima cena secondo Giovanni
    1. Una questione aperta
    2. La funzione sacerdotale di Gesù
    3. La preghiera di Gesù
    4. Considerazioni conclusive
  2. La preghiera di Gv 17
    1. Nella confessio vitae la confessio fidei di Gesù
    2. I grandi temi della preghiera di Gesù
  3. Perchè il tema del mondo
  4. Il capitolo IV: la missione della chiesa nel mondo contemporaneo
    1. Il criterio dell’aiuto
  5. La via del cammino comune (n.40)
    1. La chiesa in dialogo con il mondo
    2. Umanità come famiglia di Dio
  6. La chiesa pronta ad aiutare
    1. L’aiuto agli individui (n. 41)
    2. L’aiuto alla società (n. 42)
    3. L’aiuto alle attività (n. 43)
  7. La chiesa pronta ad essere aiutata (n. 44)
    1. Il valore della cultura per la chiesa
  8. Infine, Cristo uomo nuovo (n. 45)
    1. Il Regno di Dio
    2. La ricapitolazione

1. L’ultima cena secondo Giovanni

  1. Una questione aperta
    • Tre evangelisti ci narrano un’ultima cena in cui avvengono eventi simili (Mt 26,14-46; Mc 14,10-42; Lc 22,21-46): annunzio del tradimento di Giuda, preparativi per la cena pasquale, predizione del rinnegamento di Pietro, istituzione dell’eucarestia (grosso modo con le stesse parole, preghiera al Getsemani.
    • Giovanni presenta un quadro diverso: in un racconto molto più esteso dei sinottici (13,1-18,11) riporta una serie di considerazioni originali: la lavanda dei piedi, con il discorso sul servizio; l’annunzio del tradimento di Giuda, con particolari inediti; le parole dell’addio con le quali introduce il discorso sull’amore vicendevole dei discepoli; la promessa dell’altro Consolatore; il discorso della vite e dei tralci, insieme alla ripresentazione del discorso sull’amore; il discorso sui rapporti tra discepoli e mondo; il discorso sulle conseguenze della venuta del Paraclito; l’annunzio del ritorno; la preghiera cosiddetta sacerdotale; l’arresto al Getsemani, in una forma originale. Più che un’ultima cena, Giovanni sembra avere la preoccupazione di scrivere un testamento.
    • A colpo d’occhio risulta evidente un’assenza clamorosa nel vangelo di Giovanni: manca l’istituzione dell’eucarestia. Di converso egli è l’unico a ricordare la lavanda dei piedi mentre cenavano (13,2). Per molto tempo, i teologi della chiesa primitiva hanno discusso se la lavanda dei piedi dovesse essere considerata un sacramento vero e proprio, e l’usanza seguita da diverse chiese era quella di celebrare con una solennità particolare la lavanda dei piedi come sacramento del servizio.
    • Perché manca il riferimento all’eucarestia in Giovanni? La risposta che si danno gli studiosi della scrittura fa riferimento al fatto che Giovanni scrive a distanza di circa 20 anni dall’ultimo evangelista. Non era più il momento di tornare su cose che la chiesa aveva accettato e praticava, come la celebrazione della pasqua nel nuovo spirito del Gesù di Nazaret. Giovanni ricorderebbe, o racconterebbe, invece, l’eucarestia secondo una prospettiva più tipicamente “conviviale” : a tavola si parla, e Gesù, oltre ad istituire l’eucarestia, quella sera tanto solenne qualcosa dovrà pur aver detto. Ed è appunto questo che Giovanni si prende la briga di trasmettere ai suoi lettori.
  2. La funzione sacerdotale di Gesù
    • I sinottici ricordando l’istituzione dell’eucarestia, in cui Gesù attribuisce un significato nuovo alla pasqua ebraica, viene tratteggiato con le caratteristiche del pater familias, con tutti i risvolti sacerdotali che venivano attribuiti a questa figura in Israele fin dai tempi più antichi. Se poi si pensa che era compito dei sacerdoti immolare gli agnelli pasquali, e che l’ultima cena, con il riferimento al sangue versato, ci ricorda da vicino questo ufficio sacrificale emerge l’intenzione evidente degli evangelisti di accostare a Gesù la figura del sacerdote.
    • Per i sinottici il momento culminante della cena pasquale di Gesù è la consacrazione del pane e del vino. Gesù con – sacra, cioè rende al suo stesso livello la materia inerte degli alimenti. Quella consacrazione prende il sopravvento su tutto il resto del racconto. Gesù esercita il suo sacerdozio lasciando il suo corpo in sacrificio per tutti, e offrendo il suo sangue per la remissione dei peccati, per la vita degli uomini. In quel gesto sacerdotale per mezzo della consacrazione pane e vino sono inscindibilmente uniti al corpo e sangue di Cristo, al rendere sacra la propria missione, a redimere l’uomo dal peccato. Si tratta di una consacrazione che richiama i canoni della funzione sacerdotale dell’antico testamento, dove i sacerdoti si mostravano quali pontefici, intermediari tra gli uomini e Dio, e con le loro azioni causavano la salvezza dei credenti.
    • Questa consacrazione è assente in Giovanni. Nondimeno anche l’evangelista dell’amore racconta, a suo modo, una consacrazione. Potremmo dire che Gesù, nel vangelo di Giovanni, presenta l’altro valore della funzione sacerdotale, quello della consacrazione del mondo. L’esercizio della funzione sacerdotale, infatti, è lasciato da Giovanni alle parole della lunga preghiera del capitolo 17. In essa scompare il riferimento al corpo e al sangue, tipico della liturgia giudaica, e prende piede il riferimento al mondo come luogo proprio della consacrazione. Ed è in particolare la consacrazione nella verità sulla quale insiste Gesù.
  3. La preghiera di Gesù
