Interruzione Volontaria della Gravidanza e obiezione di coscienza: scambio di idee

Tutto comincia con il tranchant (come al solito! :) ) tweet di Thomas Manfredi (@ThManfredi)

(la discussione si può seguire da qui). Il tema è di quelli più caldi di sempre: aborto (più correttamente IVG) e obiezione di coscienza. La tesi di fondo, sostenuta tra gli altri da @RoccoTodero, @giovanni_pag e forse da @_pp_tm_, è che lo Stato italiano dovrebbe garantire il servizio di Interruzione Volontaria della Gravidanza negando la possibilità, ai medici obiettori di coscienza, di esercitare presso strutture pubbliche. Le motivazioni addotte sembrano essere sostanzialmente quattro:

Motivazione 1

L’obiezione di coscienza è totalmente incompatibile con il servizio pubblico

e lo Stato italiano è legittimato a non assumere gli obiettori di coscienza

Motivazione 2

L’obiezione di coscienza è una scelta, quindi se ne devono valutare le conseguenze

Motivazione 3

L’obiezione di coscienza viola i diritti di altri

Motivazione 4

L’obiezione di coscienza è insensata tra i volontari

Al proposito ho detto che avrei letto con attenzione l’articolo segnalato e l’ho fatto. Alessandro Capriccioli (@metilparaben), l’autore del citato articolo “L’insensata obiezione di coscienza dei volontari“, afferma di aver studiato dai preti: ciò giustifica molte cose :)

Egli sostiene la sua tesi con un esempio simile a quello portato da Thomas Manfredi qui: ai militari in combattimento non è consentita l’obiezione di coscienza, se quel lavoro non piace o non è condiviso non lo si scelga, as simple as that. Capriccioli, tra l’altro, sostiene che “fare il ginecologo in Italia nel 2014 implica l’incombenza di procurare aborti“. Poiché la legge 194 sull’IVG risale al 1978 (scarica qui), conclude il nostro, l’obiezione di coscienza sarebbe stata ammissibile solo in regime di transizione; ma non lo è più ora, dal momento che gli specializzandi sanno cosa li attende e possono scegliere un campo diverso di esercizio dell’arte medica.

Vorrei rapidamente liquidare la parte accademica della questione: difficilmente Manfredi e Capriccioli potranno incontrare giovani specializzandi in ginecologia e ostetricia (sottolineo ostetricia, in questo caso) che dichiarino di voler affrontare cinque anni di studio non per mettere le donne in condizione di far nascere un figlio bensì di sopprimerlo, in caso l’embrione attecchisca. Personalmente, nella mia lunga esperienza formativa tra liceali e universitari, non ne ho mai conosciuti. E non erano solo persone di estrazione “cattolica”. Probabile idealismo giovanile :)

L’altra parte che vorrei rapidamente liquidare è il presunto conflitto di diritti, sollevato nelle motivazioni 2 e 3. Come si evince dalla lettura della legge, al diritto delle donne di veder risolvere i problemi che ostacolano la gravidanza (art. 5) nonché, in caso la donna accusi circostanze che non le consentono serenamente di proseguire la gravidanza e quindi suggeriscano di interromperla, il diritto all’IGV gratuita (artt. 3 e 4), fa da contraltare il diritto del personale sanitario che “non è tenuto a prendere parte (all’IGV) quando sollevi obiezione di coscienza” (art. 9). Poiché la legge è uguale per tutti, sia per le donne che intendono interrompere la gravidanza sia per i medici contemplati dalla norma, ne consegue che non esiste conflitto di diritti, ma – semmai – il dovere dello Stato di permettere l’attuazione della legge che si è dato.

L’argomento resta serio ed importante. 140 caratteri di Twitter sono pochi per parlarne. In questo caso, poi, vale la pena documentarsi per bene con la lettura della “Relazione del Ministro della Salute sulla attuazione della legge contente norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza (legge 194/78) – Dati preliminari 2013 – Dati definitivi 2012” (scarica qui).

In breve se ne deduce che:

  • L’offerta del servizio IVG in relazione al numero assoluto di strutture disponibili è ritenuta soddisfacente (le strutture che praticano l’IVG sono il 64%), p. 6
  • L’offerta del servizio IVG in relazione alla popolazione femminile in età fertile e ai punti nascita è considerata più che sufficiente (“mentre il numero di IVG è pari a circa il 20% del numero di nascite, il numero di punti IVG è pari al 74% del numero di punti nascita, superiore cioè a quello che sarebbe rispettando le proporzioni fra IVG e nascite“), pp. 6-7
  • L’offerta del servizio in relazione al diritto di obiezione di coscienza degli operatori (carico di lavoro medio settimanale di IVG per ogni ginecologo non obiettore) è congrua rispetto alle IVG praticate (“il numero di IVG per ogni ginecologo non obiettore, settimanalmente, va dalle 0.4 della Valle D’Aosta alle 4.2 del Lazio, con una media nazionale di 1.4 IVG a settimana“), p. 7

Tabella_28_OdC_2014La relazione è ricca di dati e si dovrebbe segnalare che permangono, inspiegabilmente, circa 15.000 casi stimati di IVG clandestine, che sono in aumento le IVG tra le donne non italiane, che c’è una contrazione globale delle IVG, che le motivazioni principali delle IVG sono quelle di tipo economico e che il personale sanitario obiettore di coscienza non pregiudica il servizio pur attestandosi a volte su percentuali molto elevate. Ma questo, per adesso, esula dalle nostre considerazioni.

Poichè anche Capriccioli si è espresso in paradossi, ne darei uno pure io. Dopo la lettura dei dati penso che il licenziamento da parte dello Stato degli obiettori di coscienza in ragione del 69,6% di ginecologi e ostetrici, del 47,5% di anestesisti e del 45% di personale non medico potrebbe provocare non pochi problemi al servizio pubblico, laddove non sia possibile rimpiazzarli con altrettanti non obiettori, più problemi di quelli che intenderebbe risolvere quando pare siano di fatto già risolti.

Ma a questo punto mi sorge una domanda: se nonostante l’obiezione di coscienza il servizio risulta ancora erogato senza particolari carichi su strutture e personale e se la legge riesce a garantire il diritto di tutti, dove sarebbe il problema? Non vorrei che il problema fosse di tipo ideologico con un pregiudizio nei confronti dei “medici cattolici”

senza, peraltro, poter dimostrare che le percentuali in tabella siano rappresentative solo di “cattolici” (si vedano in proposito le tre ragioni di obiezione che avevo individuato qui).

Lo scambio di idee prosegue.