A voi due o tre futuri preti, dico…

Discorso in occasione della celebrazione del 25° anniversario di ordinazione sacerdotale

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Con questa celebrazione abbiamo ringraziato Dio per il dono di suo Figlio, per la grazia ricevuta nel far parte della Chiesa, per il dono della fede e dei sacramenti, in particolare di quello del sacerdozio.

Ora bisogna passare a ringraziare voi, i presenti, che avete accolto l’invito a rendere onore al Signore, buono e fedele nell’amore. Perché ci vuole tanta bontà e tanto amore a chiamare ad essere prete uno come me e a mantenerlo per 25 anni!

Ringrazio i Vescovi presenti [Mons. Lorenzo Leuzzi e Mons. Paolo Selvadagi]: posso definirli amici, mi hanno conosciuto agli albori del ministero e oggi ho la gioia di vedere loro nella pienezza del sacerdozio a ricordare con me quei momenti. Ringrazio il parroco padre Franco, che con affetto e accoglienza ha permesso questa celebrazione. Ringrazio tutti i confratelli che hanno concelebrato e quelli che pur non presenti si sono uniti nella preghiera: ci sono occasioni in cui la comunione sacerdotale si mostra anche visibilmente, questa si potrebbe considerare una di loro. Grazie!

Ringrazio le Comunità della Parrocchia S. Giovanni Evangelista a Spinaceto per avermi consentito di organizzare la celebrazione della Messa e anche il rinfresco, al quale tra poco siamo tutti invitati a partecipare. Ringrazio i miei familiari, mia sorella in primis, per l’aiuto che mi hanno dato.

E ringrazio tutti voi per la vostra presenza, il vostro affetto, l’onore che mi fate ad essere qui stasera. Tra voi ci sono alcuni che ho battezzato, altri che ho comunicato e cresimato, tanti che ho confessato, tanti di cui ho benedetto le nozze. C’è chi ho unto con l’olio degli infermi e altri con i quali ho condiviso cammini di fede. Quelli di cui ho celebrato i funerali ci guardano dal Paradiso. Avete fatto bene a venire, oggi qui possiamo fare la sintesi di 25 anni di storia in modo unico e irripetibile. Lo so che un po’ tutti voi soffrite della sindrome degli highlanders, degli immortali, e vi piacerebbe ripetessimo tra altri 25 anni, ma vi prometto che tra 25 anni IO non rifarò una cosa del genere!

Così approfitto per riproporre ora alla vostra attenzione le letture di questo giorno, le abbiamo ascoltate all’inizio: At 20,28-38 e Gv 17,11-19. Bè, come un dono che il Signore ha fatto a me da 25 anni e per 25 anni, le parole che vi si trovano scritte le abbraccio con tutto il cuore e le ripeto oggi a voi come mie: “Vigilate… vi affido a Dio… non ho desiderato né argento né oro… vi ho mostrato che i deboli si devono soccorrere… si è più beati nel dare che nel ricevere… Padre santo, custodiscili nel tuo nome… abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia… consacrali nella verità… per loro io consacro me stesso“.

Devo però rubare un paio minuti della vostra amabile pazienza rivolgendo un pensiero a quei due o tre ragazzi che stanno seduti tra noi e che, io lo so, tra qualche tempo scopriranno la loro vocazione e diventeranno preti. Perché se sentite un po’ di vocazione nel cuore, non soffocatela, datemi retta: fare il prete è una cosa bella… Non sorridete, ho detto che fare il prete è una cosa bella, mica ho detto che fare il ladro o il calunniatore sono cose belle. Lo so pure io che ci sono preti ladri e calunniatori e altro ancora, purtroppo, e anche in una occasione come questa non possiamo dimenticare le ferite che hanno inferto alla Chiesa. Per loro c’è spazio solo per la preghiera e il perdono, altrimenti che cristiani saremmo…