    • L’ultima annotazione che facciamo circa le differenze tra sinottici e Giovanni riguardo l’ultima cena è sulla diversa visione che hanno della preghiera del Signore. Mt (6,9-13)e Lc (11,2-4) ricordano, in occasioni diverse e con parole simili, l’insegnamento di Gesù sulla preghiera, il primo ponendolo all’interno del discorso programmatico del Messia, quasi a volerne fare l’obbiettivo di uno stile di vita; il secondo lo offre come risposta alla domanda tanto ingenua e pressante dei discepoli: “Signore, insegnaci a pregare”. Mc tace, in un vangelo destinato a fare da piccolo catechismo per dare gli elementi di prima evangelizzazione necessari alla conversione dei pagani. La preghiera è un passo grosso, ulteriore.
    • Gv non si sottrae allo sforzo di ridisegnare la preghiera del Signore secondo le tante possibilità che gli offre il suo racconto. La cosiddetta preghiera sacerdotale di Gesù, in tale prospettiva, altro non sarebbe che una versione del “Padre nostro” in cui elementi caratteristici del IV vangelo confluiscono a determinare il quadro di azione di un cristiano: la gloria del Figlio, la vita eterna, la verità, il mondo come teatro dell’opera cristiana, l’unità, la gioia, la Parola, la fede, la missione, l’amore.
    • Di tipico da sottolineare è che in Gv Gesù non vuole insegnare a pregare. La preghiera di intercessione di Cristo sembrerebbe irripetibile, sembrerebbe assolutamente “personale”. Nei sinottici Gesù chiama Dio “Padre nostro”; in Gv semplicemente “Padre” (vv. 1,5,20) o “Padre santo” (v. 11) o “Padre giusto” (v. 25). Non è meno filiale, questa serie di denominazioni, forse risente un po’ delle consuetudini giudaiche, ma è un indizio importante: Gesù sta parlando a tu per tu con suo Padre, suo Padre. E però, mentre egli prega in modo del tutto singolare, ci fornisce delle indicazioni preziose circa la preghiera. Gesù esce dai canoni, da quelli stessi che i suoi evangelisti sinottici avevano voluto riprodurre, di considerare la preghiera nella sua “abitudinarietà”; la preghiera è sì abitudine, ma è anche rapporto semplice e immediato con il proprio Dio. Non è meno Padre nostro quello di Gv rispetto a Mt e Lc, perché a guardarne il senso profondo, in tutti i casi si tratta di una preghiera che sgorga da una consuetudine di frequentazione tale da relativizzare anche l’uso delle parole, l’una al posto dell’altra.
  4. Considerazioni conclusive
    • Da quanto abbiamo detto fin qui possiamo tracciare senza difficoltà alcune linee di riflessione utili a penetrare lo spirito della preghiera di Gesù e a darci delle piste operative.
    • Gv scrive il testamento di Gesù. Ricordiamo che il termine testamento si traduce dalla stessa parola greca che vuol dire alleanza. Il calice della nuova ed eterna alleanza è anche il calice del nuovo ed eterno testamento. Nei sinottici questo testamento sembra più riguardare la consacrazione di Cristo secondo l’uso di Israele come vittima sacrificale; in Gv il nuovo ed eterno testamento sono i credenti in Cristo, che Gesù lascia in eredità al mondo perché continuino la sua opera di salvezza. Egli li consacra, o meglio chiede al Padre di consacrarli nella verità come lui si è consacrato per loro. Il rituale della consacrazione sposta il suo baricentro: dal Figlio ai figli, dal sacrificio una volta per tutte al sacrificio per sempre, dal singolare al plurale. Questo spostamento esige che in noi credenti un ripensamento, una verifica della nostra stessa coscienza di credenti:
      • sul significato che attribuiamo alla nostra conformazione a Cristo, prototipo della consacrazione del nuovo testamento. Non a caso i padri della chiesa amavano definire i cristiani come “altri cristi”, non solo in quanto l’unzione battesimale e crismale li rendono conformi al Cristo, ma anche perché la loro stessa esistenza diventa segno e strumento di salvezza, esattamente come quella di Cristo.
      • sul valore che riveste la verità, e la ricerca della verità, nella nostra azione di cristiani. La verità non è mai un pacchetto di nozioni o di cose possedute e da far valere di diritto “contro” la menzogna, o peggio “contro” qualcuno. La verità invece può essere solo faticosamente rintracciata tra le pieghe della storia, e nemmeno i cristiani hanno diritto a contentarsi di quello che hanno e che è stato dato loro, ma insieme a tutti gli uomini continuano il loro cammino di “consacrazione nella verità”.
      • sul rapporto che viviamo con il mondo, che nel suo complesso con le sue luci e le sue ombre rimane l’oggetto privilegiato dell’amore del Padre, spinto al punto del dono del Figlio (“Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare in suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” 3,16). La simpatia per il mondo deve rimanere una costante nell’azione del credente. Non appartiene allo spirito cristiano la visione di un mondo come una prigione, di cui liberarsi, o come una “valle di lacrime” da cui fuggire quanto prima, rifugiandosi, nel frattempo, dentro la pace beata delle mura della chiesa. Il mondo è il teatro della salvezza, e se il Figlio lo ha scelto per farvi la sua parte, non sono mai stati credibili i cristiani che hanno rifiutato questa scelta.
      • sul modo che abbiamo di relazionarci con Dio nella preghiera. Non esistono, nello spirito del cristiano, formule prefabbricate capaci di realizzare la preghiera ideale, compreso il Padre nostro, la preghiera del Signore per eccellenza. Esistono preghiere che potremmo chiamare “ufficiali”, in cui la chiesa nel suo complesso si riconosce e che nei momenti in cui si riunisce trova più facile e più opportuno utilizzare. Ma nel nostro quotidiano rapporto con il Signore dobbiamo verificare da una parte l’atteggiamento interiore (improntato alla fiducia, alla filialità, alla semplicità, alla trasparenza…), dall’altra il nesso essenziale tra orazione ed azione (Gesù prega perché i credenti facciano…).

