Come giudicare una denuncia via Facebook?

Notizia di ieri, appresa da twitter via @michelagiordano giornalista, che mi ritwittava un’anteprima del Mattino di Napoli online.

Una notizia tragica, senza dubbio, perché richiama alla mente il destino di tante donne, troppe, sottoposte a violenze piccole o grandi (ma una violenza è sempre una violenza). In questi casi indignazione e amarezza, miste ad un senso di rabbia per la frustrazione di venirne a conoscenza sempre dopo spingono ad una immediata reazione. Ed infatti ho visto che in breve tempo la rete ha rimbalzato la notizia e si è emotivamente coinvolta nel condannare la persona indicata come violenta e nel prendere la difesa della donna dichiaratasi maltrattata.

Notizia di cronaca o verità?

Da parte mia – e forse ancora di più dopo le mie esperienze personali – cerco di mantenere un atteggiamento razionale. Nasce uno scambio di cinguettii con la simpatica @michelagiordano. La mia prima reazione è stata quella di non cedere immediatamente ad una fin troppo facile condanna:

La cautela non era motivata dal non voler credere alla storia, ma dal fatto che gli elementi a disposizione fossero davvero molto pochi. Alcune foto pubblicate su un profilo Facebook, alcuni frammenti di un commento della protagonista, il riferimento ad indagini in corso… Cosa può esserci di “certo” in tutto questo? È una “notizia di cronaca”, non una “verità” né di fatto né di diritto. Anche Michela vorrebbe quasi augurarsi che fosse solo uno scherzo di cattivo gusto.

Ancora tanti perché senza risposta

Forse la mia è eccessiva prudenza, rispondo in modo da guardare oltre.

Riflettendoci a mente fredda: perché denunciare su Facebook e non – per esempio – davanti ai Carabinieri? Magari il giorno stesso delle percosse, magari al Pronto Soccorso. Perché dopo 20 giorni dall’accaduto? Certo, soggezione, timori, sensi di colpa: bisogna sempre mettere in conto il mix esplosivo che si crea nella mente delle donne picchiate. Ma perché proprio Facebook? Perché subito all’opinione pubblica, come se gli amici del proprio profilo fossero i giudici ultimi di una denuncia?

Le stesse foto pubblicate sembrerebbero una prova inoppugnabile. Anche Michela è d’accordo.

E ha ragione: o sono reali o no, non ci sono mezze misure. Ma chi decide se sono “reali”, cioè se quello che viene riprodotto nell’immagine è quanto si dichiara essere avvenuto nella realtà? Chi decide se quanto viene dichiarato su quel volto sofferente e tumefatto è la verità oppure no? Una foto postata su internet è una foto postata su internet. Difficile farla diventare qualcos’altro. Era questo il senso della mia risposta.

Mai giustificherò nessuna forma di violenza

La spiegazione dei fatti appare un lavoro avvincente e allo stesso tempo incerto lo sanno bene giudici e avvocati in tribunale. Comprensibilmente una ricerca non affrettata della verità sembra scontrarsi con l’urgenza della giustizia che ciascuno di noi porta in cuore. Quasi giustifico quindi la domanda sorpresa e sorprendente di Michela davanti al mio frenare a tutti i costi:

No, Michela, non lo giustifico e non lo giustificherò mai, come non giustifico nessuna forma di violenza, nemmeno quella subita da una suora violentata per una settimana da un gruppo di uomini e passata tanto inosservata nella rete (leggasi il tweet del Corriere).

Ma – per me – non esistono donne di serie A e donne di serie B. E sotto questo profilo donne o uomini, bambini, anziani, portatori di handicap, e aggiungerei anche figli abortiti, tutti i deboli che subiscono la violenza di qualcun altro, tutti sono uguali. E vanno difesi, tutelati, amati.

Oggi si sa qualcosa di più di quella famiglia. Dopo 13 anni pare il matrimonio si trovasse al suo finale. Per lo sposo si apprende che era già il secondo. E la donna tumefatta sollecita anche la precedente moglie a confermare di essere stata vittima delle stesse violenze.

La storia continua, continuerà a lungo. Mi chiedo solo come giudicare una denuncia tanto grave via internet, via Facebook. Se questo sia davvero il metodo migliore per risolvere i conflitti, se tutto si può racchiudere nel tentativo di farsi credere a tutti i costi da qualcuno piuttosto che nel concedere alla società nelle forme concordate, in un confronto verificabile e civile, di determinare nel modo più preciso possibile la verità dei fatti.

La violenza fisica non mi convince. Per niente. Senza appello. Ma non mi convince nemmeno l’altra forma di violenza, quella della strumentalizzazione dei mass media per seppellire l’avversario (colpevole, innocente, presunto colpevole, quello che sia, sempre di violenza si tratta) nello sdegno altrui e macchiarlo definitivamente, assaporando tra le labbra il gusto viscido della vendetta.

Questa riflessione non vuole essere un giudizio sulla vicenda commentata o sulle persone protagoniste. Ciascuno risponderà delle proprie azioni. Ma, finalmente, Facebook, la rete, internet non stanno diventando una formidabile opportunità mancata?