Allora: fare il prete è una cosa bellissima. Se tornassi indietro lo rifarei non una, ma centomila volte. Avevo un padre spirituale, era padre Enzo Ignazi, tra voi molti lo hanno conosciuto. Quando dissi a lui che avrei voluto fare il prete mi chiese: “E che tipo di prete hai pensato di fare?“. Risposi che mi sarebbe piaciuto diventare monaco; mi vedevo bene in monastero, un po’ appartato, riservato. Studio, orto e preghiera. Di rimando lui mi disse: “Macchè monaco, tu sei fatto per fare il prete diocesano!” e mi avviò in questa direzione. Ecco, a voi due o tre che sentite un po’ di vocazione dico: fate quello che vi suggerisce il vostro cuore, i padri spirituali qualche volta per eccesso di zelo possono anche sbagliare. E poi se proprio non monaci, diventate Figli dell’Amore Misericordioso: una bellissima congregazione, giovane e davvero con tante ricchezze pastorali e spirituali. Ma lasciate stare i preti diocesani…

Ora già sento una vocina, quella delle suore presenti, mie carissime amiche, che dicono: ma don Ugo pensa solo ai preti! No no, sono davvero convinto che ci siano anche due o tre ragazze sedute tra noi con qualche idea di vocazione. Faccio un po’ di pubblicità: scegliete le Figlie della Chiesa! Ho la fortuna di conoscerle da tanti anni, prima ancora di diventare prete, e si sono dimostrate più sorelle loro di tanti fratelli, anzi posso testimoniare che in sorellità hanno superato la fraternità e nell’accoglienza spirituale e materiale sono andate oltre dimostrando una carità genuina e disinteressata. Le ringrazio per la loro testimonianza di fede che mi ha fatto crescere come prete in questi 25 anni.

Però ascoltatemi bene, voi due o tre futuri preti.

25 anni fa…
Internet non esisteva; il primo sito www punto qualcosa viene messo online il 6 agosto 1991. Ma era da solo…
La tecnologia non era cosa tanto diffusa… MediaWorld per esempio apre in Italia il 24 ottobre 1991.
I centri commerciali… se si escludono i mercati di Traiano, il primo centro commerciale a Roma è stato aperto solo nel 1988, esiste ancora, è Cinecittà2.
I telefonini… i telefonini stavano appena appena apparendo, erano una cosa d’élite. Pensare che gli appuntamenti si prendevano ancora con il fisso e raramente si mancavano… ci si fidanzava e ci si lasciava guardandosi in viso, mica per sms… e talvolta penso a come faceva la gente a guidare la macchina, senza poter parlare tenendo il cellulare all’orecchio o senza poter scrivere messaggi lasciando il volante… eravamo pazzi, allora…

L’Unione Sovietica esisteva ancora, ma si stava dissolvendo. O meglio, si scioglie ufficialmente il 26 dicembre 1991. Il muro di Berlino era caduto da due anni… Quante sofferenze finivano, quante speranze si accendevano… Memoria corta vuole che dopo 25 anni in Europa si ricominci a costruire muri…

Nel 1991 a febbraio il PCI getta definitivamente la spugna. La DC esulta, ma per poco: nel 1991 fa il restyling del proprio logo e nel 1994 si smembra.

Nel 1991 al festival di Sanremo vinsero Riccardo Cocciante (“Se stiamo insieme”) e Paolo Vallesi (“Le persone inutili”): “… gente destinata a perdere… gente che non riesce a vivere… che non troveremo mai sui giornali o nei cortei…”. Ecco, vorrei dire a tutte le “persone inutili” che ho incontrato, che sto incontrando: non temete, non siete dimenticati, nessuno di noi è inutile, il Padre buono ci tiene nel suo grembo, la Chiesa, tutti noi, come fratelli e sorelle ci sosteniamo: “Tutte le persone inutili vinceranno prima o poi”.

Sembra storia di un secolo fa…

Invece sono “solo” 25 anni…

Allora era papa Giovanni Paolo II.

Da alcuni anni si andava preparando il Secondo Sinodo della Chiesa di Roma, conclusosi nel 1993 e dimenticato suppergiù nel ’94. Ha lasciato in eredità un libro ed è praticamente scomparso, senza ulteriori traccie, come fu per il Primo Sinodo, molti di voi ignorano entrambi.

Ricordo 25 anni fa, le prime riunioni di Prefettura [la “Prefettura ecclesiastica” della Diocesi di Roma è un raggruppamento organico di parrocchie limitrofe che partecipano allo sviluppo di progetti pastorali comuni. NdA]… l’argomento che riusciva a riscaldare maggiormente la partecipazione dei convenuti, oltre a quanti incontri fare per la preparazione delle coppie al matrimonio, era quello relativo all’età per la celebrazione dei sacramenti, della prima comunione e della cresima. È stato bello ritrovare gli stessi argomenti lo scorso anno tra i temi principali del Convegno Diocesano e degli incontri di Prefettura… C’è continuità storica, nella Chiesa di Roma.