2. La preghiera di Gv 17

 

  1. Nella confessio vitae la confessio fidei di Gesù
  • Tra le cose che balzano agli occhi ad una prima sommaria lettura del c. 17 è che Gesù per pregare non trova niente di meglio da fare che raccontare la sua vita per raccontare la sua fede. Vita e fede in Gesù coincidono. La sua persona esprime la sua missione. Giunge l’ora decisiva, quella per la quale Gesù è venuto al mondo, l’ora della sua glorificazione nella sofferenza, finalizzata alla glorificazione del Padre. Lui ha fatto conoscere agli uomini il volto tenero di Dio Padre; ora si aspetta che il Padre stesso si incarichi di preservarli dal ripiombare nell’oscurità della perdita di questa conoscenza. Pur non essendo del mondo, Gesù non rifiuta il mondo ma anzi lo considera la sua eredità, il suo tesoro da riportare al Padre, unito di quell’unità che caratterizza il rapporto Dio-Padre Dio-Figlio. Ancora una volta è l’amore a compiere il miracolo, e di questo amore Cristo si proclama portatore e promotore.
  • La vita di Gesù diventa paradigmatica per i suoi. Nella sua preghiera egli chiede al Padre per i discepoli né più né meno quello che chiede per lui o che possiede lui. Come Fratello non vuole considerarsi un privilegiato, al contrario, si presenta quale punto di riferimento ed espressione della realtà che attende tutti gli uomini. Così, mentre racconta la sua vita, Cristo compie anche il suo atto di fede in un Dio che vuole ad ogni costo, anche quello del sacrificio di suo Figlio, l’amicizia con tutti gli uomini.
  • Dalla preghiera di Gesù traiamo anche una ulteriore considerazione : riscopriamo l’importanza di saper leggere la nostra vita nell’ottica della fede perché essa diventi una vera confessione di Dio agli uomini. Nessuno vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, dice Paolo. Ancor di più : viviamo e moriamo per Dio, e, stando all’esperienza di Cristo, viviamo e moriamo per i fratelli. Questo aspetto della lettura della nostra vita nell’ottica della fede consente di coniugare in modo corretto il duplice comandamento dell’amore, per Dio e per gli uomini, nella prospettiva di ricondurre il mondo al suo Creatore e Redentore.
  • I grandi temi della preghiera di Gesù
    • Di solito, e soprattutto nei secoli che hanno conosciuto la grande divisione dei cristiani, di questa preghiera viene sottolineato principalmente l’aspetto dell’unità. Cristo prega perché tutti siano una cosa sola. Ci fermiamo su questo solo un momento. Non è una nota marginale quella della preghiera per l’unità, ma non è né la prima né la più importante. La disunione tra i credenti, al termine del secondo millennio cristiano, è certamente tra i più gravi scandali che affliggono la chiesa di Dio. Ma forse non è nemmeno la cosa che Gesù intendeva pregando perché tutti siano una cosa sola. Di fatto Gesù si affretta ad aggiungere : Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola. La preghiera che Gesù rivolge al Padre, e che può essere senza difficoltà applicata alle divisioni dei cristiani (peraltro contingenti, non universali, non definitive) ha un senso che va oltre la banale ricerca di unità di intenti e di disciplina ecclesiale. Cristo sta chiedendo al Padre, con queste parole, l’unità dell’uomo con Dio, l’alleanza, oserei dire la fusione mistica della creatura con il suo Creatore : una cosa sola. La novità e l’originalità di questa espressione risiede esattamente qui : uomo e Dio uniti per sempre.
