“E se i giusti fossero solo dieci?” Omosessualità e dintorni

Conclusioni

Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lungi da te il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio; lungi da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?” (Gn 18,13).

Così si esprimeva Abramo rivolgendosi a Dio che gli aveva manifestato l’intenzione di distruggere due città a causa delle ingiustizie che vi si commettevano. Nel valutare l’atteggiamento che la comunità dei credenti deve adottare verso le sfide contemporanee occorre davvero attingere a tutta la fede, l’amore e la speranza di cui si capaci. Credendo in un Dio Padre benevolo e provvidente non si avverte la fatica di guardare al futuro senza ansie. Mentre di certo è doveroso procedere facendo memoria del Signore Gesù, delle sue scelte, dei suoi comportamenti.

Cosa accade alla fede di quel cristiano che per timidezza o ricerca di sicurezze diventa incapace di scelte coraggiose? Se Paolo chiamato a rispondere in tribunale della sua fede non si fosse appellato a Cesare – allora venerato come un dio – la storia della Chiesa di Roma sarebbe stata la stessa? E non era stato proprio Paolo a recriminare contro l’abitudine dei Corinzi di introdurre liti presso i tribunali pagani (1Cor 6,1-4)? Abramo si mostra coraggioso verso Dio nel chiedere la salvezza delle due città a condizione di trovarvi 50 giusti. E Dio si mostra coraggioso ad accettare la sfida del suo amico, disposto a perdonare tutti gli abitanti di due città per la presenza di soli 50 giusti.

Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere… Forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?” (Gn 18,27-28).

Abramo è realista. In un panorama tanto variegato e complesso non sono tutti stinchi di santo. Ma Abramo è realista, non moralista. Non si mette a discutere con Dio sul perché potrebbero mancare 5 giusti a quei 50. Si preoccupa invece di tutti gli altri, che giusti non sono e che a motivo di un numero tanto ridotto potrebbero essere distrutti.

Nessuno si deve nascondere le difficoltà che si annidano dietro questioni tanto delicate e controverse. È certo che alcuni movimenti di liberazione omosessuale considerino la Chiesa cattolica un ostacolo al raggiungimento dei loro obbiettivi. Come è certo che alcuni settori della Chiesa cattolica provino diffidenza nei confronti dei movimenti di liberazione omosessuale e delle persone omosessuali. Ma la domanda si impone ed è inquietante: chi si assume la responsabilità davanti a Dio di “distruggere”, di “bruciare” coscienze, di imporre gravami, di causare sofferenze? Non si può cinicamente scrollare le spalle e ridurre tutto ad un “se la sono cercata”. Non è questa la missione della Chiesa, non è questa la missione dei cristiani.

All’interno del panorama dei movimenti di liberazione omosessuale e della Chiesa cattolica non tutto è da “distruggere”; la sapienza sta nel riconoscere il bene da qualsiasi fonte provenga, consapevoli che il bene è “benefico” e “bonifica” e rende apprezzabile persino il suo humus: “Dai diamanti non nasce niente / dal letame nascono i fior” cantava De Andrè (testo). Ai cristiani è riservata la stessa strada percorsa da Cristo, accusato di tutto, persino di essere un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori (Mt 11,19) per il fatto di aver scelto di “sporcarsi le mani” con loro. Da lui abbiamo imparato che stare accanto agli ultimi e agli emarginati non è fonte di apprezzamento universale, che a difendere i peccatori si finisce sulla croce.

Forse là se ne troveranno quaranta” (Gn 18,29).

Come giudicare le iniziative politiche e sociali tese a istituire unioni tra persone dello stesso sesso? La politica e la società sono state richiamate spesso dagli organismi vaticani alle loro responsabilità morali (ricordiamo per tutti la Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede circa l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, 2002). Certo, sarebbe auspicabile – in un mondo ideale e razionale – che la verità apparisse chiara a tutti in modo istantaneo e senza ombre di dubbio. E che la volontà di ciascuno si orientasse liberamente nell’azione coerente con quanto l’intelligenza ha compreso. E che non nascessero conflitti insanabili tra due opposte visioni della vita. Invece la realtà ci obbliga ad ammettere che la ricerca della verità diventa più faticosa nella misura in cui davanti all’umanità si schiudono orizzonti di conoscenza sempre più vasti; che la debolezza intrinseca all’umanità spinge a commettere azioni insane a qualsiasi livello sociale; che l’amore fraterno e universale fatica ad affermarsi per il rigurgito di egoismi personali e nazionali.

Ai politici spetta valutare in modo sereno e secondo quanto è nelle capacità di una coscienza debitamente formata le scelte migliori per il bene comune, anche se in apparenza (o in effetti) esse potrebbero non corrispondere con quanto suggerirebbe la retta ragione. Perché la coscienza è e resta comunque il santuario dove l’uomo ascolta la voce di Dio (cfr GS 16). Alla Chiesa, profeticamente, spetta ricordare agli uomini quale sia la volontà di Dio e in che modo Cristo ci ha salvati: “la misericordia ha sempre la meglio nel giudizio” (Gc 2,13).

Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora: forse là se ne troveranno trenta” (Gn 18,30).

Magari le chiese si riempissero di pubblicani, peccatori e prostitute! Per quanto possa apparire scandaloso, così fu fin dai tempi del suo Fondatore. Il timore che una morale ritenuta troppo lassista potesse costituire una ferita per la purezza della fede, ma facendo in tal modo dimenticare che il bene principale dell’uomo è la sua umanità redenta e non il suo giardino di virtù, era patrimonio di alcuni gruppi di persone fin dal tempo di Gesù, che per questo ebbe a pronunciare parole molto severe: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci. Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito e, ottenutolo, lo rendete figlio della Geenna il doppio di voi. Guai a voi, guide cieche! Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell’anèto e del cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello! Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto mentre all’interno sono pieni di rapina e d’intemperanza. Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all’esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume” (Mt 23,13-27).

La voce di Abramo sembra farsi più sicura ad ogni nuova richiesta, perché scopre che Dio non si lascia vincere in misericordia e bontà da nessuno, ma apprezza il valore della “giustizia”, della santità dei pochi per la salvezza dei molti. Se in questo senso la Chiesa cattolica ha qualcosa da imparare è che solo l’essere “giusti”, santi dei suoi figli (attraverso la bontà, il senso del proprio dovere, la fedeltà a Dio, l’abnegazione e la sofferenza personali) può portare la salvezza dell’umanità, e non l’ergersene a giudici e ancora meno il condannare quanti sbagliano.

Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno venti” (Gn 18,31).

Ritengo che il bene che può fare la Chiesa anche nei confronti di che le fa male o la danneggia (“Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiustiMt 5,44-45) sia uno strumento di evangelizzazione: attraverso di esso giunge la buona notizia che Dio è Padre dei giusti e degli ingiusti.

In un certo senso la Chiesa dovrebbe essere riconoscente a Dio di tutte le occasioni che le vengono date per benedire: “Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite” (Rm 12,14). La benedizione evocata da Paolo nulla ha in comune con la benedizione della Chiesa circa le unioni tra persone dello stesso sesso. La Chiesa ha già esperienza triste di benedizione di armi e di guerre, vorrei – almeno per ora – non correre il rischio che tra 100 anni qualcuno (tra i vincitori di allora) rimproverasse questa generazioni di cristiani di aver benedetto l’imbenedicibile. La benedizione evocata da Paolo giunge più in profondo, tocca l’identità e la missione del credente da una parte, e riconosce la dignità e il valore di chi non condivide la stessa fede dall’altra. Per tutti noi, anche per chi ci è avversario, Cristo ha versato il suo sangue. Tale sia e rimanga sempre la benedizione più grande.

Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola; forse là se ne troveranno dieci” (Gn 18,32).

“I problemi sono ben altri”. Dicono che il benealtrismo sia un difetto. Forse ne sono affetto anche io. A me pare che la questione intorno alle unioni tra persone dello stesso sesso faccia emergere tutta l’impreparazione affettiva, emotiva, morale, persino intellettuale di intere fasce di popolazione mondiale a prendersi cura dei propri simili, anche e soprattutto quando si trovano in difficoltà o quando si oppongono come farebbe un figlio adolescente con il proprio genitore. Tale impreparazione esige un ripensamento da parte dei pastori della Chiesa cattolica circa le modalità di formazione dei propri ministri ordinati e di quanti si accostano alla fede e ai sacramenti della Chiesa, come pure del dialogo e della comunicazione, con profonda revisione di linguaggi e di mezzi.

Sono certo che sei Dio avesse trovato quei 10 giusti in Sodoma e Gomorra le due città ci racconterebbero oggi un’altra storia. Solo Lot e la sua famiglia si salvarono dalla distruzione, perché erano giusti. Nemmeno in questo caso Dio permise che giusto ed empio perissero insieme.

L’omosessualità costituisce senza dubbio un argomento che interroga la Chiesa cattolica e la spinge ad assumersi responsabilità importanti a favore di tutte le persone, per la loro difesa, la loro accoglienza, il riconoscimento e il rispetto della loro dignità umana, e non ultima la loro salvezza attraverso il perdono dei peccati. Probabilmente sarà importante per facilitare il compito della Chiesa un aiuto anche da parte di quelle associazioni omosessuali soprattutto di orientamento religioso e di quei movimenti di liberazione omosessuale capaci di dialogo, affinché attraverso un confronto rispettoso, franco e aperto si possano compiere passi di avvicinamento e di collaborazione su temi di interesse comune.

Riconosciamo il tuo amore di Padre
quando pieghi la durezza dell’uomo,
e in un mondo lacerato da lotte e discordie
lo rendi disponibile alla riconciliazione.
Con la forza dello Spirito
tu agisci nell’intimo dei cuori,
perché i nemici si aprano al dialogo,
gli avversari si stringano la mano
e i popoli si incontrino nella concordia.
Per tuo dono, o Padre
la ricerca sincera della pace
estingue le contese,
l’amore vince l’odio
e la vendetta è disarmata dal perdono.

(Prefazio della preghiera eucaristica della riconciliazione II)