25 anni fa a Roma non c’era una festa della Diocesi. E non c’è nemmeno oggi; anche in questo la nostra Chiesa dimostra indefettibile continuità storica. In tante altre Diocesi del mondo la ricorrenza dei santi patroni è l’occasione per celebrazioni pubbliche, sia religiose che laiche. La città di Roma in questi 25 anni si è riempita di feste e festival, quello del Cinema, quello del Verde e del Paesaggio, quello del Vino, quello dell’Oriente, si è celebrato persino il Tiramisù Festival… Ma non c’è la Festa della Diocesi e si fa fatica a fare una Festa della Solidarietà a S. Giovanni, e a ricordare che Roma, una grande Diocesi, è una chiesa viva e vitale.

Ci sono molte cose che io come prete non sono riuscito a fare e tante di cui devo chiedere perdono, a Dio e a voi. Perciò penso di dover passare idealmente il testimone alle nuove generazioni. A voi due o tre futuri preti ne indico un paio:

  1. La Chiesa di Roma deve lasciare da parte un po’, un bel po’, di clericalismi, di bigottismi e di burocrazie e deve maturare maggiormente nella sua attenzione verso gli ultimi e verso le vittime di ogni sopruso, reato, ingiustizia. Eh sì, la Chiesa di Roma deve imparare a mettersi dalla parte delle vittime: dei lavoratori sottopagati o sfruttati, nuovi schiavi; delle persone defraudate dei loro diritti di cittadini e colpite nella loro umanità e dignità, perché senza casa, senza lavoro, senza assistenza; delle vittime degli incidenti stradali e del mercato del sesso; di quanti subiscono prevaricazioni o sono vittime di reati. Non si possono abbandonare al loro destino le vittime di leggi sbagliate, come pure quelle degli assassini e dei calunniatori, soprattutto se a commettere tali iniquità sono membri della Chiesa: pastori e laici tradiremo la nostra missione e ne risponderemo davanti a Dio. In questo senso anche il banale silenzio della comunità cristiana e di chi la guida si fa complice dell’ingiustizia.
  2. La Chiesa di Roma deve imparare a camminare insieme, con uno stile che 25 anni fa con tanta enfasi si diceva “sinodale“; tante comunità, e i loro pastori, devono ricordarsi di anteporre il bene comune al bene proprio, il cammino insieme al cammino singolare, la Diocesi alla Parrocchia. La Chiesa “madre e capo di tutte le Chiese” dovrebbe dare esempio di gioia nel condividere scelte e indirizzi pastorali e collaborare con un cuor solo e un’anima sola. Bisogna sentirsi ripetere, come alle nozze di Cana: “non hanno più vino“, per inventare nuovi modi di portare la gioia del vangelo al mondo. Per questo credo profondamente necessario svecchiare la pastorale ed integrare le nostre energie camminando sulle stesse strade delle persone, laddove le persone vivono e operano. Penso in questo momento ad eventi come la Festa della Diocesi o la Festa della Solidarietà, che potrebbero aiutare a ritrovare un respiro ecclesiale e vedere il coinvolgimento di tutte le realtà laicali ed ecclesiali della Diocesi.

A voi due o tre futuri preti affido questi miei pensieri. A voi presenti ricordo che la Festa della Solidarietà si deve fare, o quest’anno o il prossimo, ma si deve fare. Oggi la raccolta della questua è stata destinata a questo scopo, vorrei che fosse un segno, come una chiave che apra la porta dei cuori. Abbiamo bisogno di forze, di collaborazioni, di coinvolgimento delle comunità parrocchiali in modelli nuovi di evangelizzazione e di testimonianza.

Nel mio piccolo spero di contribuire come posso. Ho dato alle stampe un’altra raccolta di poesie, tra inediti e già pubblicati; il ricavato è già destinato alla Festa della Solidarietà. Se mi invitate nelle vostre comunità parrocchiali a presentare il libro, sarà l’occasione per riparlare di questo evento.

Preghiamo a vicenda. Il Signore benedica le nostre intenzioni e i nostri sforzi. A lui ci affidiamo per i risultati che vuole ottenere.

Grazie a tutti di cuore.