    • Uno dei temi più imperativi nella preghiera è quello della vita eterna. Non credo sia un caso che la liturgia battesimale, a rileggerla secondo questa chiave di lettura, mostri l’importanza che riveste la nozione di vita eterna per il cristianesimo. La nostra fede è una fede nella vita, nelle sue molteplici forme (la vita concepita, la vita del bambino e dell’anziano, la vita quotidiana, la vita…). La nostra fede è fede nella vita eterna, cioè nella vita che non finisce e che per tale motivo illumina anche il mistero della morte, ovvero della cessazione della vita biologica così come la conosciamo noi visibilmente. Se la vita eterna, come dice Gv nella sua prima lettera, è conoscere te, o Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo, allora non è possibile prendere quel verbo (conoscere) come se si trattasse di una conoscenza meramente intellettuale. La vita eterna è il complemento di quell’unità tra uomo e Dio di cui parlavamo sopra : la vita creaturale inserita in Dio Creatore e Redentore si innalza al livello dell’infinito e dell’eterno. La nostra vita respira il respiro di Dio, vive i giorni di Dio, è proiettata verso l’apertura a Dio, unico eterno. Di qui l’urgenza, da parte dei cristiani, di recuperare il senso della vita come vita eterna e di studiare le forme per poterne rendere partecipi tutti gli uomini.
    • Torno ancora una volta a parlare del mondo, perché nella preghiera Gesù vi insiste e vi ritorna con tenacia, e sappiamo bene che quello del mondo è un tema tanto caro a Giovanni. Evidentemente dall’amicizia con Gesù il giovane apostolo deve aver ricavato una convinzione ben ferma circa l’importanza del mondo per la fede. Ma la prospettiva su cui vorrei soffermarmi a conclusione di questa nostra riflessione cerca di coniugare la visione del mondo nella preghiera di Gesù e la consacrazione dei credenti nel mondo, per il mondo, con il mondo.
    • Nel mondo. Come tu mi hai mandato nel mondo, anche io li ho mandati nel mondo, dice il Signore pregando. Sembrerebbe strano : i suoi discepoli erano già nel mondo, l’espressione di Gesù è ridondante. Ma questo invio nel mondo, nel quale i discepoli devono essere consacrati nella verità, ci ricorda che la funzione sacerdotale del cristiano si esercita non solo nella liturgia ecclesiale e sacramentale, ma pure nella più ampia liturgia della vita. Ecco che si riesce allora a definire anche con maggiore precisione la missione del laico, chiamato a fare delle sue attività mondane una nuova forma di applicazione della propria funzione sacerdotale, celebrando il mistero pasquale di Cristo attraverso le normali vicissitudini dell’esistenza.
    • Per il mondo. Padre, tu hai dato al Figlio potere sopra ogni essere umano perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. La vita di Cristo, spesa per la salvezza degli uomini, ci richiama la finalità della nostra azione di credenti. Noi siamo, per il mondo, lo strumento e il segno della salvezza in atto dai giorni di Cristo. La nostra esistenza cristiana ha senso solo nella misura in cui è spesa per il mondo. Se effettivamente la misura dell’amore è il dono della propria vita, allora bisogna anche aggiungere : il dono della propria vita per amore di Dio e del mondo. Solo allora si completa in maniera corretta il complesso di realtà che costituisce il cristiano. Il cristiano esiste perché esiste un mondo che deve essere riportato al Padre, che deve conoscere la vita eterna.
    • Con il mondo. Padre, io prego per loro ; non prego per il mondo, ma per coloro che mi hai dato, perché sono tuoi. Nella preghiera di Gesù esiste una specie di stratificazione piramidale : egli prega per i suoi, e per quelli che per la loro parola crederanno ; i suoi intercedono per il mondo, perché sono ancora nel mondo. La salvezza del cristiano passa attraverso l’altro, passa attraverso il mondo. Nessuno si salva da solo. Il mondo è inscindibilmente unito a ciascuno di noi, e il credente avverte che tra se stesso e il mondo passa lo stesso rapporto di relazione che passa tra Cristo e i suoi : il mondo è nostro, ma noi siamo di Cristo e Cristo è di Dio. Il cristiano si salva con il mondo o non si salva affatto.

3. Perché il tema del mondo

  1. La preghiera sacerdotale di Gesù presenta decisamente una sua complessità strutturale, che necessariamente impone di procedere ad una selezione degli argomenti. Di fatto, se osserviamo la preghiera nel suo complesso il tema portante è l’attenzione di Gesù verso i discepoli che nell’ora suprema della sua morte il Signore si vede costretto a lasciare soli. La preoccupazione di Gesù si avverte in ogni parola. Egli sa che, da questo momento in poi, i suoi discepoli dovranno cavarsela senza di lui. Il Maestro è consapevole di aver fatto molto durante i tre anni di ministero trascorsi con loro. Molto, ma non tutto. Era riuscito a rivelare la figura di Dio in una forma forse non ignota alla tradizione del popolo eletto, ma certamente originale per quanto riguarda i tratti di apertura a tutto il genere umano ; Gesù aveva riletto con i suoi la storia della salvezza spostando il centro di interesse da Israele all’uomo nel suo complesso. Non si trattava di un cambiamento da niente. Il vizio originale di chi viene eletto da Dio è di dimenticare facilmente che la sua elezione non è un privilegio, o un premio per i propri meriti, tantomeno un diritto. L’elezione da parte di Dio si manifesta sempre come una realtà strumentale finalizzata : si è eletti per qualcosa, per una missione, per uno scopo, un obbiettivo da raggiungere.
  2. Nella preghiera di Gv 17 l’attenzione di Gesù verso i discepoli che egli ormai si appresta a lasciare soli si traduce in una invocazione con due risvolti :
    • Gesù si mostra sensibile alla umanità e alle persone dei suoi discepoli. La missione e comunque ogni altro tipo di rapporto con Cristo non passa se non attraverso il suo accostarsi all’uomo nella sua realtà tipica e nel considerarlo persona nel rispetto di individualità e libertà. La preghiera sacerdotale di Gesù è un capolavoro in questo senso. Gesù conosce punti di forza e punti di debolezza dei suoi. E mentre prega sembra mettere nelle mani del Padre questa sua conoscenza. Sembra dire : se tu non sei dalla loro parte, difficilmente essi potranno realizzarsi come persone umane secondo il modello che mi hai mandato ad annunciare con la mia vita.
    • Accanto a questa prima e costante preoccupazione del Signore ne troviamo un’altra. La realizzazione piena dell’umanità personale dei suoi discepoli passa attraverso il compimento di una missione che è quella del Signore stesso : fare in modo che tutti gli uomini abbiano la vita eterna e il Padre sia glorificato. Se in Cristo persona e missione si identificano, nei cristiani certo non si scindono. E dietro le righe della preghiera possiamo allora cogliere quel tenero atteggiamento di Gesù nei confronti del mondo, dell’umanità nel suo complesso, che lo porta a scegliere i suoi discepoli, a mandarli a due a due, a dare loro il potere di operare miracoli e fare guarigioni, ad esortarli a dare gratuitamente come gratuitamente hanno ricevuto, ad annunziare a tutti gli uomini il messaggio di pace del vangelo (cfr Mt 10). Il mondo, allora, uscito dalla porta nel momento in cui Gesù ha voluto spingere gli uomini ad alzare gli occhi verso il cielo, rientra da quella finestra aperta proprio per guardare il cielo. Dalle parole di Gesù si capisce con forza che il mondo è divenuto con la redenzione la via del cielo.
  3. Ed è appunto su questo tema del mondo che vorrei ora soffermarmi a riflettere con voi, scegliendolo tra i tanti spunti che provengono da Gv 17. Del resto non è un caso che la Chiesa, a distanza di quasi 2000 anni dalla nascita del Salvatore, abbia avvertita la necessità di fermarsi e capire in che modo ricomprendere oggi la sua identità e la sua missione nel mondo, cosa che avvenne durante il Concilio Vaticano II. E giustamente, perché la chiesa si sente di essere erede, nella storia degli uomini, di quel testamento lasciato da Gesù nella sua ultima cena, testamento rivolto ai suoi e a coloro che per le loro parole credono anche oggi. Tra i documenti del CVII uno in particolare è stato dedicato ai rapporti della chiesa con il mondo contemporaneo. Tutto il Concilio fu pensato e voluto per rinnovare nella chiesa lo spirito del vangelo e metterla in grado di portare a termine la sua missione. Ma in Gaudium et Spes questo rinnovamento giunge, forse per la prima volta nella storia, a coinvolgersi tanto profondamente nella storia stessa. Così la pensa il papa che ha detto: Non era mai accaduto, nella bimillenaria storia della chiesa, che un Concilio ecumenico rivolgesse con così profondo coinvolgimento la sua preoccupazione pastorale alle vicende temporali dell’umanità (Discorso dell’8.XI.1995 per il 30° anniversario della promulgazione di GS). Vale la pena, dunque, per cercare di penetrare il senso della preghiera sacerdotale di Gesù, soffermarsi a meditare una sezione importante di quel documento.

4. Il capitolo IV: la missione della chiesa nel mondo contemporaneo

  1. Il criterio dell’aiuto
    • Il c. IV di GS utilizza un criterio di lettura molto tipico : per la prima volta la chiesa si comprende e desidera essere compresa all’interno della categoria dell’aiuto. Ce ne facciamo un’idea leggendo insieme i titoli dei paragrafi.
      • Mutue relazioni tra chiesa e mondo
      • L’aiuto che la chiesa intende offrire agli individui
      • L’aiuto che la chiesa intende dare alla società umana
      • L’aiuto che la chiesa intende dare all’attività umana per mezzo dei cristiani
      • L’aiuto che la chiesa riceve dal mondo contemporaneo
      • Cristo, l’alfa e l’omega
    • Nello sviluppo del pensiero conciliare attraverso la semplice lettura dei titoli salta agli occhi un chiaro andamento per cerchi concentrici : al centro troviamo la chiesa e il mondo, due dati di fatto indiscutibili, che esistono e per tale ragione devono interagire ; nel primo cerchio la chiesa si preoccupa dell’aiuto che può offrire all’individuo ; nel secondo, più grande, di quello che può offrire alla società umana ; nel terzo, ancora più vasto, di quello che può dare alla attività delle persone ; nel quarto, sorprendentemente, l’aiuto che può ricevere dal mondo stesso ; per ultimo, sconfinato, il mistero verso il quale spinge la sua attività, la persona di Cristo, alfa ed omega.
    • Se dobbiamo proprio essere sorpresi di qualcosa, però, è di ascoltare i pastori della chiesa dichiarare la disponibilità del popolo di Dio ad aiutare ed essere aiutato. La chiesa si presenta al mondo in punta dei piedi, bussa alla porta e chiede permesso. Il mondo, l’umanità, sono sacri, nessuno, nemmeno la chiesa, ha il diritto di violarne l’intangibile autonomia e libertà volute da Dio e donate anche a costo del rischio che esse si rivoltino contro il loro Creatore. L’uso del criterio dell’aiuto consente al Concilio di aprire un nuovo capitolo nella storia delle relazioni tra chiesa e mondo, e comunque di percorrere vie inedite di riflessione, come quella di associare l’aiuto alla missione : oggi la missione della chiesa può, anzi deve, essere compresa all’interno della categoria dell’aiuto al mondo, all’umanità.

5. La via del cammino comune (n. 40)

  1. Una chiesa in dialogo con il mondo
    • Lo spostamento di prospettiva che operano i padri conciliari è più vistoso di quanto non si creda, ed emerge fin dalle prime parole del c. IV. La chiesa intende dialogare con il mondo, cioè entrare in un rapporto di pari dignità e di pari opportunità con l’intera creazione (Tutto quello che abbiamo detto a proposito della dignità della persona umana, della comunità degli uomini, del significato profondo della attività umana…). Ciò suppone per i credenti un duplice cambiamento di mentalità. Da una parte essi sanno di aver ricevuto un mandato soprannaturale e questo li rende in un certo senso “forti” ; Dio ha scelto di rivelarsi a uomini e attraverso uomini, dando loro la possibilità di uno sguardo diverso sul mondo e sui valori da realizzare. Ma questo sguardo, nella prospettiva del dialogo, non può essere inteso a senso unico. I credenti lo possono attuare solo nello spirito del servizio, ed è così che si trovano nella condizione di poter “aiutare” i propri interlocutori. Dall’altra parte la scelta del dialogo impone di ripensare il proprio ruolo in una visione rinnovata della dignità dell’interlocutore. Si dialoga solo perché tanto da una parte quanto dall’altra esistono due volontà che desiderano incontrarsi su un terreno comune. Per la chiesa ciò vuol dire essenzialmente convertirsi all’ascolto, in qualche maniera smettere i panni di chi sale in cattedra per insegnare a qualunque costo qualcosa, e vestire quelli di chi si fa compagno di viaggio di altre persone intelligenti.
    • In effetti il nodo centrale che riscopre il Concilio risiede proprio in questo : la medesima chiesa si trova nel mondo e insieme con esso vive ed agisce. Pacificamente tutti convengono che la chiesa è una realtà di uomini, dunque soggetta a tutte le leggi che regolano il comportamento dei singoli e la convivenza umana. Ma questo principio trova una sua validità, e una sua verifica, esattamente nella misura in cui la chiesa, i credenti prendono coscienza che anche fuori della chiesa vi sono uomini, con tutto il rispettivo bagaglio di umanità, valga questo tanto in senso positivo, per le virtù, quanto in senso negativo, per i peccati. Il Concilio ristabilisce un equilibrio corretto nei rapporti tra chiesa e mondo : entrambi si trovano a navigare sulla stessa barca, e non è certo la contrapposizione tra di loro a garantire la sicurezza del viaggio.
  2. Umanità come famiglia di Dio
    • Nel già ricordato discorso di Giovanni Paolo II per il 30 ° anniversario della promulgazione della GS leggiamo che i padri conciliari scandagliando il “mistero dell’uomo” alla luce della Parola di Dio, impegnarono anche, e fortemente, la comunità cristiana ad offrire uno specifico contributo per “rendere più umana” l’intera famiglia degli uomini (GS, 40). Il Papa coglie perfettamente nel segno, con questo pensiero, lo spirito della GS. I cristiani sono ingaggiati nell’opera di rendere più umana l’intera famiglia umana, a patto che questo significhi trasformarla in famiglia di Dio. Infatti oltre al testo specifico citato dal Papa il n. 40 ci presenta una valutazione ben più impegnativa della missione della chiesa : essa cammina con l’umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena, ed è come il fermento e quasi l’anima della società umana, destinata a rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in famiglia di Dio. Dunque non solo ad umanizzarsi di più e meglio, ma anche a trasformarsi in famiglia di Dio. L’umanità, tutta indistintamente.
    • Se poi si chiede al Concilio di suggerire i mezzi attraverso i quali rendere più umana la famiglia degli uomini, anzi rendere gli uomini famiglia di Dio, si potrà restare un poco delusi della risposta. Per chi si attendeva dei suggerimenti di carattere “spirituale” (così come di solito viene inteso questo termine) il vuoto è totale : i padri tra i mezzi suggeriti non includono la preghiera, né i sacramenti, né le opere di carità. Se fanno riferimento ad una vita divina comunicata all’uomo tramite la chiesa, non indicano però il come ; il che lascia pensare che sino proprio i mezzi indicati ad essere quelli giusti. Mezzi che insieme sono anche obbiettivi : il risanamento e l’elevazione della dignità della persona umana, il consolidamento della compagine della società, l’immissione di un significato più profondo nel lavoro quotidiano degli uomini. Persona umana, società, lavoro sono le vie attraverso le quali la chiesa pensa di poter costruire tra gli uomini la famiglia di Dio.

6. La chiesa pronta ad aiutare

  1. L’aiuto agli individui (n. 41)
    • La persona umana resta al centro della riflessione dei padri conciliari. E la prima considerazione che essi si trovano a fare riguarda l’apertura spirituale dell’uomo : l’uomo, infatti, avrà sempre il desiderio di sapere, almeno confusamente, quale sia il significato della sua vita, del suo lavoro e della sua morte. Sorge così spontaneo concludere : la prima e più significativa missione della chiesa è quella di rispondere a queste urgenze dell’uomo. Errore ! I padri conciliari si affrettano ad aggiungere : Ma soltanto Dio, che ha creato l’uomo a sua immagine e lo ha redento dal peccato, può offrire a tali problemi una risposta pienamente adeguata, e ciò per mezzo della rivelazione compiuta nel Figlio suo fatto uomo. La missione della chiesa, semmai, è quella di portare a Cristo l’uomo, perché sia poi lui a rivelargli la profondità di Dio. Mai la chiesa può sostituirsi al suo Signore.
    • Intanto i padri indicano pure una serie di azioni che la chiesa può compiere e compie per aiutare gli individui :
      • sottrarre la persona umana al fluttuare di tutte le opinioni
      • ristabilire un equilibrio circa il valore della corporeità umana
      • respingere la schiavitù del peccato
      • onorare la libertà e la dignità della coscienza umana
      • aiutare a trafficare i talenti
      • proclamare i diritti umani, proteggendoli dalla falsa autonomia contro il Signore

      Tuttavia non posso esimermi dal domandare : come stanno realizzando oggi tutto questo i credenti ? E d’altra parte confermare : chi realizza tutto questo si trova nella condizione di star realizzando la missione propria di tutta la chiesa, è autentico missionario.

  2. L’aiuto alla società (n. 42)
    • Parola del concilio : dalla missione religiosa della chiesa scaturiscono dei compiti, della luce, delle forze, che possono contribuire a costruire e consolidare la comunità degli uomini secondo la Legge divina. Come dire : un cristiano che si occupa di sociale, di politica, di economia non è meno impegnato vocazionalmente e missionariamente di uno che fa il catechista in una comunità parrocchiale.
    • Parola del concilio : il concilio considera con grande rispetto tutto ciò che di vero, di buono e di giusto si trova nelle istituzioni, pur così diverse, che l’umanità si è creata e continua a crearsi. Come dire : cari cristiani, la chiesa non è l’isola felice dove si trovano tutte le cose vere e buone e giuste e belle ; semmai tocca al cristiano immetterle laddove non esistono lavorando da uomo insieme a tutti gli altri uomini
  3. L’aiuto alle attività (n. 43)
    • Mi piacerebbe leggere tutto questo numero, per lo spessore dottrinale e la novità che apporta ancora oggi a distanza di tanto tempo.
    • paragrafi a), b), c), d)
    • I difetti. Noi dobbiamo essere consapevoli dei nostri difetti, delle nostre infedeltà e delle nostre debolezze e combatterli con forza e con coraggio, perché non ne abbia danno la diffusione del vangelo. Come dire : proprio per la sua partecipazione alle vicende della storia umana, nemmeno la chiesa può ritenersi immune dagli errori tipici dell’uomo. A differenza però di tante altre istituzioni di carattere tipicamente terreno, essa può trovare la forza di purificarsi e rinnovarsi nello spirito. Coraggio !

7. La chiesa pronta ad essere aiutata (n. 44)

  1. Il valore della cultura per la chiesa
    • Da diverso tempo è in atto non solo un confronto con la cultura del nostro tempo, ma anche un’attenzione e una simpatia che porta la chiesa a scendere in campo per arricchire il vangelo di sempre delle acquisizioni odierne e per portare la linfa vitale del messaggio di Cristo nel cuore della vita e del pensiero degli uomini.
    • Il campo della missione della chiesa si amplifica ; con questa nuova prospettiva ci troviamo ancora entro i confini della volontà del Signore. Allo scopo di accrescere lo scambio tra la chiesa e le diverse culture degli uomini la chiesa, oggi, soprattutto, che i cambiamenti sono così rapidi e tanto vari i modi di pensare, ha bisogno particolare dell’aiuto di coloro che, vivendo nel mondo, sono esperti nelle varie istituzioni e discipline, e ne capiscono la mentalità, si tratti di credenti o di non credenti.
    • Obbiettivo : adattare il vangelo sia alla capacità di tutti sia alle esigenze dei sapienti. Tale adattamento della Parola Rivelata deve rimanere legge di ogni evangelizzazione.

8. Infine, Cristo uomo nuovo (n. 45)

  1. Il Regno di Dio
    • La chiesa, nel dare aiuto al mondo come nel ricevere molto da esso, a questo soltanto mira : che venga il Regno di Dio e si realizzi la salvezza dell’intera umanità. Dietro tutte le nostre considerazioni permane il mistero di un regno di Dio sempre in atto e sempre da costruire. Ciascuno con le sue specificità, e dando il contributo che gli è proprio e possibile, nella misura in cui lavora a questo scopo realizza davvero efficacemente il regno di Dio, cioè la presenza di Dio tra gli uomini e l’obbedienza degli uomini a Dio.
  2. La ricapitolazione
    • Sarebbe stato incompleto il discorso dei padri conciliari se si fosse fermato a queste ultime considerazioni. Gli uomini avvertono quasi istintivamente il desiderio della novità, o meglio del rinnovamento. Molto più gli uomini di oggi, il cui sviluppo ad ogni livello si è enormemente accellerato. Ancora una volta è la scrittura a venirci in soccorso. Queste “cose” che fanno parte della nostra condizione umana, persino la chiesa, attendono una ricapitolazione, un’azione in cui finalmente la storia, il mondo, la missione dei credenti, Dio stesso con loro, possano essere intuiti in un solo slancio e compresi senza difficoltà come un unico movimento che sta conducendo tutta la realtà verso il punto della sua massima realizzazione, Cristo Omega.